Massimo Novelli, Il Fatto Quotidiano 9/10/2016, 9 ottobre 2016
PAVESE LIBERA TUTTI: LA SCADENZA DEI DIRITTI E L’ASSALTO AL FUORICLASSE
Quando si uccise in una camera dell’Hotel Roma di Torino, il 27 agosto del 1950, lasciò scritto sul frontespizio del suo Dialoghi con Leucò: “Non fate troppi pettegolezzi”. Invece Cesare Pavese è destinato a suscitarne ancora. Nel 2020 scadono i diritti, dopo 70 anni, per la sua opera, finora saldamente in mano alla casa editrice Einaudi, di cui lo scrittore fu una delle colonne, e agli eredi rimasti. Da quella data, pertanto, la pubblicazione di romanzi e raccolte poetiche sarà libera, e chiunque potrà dare alla stampe La luna e i falò o La bella estate.
È proprio l’annunciata deregulation, questo Pavese senza più contratto come un qualsiasi calciatore svincolato sul mercato, ad avere indotto Guido Davico Bonino, scrittore, critico, docente universitario, dirigente all’Einaudi per diciassette anni, a lanciare l’allarme. Un segnale di pericolo, il suo, motivato dalla paura che la liberalizzazione possa significare una commercializzazione poco rispettosa del narratore nato a Santo Stefano Belbo, nelle Langhe, nel 1908. Soprattutto tenendo conto del fatto che i libri di Pavese sono ancora tra i più venduti in Italia e all’estero; tra gli anni Quaranta e oggi l’Einaudi ne ha diffuse oltre quattro milioni di copie, senza tenere conto dei tascabili Mondadori e delle edizioni scolastiche. Intervenendo ieri a Torino, nell’ambito di “Portici di Carta”, a un incontro su Augusto Monti, che di Pavese fu maestro e amico, Davico Bonino ha ricordato la scadenza del 2020, aggiungendo che diversi editori, tra i quali ce n’è uno “importante”, si sono detti pronti a stampare i libri dell’autore de Il mestiere di vivere.
“Non vorrei”, ha affermato, “che i romanzi di Pavese venissero affidati a certi ‘giovani critici’ romani, che tanto giovani non sono”. L’intellettuale torinese non ha fatto nomi e non ha voluto entrare nel merito delle preoccupazioni. Ma è evidente che si riferiva al timore che Pavese possa finire in mano a personaggi che di “pavesiano” hanno poco o niente, che potrebbero presentarlo e interpretarlo in modo arbitrario, magari privilegiando la sua tormentata esistenza, gli amori finiti male, il suicidio, rispetto alla letteratura. La speranza di Davico Bonino, in sostanza, è che la storica casa editrice dello scrittore langarolo, ossia l’Einaudi, faccia tutto il possibile per salvaguardarne opera e memoria.
C’è davvero il rischio che lo svincolato Pavese possa passare, per restare nella metafora calcistica, dalla serie A alla Lega Dilettanti? Franco Vaccaneo, ideatore e a lungo animatore della Fondazione Cesare Pavese di Santo Stefano Belbo, non sembra nutrire quelle paure. “Pavese”, sostiene, “diceva che le prefazioni ai libri non servono a niente, quindi non credo che la scadenza di legge dei diritti possa nuocergli. Contano i suoi romanzi, non le introduzioni critiche”. Certo è che su Pavese, già subito dopo la morte, cominciarono i “pettegolezzi”. Fece molto discutere la biografia che gli dedicò Davide Lajolo, Il vizio assurdo, così come, anni dopo, il dramma teatrale che scrissero lo stesso Lajolo e Diego Fabbri, che fu rifiutato dal Teatro Stabile di Torino. Più recentemente, poi, una performance dell’artista Cesare Viel, da tenersi nell’albergo in cui Pavese si uccise, venne duramente contestata, perché ritenuta irrispettosa, dal critico letterario Lorenzo Mondo.