Raimondo Bultrini, la Repubblica 14/10/2016, 14 ottobre 2016
LA THAILANDIA PIANGE IL “RE DEI RE” BHUMIBOL SUL TRONO PER 70 ANNI
Nel regno dei thai da ieri senza sovrano non risuonano campane a lutto ma ovunque recite strozzate di mantra buddhisti per l’anima del re dei re Bhumibol Adulyadej. È il pianto di un popolo per la morte di un sovrano amato come un padre, anche se è nato in America 89 anni fa quando il regno si chiamava ancora Siam ed ha vissuto e studiato in Svizzera.
Tra le folle quasi in stato di trance davanti ai templi e nelle piazze, lungo le strade dei villaggi e nelle metropoli improvvisamente prive dello sfavillio di luci dei centri commerciali, nessuno osa ancora pensare a ciò che potrà significare la dipartita del più longevo monarca del mondo per il Paese, quando lo scettro passerà dopo 70 anni a suo figlio Maha Vajiralongkorn. Un passato burrascoso e pochi amici a Corte, Rama X ha 64 anni, tre matrimoni alle spalle e numerosi figli, dei quali l’ultimo è nato pochi mesi fa in Europa dalla quarta compagna, forse futura regina.
Il principe, appena rientrato dalla Germania per stare al capezzale di suo padre, ha confermato di essere pronto a raccogliere l’eredità della dinastia Chakri, ma che aspetterà «il tempo appropriato», unendosi per ora al lutto del popolo previsto per un intero anno. «Egli è consapevole dei suoi doveri» - ha detto il premier golpista Prayut Chan Ocha. Più volte all’origine delle preoccupazioni di suo padre e della Corte, fonte di racconti spesso incontrollati dei sudditi timorosi di esporre in pubblico i loro sentimenti contrastanti verso di lui, il principe ha assistito come il resto del Paese al moto sommesso e disperato di donne, uomini e bambini cresciuti a scuola nel mito delle dinastie guerriere che sconfissero khmer e birmani, ribelli comunisti e principi delle minoranze etniche. La transizione morbida è stata preparata con estrema cura man mano che negli ultimi anni si andavano aggravando le condizioni di salute del monarca.
Centinaia di persone di ogni età hanno pregato in piedi, in ginocchio, carponi sull’asfalto, davanti all’ospedale Siriraj dove fino a pochi minuti prima avevano recitato i mantra della buona salute indossando la maglietta rosa di buon auspicio della monarchia, con le preghiere rivolte anche alla convalescente regina Sirikit sua moglie. Del suo ruolo risolutore e quasi magico nei decenni di tensioni sociali del regno resta l’icona di una scena ripresa da tutti i media del mondo, quando due generali in ginocchio ai suoi piedi accettavano di interrompere i violenti scontri di piazza che nel 1992 portarono alla morte di decine di manifestanti realisti. Ma il suo carisma ha anche significato la crescita di una figura tanto al di sopra delle parti, da restare protetta da severe leggi di lesa maestà. Messe in discussione più volte dagli Usa per le conseguenti violazioni dei diritti umani.
Il generale Prayut Chan Ocha alla guida dal maggio del 2014 della giunta militare al governo, è stato destinato a domare con le buone o con le cattive le rivolte e proteste di piazza che in tempi più recenti hanno riportato a all’attenzione del mondo il conflitto di odio tra due diverse visioni della politica e della storia thai. Da una parte i fautori della democrazia eletta anche se imperfetta e corrotta, dall’altra i sudditi di una democrazia guidata, con un Parlamento dominato da figure gradite sia ai generali che al Palazzo reale. È stato Prayut a reti unificate a rassicurare il popolo che la transizione avverrà nel più ordinato dei modi. Lo stesso colpo di Stato incruento di oltre due anni fa aveva lo scopo di congelare ogni sorgente di conflitto e preparare il terreno per il passaggio di poteri. I timori non erano infondati. Da quando Bhumibol è diventato re sono stati portati a termine con successo dieci di colpi di Stato, tutti avallati da lui quando non sembravano esserci più alternative, come durante il periodo degli scontri tra “gialli” e “rossi” nel 2008 e nel 2010, fino alle occupazioni di Bangkok del 2014. Anche la recente Costituzione votata da un referendum, lascia al re il ruolo di giudice delle supreme controversie. Se non potrà imitare suo padre e sostituirlo nel cuore del popolo, resta l’impegno del principe di prendere le sue responsabiltà, e rendersi degno del ruolo leggendario che andrà a incarnare.