Gian Carlo D’Orazio, Oggi 12/10/2016, 12 ottobre 2016
HO VISTO MUSSOLINI CON LE SUE AMANTI
A Riccione, nel garage di Tonino Bologna, socialista innocuo anche per la Questura, veniva parcheggiata l’Alfa Romeo spider di Benito Mussolini quando arrivava da Roma. La guidava lui con a fianco Boratto, autista fedelissimo.
L’amante Clara Petacci invece era ospite con la sorella Miriam nel Grand Hotel di Rimini, sorvegliata per ordine del Duce dal cavalier Stella, primo portiere del Grand Hotel.
Mussolini odiava essere seguito – in particolare nei suoi momenti più romantici con Claretta – dalla propria asfissiante polizia presidenziale, dominata dall’insonne questore Rocco che vedeva in ogni persona che si avvicinava un probabile attentatore.
Con la complicità del fedele maresciallo Tossici, il Duce si faceva dare dal buon amico Tonino la sua vecchia polverosa Balilla, che nel buio della sera a fari spenti il maresciallo guidava fin sulla rotonda sul mare. Lì Mussolini in ombra saliva veloce, e da lì a Rimini, sempre di nascosto nel cortile del Grand Hotel dove una Claretta tremante d’emozione in attesa, protetta dal buio, saliva sulla vecchia Balilla. E via sulle dolci profumate colline di Romagna, dove Benito e Claretta si amavano in libertà.
LA TRAGEDIA DI DOLLFUSS ASSASSINATO DA HITLER
Nell’estate del 1933 è ospite del Duce in Villa Santangelo, proprio di fronte a Villa Mussolini, il cancelliere austriaco Engelbert Dollfuss con la signora Alwine e i piccoli Rudy ed Eva, subito con noi sulla spiaggia a costruire magnifici castelli. E anche nell’estate del 1934 in vacanza a Riccione, sempre ospiti del Duce e di Donna Rachele. Ma nel luglio di quell’estate il cancelliere deve tornare d’urgenza a Vienna per contrastare un arrembante Hitler che vuole annettere l’Austria alla sua Germania.
E lì Hitler lo fa uccidere. Costernazione e dolore grande per i suoi familiari rimasti a Riccione. Mussolini è inferocito per l’uccisione dell’amico: manda subito due divisioni al Brennero come monito al dittatore tedesco: che non osi annettere l’Austria.
A Riccione verrà celebrata una solenne Messa funebre per il cancelliere, con tutti noi delle scuole elementari di Riccione, autorità e tanta gente.
Un pomeriggio anch’io sono stato involontario testimone dello sfogo del Duce verso un Hitler che, allora, disprezzava. Tutti noi ragazzi lì in villa nei caldi pomeriggi estivi saltavamo facilmente la siepe di pitosforo che separava il parco dalla spiaggia, e giù in acqua a rinfrescarci. Ma a me col costume bagnato addosso, al fresco dei pini, venivano spesso brutti mal di pancia. Donna Rachele, lì a sorvegliare, come mi vedeva torcermi dai dolori, mi urlava: «Cicci, corri subito a casa se no mi sporchi il giardino!». E io ubbidivo.
Anche quella volta mi capita lo stesso inconveniente, e mi avvio verso il cancello. Scorgo fuori della veranda un inferocito Mussolini che urla a Donna Rachele brutte parole contro Hitler: «Quell’imbianchino austriaco!» E Rachele aggiunge di suo altre espressioni in dialetto romagnolo. Purtroppo questo disprezzo durerà solo quattro anni, fino al 1938.
LA DIVA ASSIA NORIS TRESCA CON OSVALDO
Un’estate Mussolini non può dire di no a un grande regista che gli chiede di ospitare in villa sua moglie, grande diva cinematografica: Assia Noris. Una nervosa e gelosa Donna Rachele deve far buon viso alla bellissima diva che arriva su una splendida Lancia blu scoperta ed entra in villa altera, con tante valigie e un marito vestito di bianco, che subito riparte.
La osserviamo annoiata girare per il parco, sempre nascosti in ammirazione. Un pomeriggio chiede un maestro di tennis con cui giocare qualche partita. E Osvaldo arriva la mattina dopo: alto, elegante, con maglietta e pantaloni lunghi bianchi. Iniziano le partite a tennis tra la diva e Osvaldo: occhieggio ammirato mentre raccolgo le palle porgendole con gentilezza alla diva che mi sorride, e io nei mammoli. Per diversi giorni lotto con gli amici per essere il solo a raccogliere le palle.
Ma un pomeriggio mi trovo disoccupato: vediamo arrivare al campo l’Osvaldo con due biciclette. Subito la diva urla di gioia, monta su una bici e seguita da un sorridente Osvaldo vanno via dalla villa.
Donna Rachele si preoccupa per il ritardo della diva: il Duce prima di partire per Roma le aveva raccomandato di vigilarla, come da desiderio del marito. Lei pur sbuffando l’aveva promesso, e ora con noi ragazzi attorno è in attesa, sempre più nervosa. Vediamo arrivare il grande regista sulla sua bellissima Lancia. Si chiude in casa con Donna Rachele.
A pomeriggio molto inoltrato la grande attrice e Osvaldo rientrano in villa sulle due biciclette, entrambi sorridenti e allegri. Sorrisi che si spengono quando esce di casa un inferocito regista che grida alla moglie, la quale reagisce urlando anche lei frasi dure verso di lui. Osvaldo è paralizzato dalla scena, lì in un angolo con a fianco la sua elegante bicicletta Bianchi. Dopo lo sfogo contro la moglie che rientra in casa, il regista si gira verso Osvaldo, e urlando si precipita verso l’auto nascosta nel parco. Lo vediamo sconvolti tornare imbracciando un fucile che punta su un Osvaldo più sconvolto di noi. Il ragazzo fulmineo monta in bici e via veloce, inseguito come una furia dal regista che non può sparare impedito da Peppino, la guardia, sempre in villa, che gli toglie l’arma e cerca di calmarlo accompagnandolo all’interno dalla moglie.
Noi lì sollevati che non fosse successo niente di tragico. E in serata pure noi abbiamo dato il nostro accorato addio a una diva immusonita, nascosta dietro grandi occhialoni scuri, sulla Lancia che è partita sgommando. E Donna Rachele finalmente sorridente.
LA MAESTRINA DI BUONE MANIERE
Donna Rachele durante i mesi estivi voleva che i suoi due figli minori. Romano e Anna Maria, un po’ scatenati, imparassero le buone maniere. Scova su in collina, vicino a Predappio, una giovane maestrina: zitella, occhialuta, capelli raccolti sulla nuca, lunga sottana, educatina. Le piace e l’assume. Noi ragazzi la vediamo arrivare con un buffo cappellino in testa e un valigia di cartone, timida, con occhiali. Solo a nominarle il Duce, la ragazza s’intimorisce. Donna Rachele di lei si fida: non s’innamorerà del marito, come succedeva alle donne che assumeva, ma che doveva allontanare quando sentiva odore di bruciato. Con la maestrina si sente sicura.
Un giorno Rachele è di ritorno a Riccione dalla Rocca delle Caminate, regalata al Duce dai forlivesi. Stanca e sudata, entra in sala da pranzo. Vede Benito seduto al tavolo che divora le sue verdure e tanta frutta, da buon vegetariano. Accanto al Duce, però, scorge anche la giovane incolore maestrina, non più timida, ma con i capelli biondi sciolti sulle spalle e un lungo camicione quasi trasparente, scollata, con gli occhi azzurri da miope che sbatte continuamente, estasiata. Non si accorge dell’arrivo di Donna Rachele, che si mette a urlare in predappiese.
La maestrina si alza di scatto e, sbattendo contro i mobili, scappa veloce dalla sala. Mussolini imperturbabile continua a divorare i suoi piatti di verdure, e non risponde alle accuse di una Donna Rachele furibonda. Noi ragazzi, sorpresi dalle urla, vediamo correre verso il cancello la maestrina di buone maniere col suo buffo cappellino e la valigetta di cartone, in un pianto dirotto. Donna Rachele arrabbiata sta lì sulla veranda col braccio alzato e gli occhi severi.
«CARO BENITO, TI FREGANO!»
Nei primi Anni 40 le estati si susseguono. Noi ragazzi siamo preoccupati per le notizie belliche non più tanto buone. Ma la Riccione balneare è sempre vivace e gioiosa. Però vediamo il Duce sempre più raramente, e Donna Rachele seria e contrariata.
Come verrà rivelato nel Dopoguerra, lei sapeva tutto: attraverso i suoi marescialli conosceva la verità, e l’ostilità crescente nello stesso regime di personaggi che tramavano contro il marito, compreso il genero Galeazzo Ciano. Lo comunicava con forza al Duce, che però non le credeva.
È il fatidico luglio 1943: siamo tutti lì in villa con Romano e Anna, senza più la giocondità di un tempo, ma ci sforziamo di vivere come sempre. Un pomeriggio caldo, giù in acqua a rinfrescarci, e io col mio solito mal di pancia ancora una volta devo scappare a casa. Passo davanti alla veranda e vedo Donna Rachele, rossa in volto, più inferocita del solito, che si rivolge a un Benito molto serio. Sorpreso mi blocco, mentre lei gli urla: «Presidente, ti fregano! Ti fregano, mi hai capito?». Ma anche quel giorno lui non le ha creduto.
Gian Carlo D’Orazio