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 2016  ottobre 13 Giovedì calendario

Frasi di Bob Dylan «Quando ho un’opinione non mi chiedo se è di destra o di sinistra. Posso restare della stessa idea su uno stesso argomento ma con angolature diverse»

Frasi di Bob Dylan «Quando ho un’opinione non mi chiedo se è di destra o di sinistra. Posso restare della stessa idea su uno stesso argomento ma con angolature diverse». «La maggior parte delle canzoni che mi vengono in mente le respingo subito, fuori dalla mia mente». «Tutte le volte che canto Masters of War c’è qualcuno che scrive che si tratta di una canzone contro la guerra. Ma non c’è nessun sentimento contro la guerra in quella canzone. Io non sono un pacifista. Credo di non esserlo mai stato. Se presti attenzione alla canzone scopri che si tratta di quello che Eisenhower andava dicendo in merito ai rischi del complesso bellico-industriale nel nostro paese. Credo profondamente che sia diritto di tutti difendersi in tutti i modi necessari». «Verrò capito fra cent’anni». «Guardo quelli al potere, quelli che ci governano, e vedo che non hanno capelli in testa». «Se ti allontani dal blues sei fottuto». «È come un conato di vomito» (parlando di Like a Rolling Stone). «Non credo in nulla e non ho nessun messaggio da dare». «Dicono che canto come una rana: direbbero lo stesso a Tom Waits?». «Certi critici sono diventati celebri accusandomi di aver portato avanti una carriera di aspettative deluse. Sarebbe ciò che faccio. “Ehi, tu: che fai per vivere?” “Deludo le aspettative”». «Non mandatemi regali, vecchi orologi, oggetti di valore. Se proprio volete, mandatemi una chiave e io cercherò le porte da aprire». «Il “Tambourine Man” è lo spacciatore medio del Greenwich Village a New York che si gira tutti i club del quartiere. Quando entra in uno di questi, si siede al bancone e inizia a battere le nocche ritmicamente sul bancone: è il segnale per far capire che ha la roba. Il cliente gli si avvicina e gli fa: “Hey, Mr Tambourine man, play a song for me”, per far capire che è interessato alla sua merce». «Aiutatemi a ricordare il significato delle parole delle mie canzoni... La mia memoria è diventata bianca». «Non puoi vedere cose più orribili di quelle che propongono i media. Le news mostrano alla gente tutto quello che neanche hanno potuto sognare e anche i pensieri che pensavamo di poter sopprimere, però li vedi così non puoi più neanche sopprimerli. Quindi cosa può mai fare uno scrittore se ogni idea è già stata esposta nei media prima ancora che si possa coglierla?». «Ho scritto Blowin’ in the wind in dieci minuti. Ho aggiunto le parole a un vecchio spiritual. È la tradizione del folk: usare ciò che è stato tramandato». «La cultura popolare americana viene troppo spesso dimenticata. Io volevo creare qualcosa che venisse paragonata ai dipinti di Rembrandt». «Sono cresciuto in un posto molto isolato e durante tutta l’infanzia mi sono sentito come un cane che cacciava nei sogni, sempre in cerca di qualcosa anche se non sapevo ancora cosa. Ma fin dall’inizio ho avuto un’assoluta fiducia. Non sapevo come sarei arrivato ma non mi ha affatto sorpreso». «In retrospettiva mi rendo conto che è stato duro addomesticare il mio talento. Qualcuno pensa che ascoltare canzoni significhi ascoltare una predica. Io non voglio che le mie canzoni siano dei sermoni». «Mi ricordo le persone. Una volta che ripenso a chi c’era in una data occasione, riesco a rimettere insieme tutti i pezzi». «Il camerino sia pulito, provvisto di gabinetto, acqua corrente calda e fredda, illuminazione brillante, un tappeto, quattro sedie». «I dischi moderni sono atroci. Oggi non puoi fare un disco che suoni come quelli che ascoltavo e amo ancora». «La politica, in fondo è solo intrattenimento e sport. Un’attività per i figli di papà, o per chi unge le ruote. Guardateli i politici». «In ogni canzone c’è la luce in fondo al tunnel». «Oggi sta capitando qualcosa che aspetto da sempre: sto diventando una cosa grossa. E ognuno ne vuole un pezzo». «Penso possa essere una bella cosa se cerchi indicazioni e senti la mia voce che dice: “Sinistra alla prossima traversa, no a destra. Sai cosa? Vai dritto”» (quando aveva pensato di dare la sua voce a un navigatore satellitare). «Sono felice, soltanto di poter attraversare le cose. Non ho bisogno di essere felice. Felicità è una parola stupida. C’è un tipo di felicità che è molto, molto snob. Mettiamola così, non sono il tipo che si taglierebbe un orecchio se qualcosa non va. Preferirei suicidarmi. Mi sparerei in testa se le cose andassero male». «Devi arrivare alla gente. C’è il vecchio e c’è il nuovo, e bisogna entrare in sintonia con entrambi. Il vecchio va via e il nuovo avanza, ma non c’è un confine marcato. E poi, prima che tu possa accorgertene, è tutto nuovo. Che fine ha fatto il vecchio? È come un trucco magico, non devi perdere il filo». «Gli anni ’50 furono un periodo più semplice. Almeno, per me fu così. Non ho mai sperimentato nessuna di tutte quelle cose che senti sempre raccontare dalle persone della mia età che vivevano nelle grandi città. Dove sono cresciuto io, eri lontanissimo dall’influenza di qualsiasi centro culturale. Era un posto fuori dalle mappe. Ma avevi un’intera città a tua disposizione, e mentre giravi per le strade non percepivi mai nulla di simile alla tristezza, alla paura o all’insicurezza. C’erano solo i boschi, i fiumi, il cielo e l’avvicendarsi delle stagioni. Tutta la cultura che c’era concessa era rappresentata dal circo, le giostre, i predicatori, i piloti acrobatici, qualche occasionale spettacolo comico e le big band. E poi la radio: show potentissimi con musica potentissima. Era prima che arrivassero i supermercati, i centri commerciali e tutto il resto. Per questo dico che era tutto più facile. E se cresci in quel modo, ti rimane dentro». «Le mie canzoni riguardano soprattutto l’individuo: sono difficili da condividere. Non ho mai immaginato che la gente cantasse insieme a me, sarebbe stato ridicolo. Non sono il tipo da falò sulla spiaggia». «Il tuo compito è far sentire alla gente le proprie emozioni, non le tue. Un performer, quando sa fare il suo mestiere, non prova alcuna emozione. È questa l’alchimia che appartiene ai cantanti». «Le congetture che sento fare su di me sulla base di quello che scrivo sono irrilevanti. Se vado a vedere un film come Cime tempestose, non mi chiedo come sia davvero Laurence Olivier. Se vedo un attore sul palco, non penso a come sarà nella realtà. Sono lì perché voglio dimenticare me stesso e ciò che mi preoccupa nella vita reale. Lo spettacolo è un po’ come lo sport, da questo punto di vista». «Le tournée possono significare quello che vuoi. Viaggi, vedi cose che standotene seduto a casa tua non avresti mai visto. E suoni per uomini e donne di tutti i Paesi e di tutte le nazionalità». «In uno studio di registrazione, le canzoni non sono mai vive. Fai del tuo meglio, ma è come se ti mancasse sempre qualcosa. E quel che manca è il pubblico. Per questo Frank Sinatra, quando registrava, portava quanta più gente poteva in studio: per avere una presenza fisica che l’aiutasse a entrare nelle canzoni». «Questo non è un mestiere in cui si va in pensione: svanisci lentamente, piuttosto. Perdi l’energia. La gente non è più interessata a te». «Tutti hanno una vocazione: grande o piccola, non importa. Ma sono pochi gli eletti. Ci sono troppe distrazioni, quindi rischi di non scoprire mai chi sei veramente. E infatti molte persone non ci riescono». «Ok, vuoi sapere cosa ne penso? Obama mi piace. Ma stai facendo la domanda alla persona sbagliata. Sai a chi lo dovresti chiedere? A sua moglie: è l’unica che potrebbe raccontarti qualcosa che conta davvero. Io l’ho incontrato solo un paio di volte, e cosa vuoi che ti dica? Ama la musica. È una persona piacevole. Si veste bene. Che cazzo vuoi che ti dica?». «Riesco a scrivere canzoni anche in una stanza piena di gente. L’ispirazione può arrivare in qualsiasi momento. È magia, va ben oltre la mia persona». «I bluesmen vivevano vite difficili, di grande sofferenza. Io ho troppo rock&roll nel sangue per potermi considerare un cantante blues». «Non ho mai avuto nessuna crisi religiosa. La fede è qualcosa che devi amplificare giorno per giorno. E comunque, tutti prima o poi attraversano una crisi, questo è certo». «Chi può definire la mia fede? Nessuno, credo. Io vedo la mano di Dio in ogni cosa: in ogni persona, in ogni luogo. Si può avere fede in qualunque cosa, no? Tu potresti aver fede nel Bloody Mary che stai bevendo. Forse ha il potere di calmarti». «Credo nel Libro della Rivelazione. Credo nella sua divulgazione. Ma c’è verità in tutti i libri: Confucio, Sun Tzu, Marco Aurelio, il Corano, la Torah, il Nuovo Testamento, i sutra buddisti, il Bhagavad-Gita, il Libro dei morti egiziano, e migliaia di altri testi. Non puoi affrontare la vita senza leggere qualche buon libro». «Lungo quante strade dovrà camminare un uomo? Non dico correre, né guidare, né strisciare. Solo camminare. Sono cresciuto con il blues che cammina. Walking to the New Orleans, Cadillac Walk, Hand Me Down My Wakin’ Cane. Mi viene naturale, forse non so scrivere altro». «Ma perché quando si parla di me la gente deve diventare scema? Che cazzo di problema hanno? Ok, ho fatto un incidente con la moto. Ok, ho suonato con la Band. E, sì, ho anche fatto un disco che si chiamava John Wesley Harding che – ok – aveva un suono diverso. E allora, cazzo? Pretendono di avere risposte su cose che non so nemmeno io. E si ostinano a cercarle». «Nessuno sa niente». «Cosa c’è da capire? Chi mi dovrebbe capire? I miei parenti? Dovrei essere quello che si aspettano da me, un artista incompreso che vive in una soffitta? Che c’è da capire?». «La citazione è parte integrante della tradizione: nel folk, nel jazz, si è sempre fatto così. Ma secondo i miei critici, questo vale per tutti meno che per me. Henry Timrod: chi l’aveva mai neanche sentito nominare prima che io lo citassi? Chiedi ai suoi eredi che ne pensano di tutta la pubblicità che gli ho fatto. Sono gli smidollati e le fighette a tirar fuori polemiche come questa. Se pensate che citare sia così facile, fate pure e vedete cosa riuscirete a tirare fuori». «Provano da tutta la vita ad appiccicarmi addosso il nome di Giuda. Giuda, l’uomo più odiato nella storia dell’umanità! Ma perché? Perché ho suonato la chitarra elettrica? Come se suonare una chitarra elettrica fosse equiparabile a tradire nostro Signore! Per quanto mi riguarda, tutti questi figli di puttana possono marcire all’inferno...». «Dipingo quadri come qualcun altro cucirebbe vestiti: lo faccio per le persone». «Like a Rolling Stone segnò una svolta per me. Mi fece capire che non avrei scritto né poesie né romanzi, solo canzoni». *** Frasi su Bob Dylan «Mi chiedono: ma si rende conto che lei è l’unica che ha visto Bob Dylan e Steve Jobs nudi? E allora? Sì ho avuto due relazioni con loro, e allora sono una celebrità?» (Joan Baez). «Elvis ci ha liberato il corpo, Bob Dylan ci ha liberato la mente», (Bruce Springsteen). «Bob Dylan pubblicò un album di canzoni d’amore tratte dal vecchio Great American Songbook e la gente lo prese in giro perché il risultato non era buono. Lui si presentò ai Grammy e ripeté una cosa che gli aveva detto il grande Sam Cooke: non importa se canti bene, l’unica cosa che conta è se stai dicendo la verità» (Meryl Streep). «Ricordo che andammo a trovare Dylan quando stava al Mayfair Hotel. Lui era nella stanza sul retro, mentre io, Brian Jones, Keith Richards e un paio di tizi aspettavamo nella stanza accanto. Entrammo dopo un’oretta, quando venne il nostro turno, come quando si va a porgere omaggio a qualcuno. Incontravamo tanta gente in quel modo. Io andai a trovare Bertrand Russell, il filosofo. Gli chiesi: “Posso venire a trovarla?”. “Ma certo”. Ero entusiasta. Quando invece andai da Dylan, gli suonai un pezzo dell’album Sgt. Pepper, e lui disse: “Oh, capisco, non volete più essere carini”. Era una perfetta sintesi. Il periodo “carino” era finito. Dylan portò la poesia nei testi, e John si mise a scrivere You’ve Got to Hide Your Love Away: “Ehi!” Un pezzo molto alla Dylan. Eravamo profondamente influenzati da lui e lui era molto influenzato da noi. Aveva ascoltato I Want to Hold Your Hand perché era la numero uno negli Stati Uniti. Dopo il middleeight faceva: “I can’t hide”, “I can’t hide”, “I can’t hide”» (“non posso nascondere”, ndt), ma lui credeva che dicesse: “I get high”, “I get high”, “I get high”» (“mi sballo”, ndt). “Adoro quel pezzo, amico” mi disse. Dovetti spiegarglielo: “No, in realtà dice ‘I can’t hide’”» (Paul McCartney, in La versione di Paul, Piemme, 2016). «Avevo un contratto per tradurre tutto Dylan, e ho stravolto anche Blowing in the Wind. Su Ballad of a Thin Man però si innervosì molto e ci organizzarono un incontro a Londra: stracciò il testo davanti a me. Io gli chiesi che cosa voleva dire la canzone, mi rispose che non aveva capito nemmeno lui. Ma fu carino, simpatico. Mi disse che aveva letto tutti i miei testi» (Giulio Rapetti Mogol). «Si dice che Fabrizio De André sia il Dylan italiano, perché non dire che Dylan è il Fabrizio americano?» (Fernanda Pivano). «E se io scrivo canzoni perché non definirle opere d’arte? È probabile che nessuno dei miei colleghi italiani sosterrebbe questa tesi con la stessa mia supponenza. Ma quando ascolti Bob Dylan cosa provi? Cosa ti arriva dal suo mondo? In America nessuno si sognerebbe di negare che la sua sia arte e che le sue canzoni esprimano dignità e potenza artistica» (Francesco De Gregori). «Avevo letto un’intervista a Bob Dylan che raccontava un trucchetto: se aveva le parole di un nuovo brano, ma non la musica, allora prendeva una delle sue preferite e ne rubava l’armonia» (Carla Bruni). «L’artista che forse rispetto di più al mondo, che continua a fare la sua cosa, non si interessa mai ai singoli e alle classifiche, perché lui è sempre stato Bob Dylan» (Elton John). «In Dylan esiste un livello di arrangiamento e organizzazione generale del testo e della musica che fa spavento» (Francesco De Gregori). «È stato un maestro che nella contrapposizione concettuale all’interno di una stessa composizione non aveva rivali. Il tono grottesco, il fumettistico, il politico, l’intimista. In Dylan trovavi tutto» (Francesco De Gregori). «Io convivo con l’ombra di Dylan da sempre, il mio linguaggio era in sintonia col suo perché l’ho sempre studiato. Quando mi dicono: ma tu copiavi Dylan, io rispondo, ma sì certo, come si può non farlo, avevo quindici-sedici anni, volevo fare il cantautore e uscivano a raffica dischi come Bringing it all back home, Higway 61, Blonde on Blonde, tutti hanno preso da lì, anche i Beatles» (Francesco De Gregori). «La musica disseminava verità, e nella bocca di persone come Bob Dylan divenne un’arma d’istruzione di massa» (Patty Smith). «Quanto a Bob Dylan, non sono i testi quello che preferisco in lui, quanto il modo incredibile di cantare» (Michel Houellebecq). «Sai come diceva Bob Dylan? Faccio solo del mio meglio per essere quel che voglio» (Massimo Bottura). «Le prime canzoni di Bob Dylan erano già ricche di storia e di cultura, eppure lui era poco più che un ragazzino. I vent’anni non vanno associati per forza all’inconsapevolezza» (Cesare Cremonini). «Quel che dice Bob in materia di musica è legge» (Keith Richards). «Ho sempre amato la malinconia rassegnata di Like a rolling stone. Dà un’idea poetica della metà degli anni Sessanta. Erano gli anni della rivolta e poi vennero gli anni della disillusione, della rivolta contro la rivolta. E questa canzone li contiene tutti» (Giuliano Ferrara). «Un altro completamente matto era Bob Dylan. Suonava all’Olympia nel ’66: in camerino mi dice che al George V, dove lo avevano alloggiato, non fanno che disturbarlo e mi chiede di venire a stare da me. Così sbarca a Neuilly, sottobraccio la sua discografia completa: per tutta la notte, ogni santa notte, non ha fatto che riascoltare i suoi dischi. Tutte le notti, appena rientrato dall’Olympia. Quando mi alzavo lui andava a dormire. Poi un mattino pouf, non c’è più, sparito senza neanche un grazie» (Johnny Hallyday). «Passo un sacco di tempo in macchina con mio figlio Henry e ne approfitto per insegnargli delle cose. Gli ho detto: “Henry, quali sono le due cose importanti da sapere, le uniche indispensabili?”. Lui mi ha risposto “Una è essere bravi con le altre persone”. E poi m’ha chiesto “Qual è l’altra?”. “È che il più grande songwriter del mondo è Bob Dylan”. Ecco le cose da sapere. Signori e signori… il grande Bob Dylan!» (David Letterman). «Quando per la prima volta ascoltai Like a Rolling Stone sapevo che stavo ascoltando la voce più legnosa che avessi mai sentito: era scarna, sembrava allo stesso tempo giovane e vecchia» (Bruce Springsteen). «fermi: se c’è un mito sopravvalutato è quello dell’originalità. Dylan rubava, gli Stones rubavano» (Vinicio Capossela). «Quel suo stile sensuale e distaccato da dandy elettronico, indebitato sia con il cabaret che con i crooner del passato, diventato il suo marchio di fabbrica. Resta uno dei pochi Padrini del pop ad avere esteso la sua influenza sui generi più diversi: dal punk ai new romantici, dalla dance alla trance» (Bryan Ferry). «Confesso che allora non ci capii quasi nulla di Bob Dylan, il testo era difficile e lui non metteva le parole negli album» (Caetano Veloso). «Ha un volto che cambia continuamente e gli occhi di un serpente» (il fotografo Richard Avedon). «Bob Dylan che arriva a una festa: la moglie del padrone di casa si è rotta una gamba ed è tutta ingessata; tra i due scocca la scintilla e fanno l’amore per tutta la notte in una tenda montata in giardino, con l’assenso del marito di lei, contento – dopotutto – perché quello ”era pur sempre Bob Dylan”» (Delfina Rattazzi, figlia di Susanna Agnelli). «Eravamo dylaniani fino al midollo, fu lui, non Marcuse, a farci scoprire la contestazione studentesca e la canzone di protesta» (Francesco Guccini). «Senza Bob Dylan la musica sarebbe morta su se stessa» (Antonello Venditti). «Viene a mangiare il cous cous a casa mia. Viene, mangia e sta zitto. Mi chiama sempre quando capita in Italia. Quando lo feci incontrare con Francesco De Gregori non si capiva chi dei due era più emozionato» (David Zard, produttore musicale). «Penso che solo l’Accademia Svedese potrebbe considerare letteratura quella del pur grandissimo Dylan» (Jonathan Franzen). «Dylan è un gigante della musica. In concerto ha ripreso due mie composizioni, Les bons moments (The times we’ve known) e Hier encore (Yesterday when I was young). Ci siamo incontrati per la prima volta qualche settimana fa, a Parigi. È stato commovente. Che potevamo dirci? Abbiamo spalancato le braccia: “Charles!”, “Bob!”» (Charles Aznavour). «Con Dylan, condivido ancora il motto “Non c’è niente che pos­sa prendere da voi se non una coscienza inquieta”» (Leonard Cohen). «Ho per suoneria del cellulare Blowin’ in the Wind di Bob Dylan. Mi piace e per quello che rappresenta per me e per la mia generazione» (Susanna Camusso). «Bob Dylan non è un messia, è un avatar» (Marianne Faithfull). «Bob Dylan ha provato a portarmi a letto. Ero incinta e stavo per sposarmi. Lui stava scrivendo una poesia per me. Si è infuriato e l’ha stracciata davanti ai miei occhi. Suppongo che non gli servisse più come strumento per intrigarmi. Eravamo giovani e impetuosi. Non ho rimpianti, mi è rimasta solo la curiosità di sapere che cosa avesse scritto per me» (Marianne Faithfull). «Tutti hanno questa idea romantica di noi, perché sembravamo una coppia magica, e per un po’ lo siamo stati» (Joan Baez). «È lo Shakespeare della canzone» (Jovanotti). «Bob Dylan, soprattutto quello di Blonde on Blonde, è forse l’influenza letteraria più forte che io abbia mai sperimentato. È stato lui a trascinare la letteratura nella musica, riportandola all’origine degli aedi e dei cantori omerici» (Andrea De Carlo). «Ho letto la meravigliosa autobiografia di Bob Dylan, Chronicles. È scritta benissimo con momenti di scrittura sciattissima, parole usate male – come per esempio, evidentially al posto di evidently. Incredulously invece di incredibly. Credo che l’editore – o qualcuno – abbia pensato che rientrasse nella sua Bobbaggine» (Salman Rushdie). «La sua musica mi commuoveva. Scrisse un poema per me, For Françoise Hardy at the Seine’s Edge, e una sera mi invitò nella sua camera d’albergo per farmi sentire in anteprima due inediti. Magro, scheletrico, aveva le unghie lunghe e le dita gialle, mi fece quasi paura» (Françoise Hardy). «Al contrario, Dylan è la persona più dolce e timida che conosca. È capace di amorevoli conversazioni, profonde. Un uomo sul quale io posso contare. Da sempre gli hanno costruito un muro attorno, e poi lui non ama parlare della sua vita privata. Mi pare più che legittimo» (David Zard, produttore musicale). «Non mi dispiace Blowin’ in the wind di Bob Dylan. Quel vento può essere letto come l’attesa di una epifania» (il cardinale Gianfranco Ravasi). «Dylan è un caso a parte. Ha capito che il pubblico non si merita niente perciò in concerto non concede nulla e stravolge le sue canzoni al punto da renderle irriconoscibili. Ma lui se lo può permettere» (Edoardo Bennato). «L’autobiografia di Dylan è abbastanza delirante: i primi tre capitoli parlano di trenini elettrici perché lui è un amante dei trenini elettrici» (Francesco De Gregori). «Naturalmente ho adorato le Chronicles di Bob Dylan: mi hanno fatto sentire orgoglioso di essere un musicista» (Bruce Springsteen). «Sylvester Stallone voleva che Bob Dylan cantasse il tema finale di Rambo, credo il numero 3. E allora sono stato a casa sua a Malibu e gli ho proposto un pezzo: a lui è piaciuto e lo ha cantato. Poi qualche giorno dopo mi ha chiamato e mi ha detto che non se ne sarebbe fatto più niente. Forse non gli piaceva la canzone ma più probabilmente ha capito che forse non era il film giusto per lui. E pensare che Sylvester insisteva tanto per avere proprio lui» (Giorgio Moroder).