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 2016  ottobre 12 Mercoledì calendario

L’AUGUSTO RITROVATO SECONDO FERRERO: PRUDENTE STATISTA

Grandezza e decadenza di Roma di Guglielmo Ferrero ritorna, con una ristampa meritoria di Castelvecchi, in libreria e soprattutto sui tavoli degli studiosi. Per mettere a fuoco l’importanza dell’opera, apparsa per la prima volta in cinque tomi per l’editore Treves di Milano tra il 1902 e il 1907, e comprendere la cifra culturale e scientifica del suo autore è utilissima la lettura di due succosi saggi introduttivi di Laura Ciglioni e Laura Mecella.

Guglielmo Ferrero fu uno studioso poliedrico, discusso, amato Oltralpe e duramente avversato dal mondo accademico italiano. Di formazione progressista, in qualche misura socialista con tendenze radicali e per questa ragione schedato dal ministro dell’Interno sin dal 1894, convinto antimilitarista e orgoglioso antifascista, allievo di Cesare Lombroso, Ferrero fu un esponente di quel positivismo che permeava larghi settori del sapere e si contrapponeva all’idealismo crociano e gentiliano.

Grandezza e decadenza di Roma si opponeva alla visione di un gigante della storiografia del tempo Theodor Mommsen, che nel 1902 per la sua Römische Geschichte riceveva il premio Nobel per la Letteratura. All’apologia mommseniana di Cesare, quale autentico genio politico, Ferrero opponeva la straordinaria stagione augustea. Per contrastare la quasi unanime lettura di Augusto come il distruttore della repubblica e l’instauratore di un regime autoritario, il principato, Ferrero dipingeva Cesare a tinte fosche, un violento, un despota, l’uomo della illegalità repubblicana.

L’Augusto di Ferrero è un geniale, sagace e prudente statista, capace di chiudere il secolo delle guerre civili con il terribile catalogo di nefandezze, cioè le liste di proscrizioni fonti di lutti, distruzioni e sovvertimento sociale. Questo è uno dei tratti più originali di Ferrero: la descrizione di Augusto come il restauratore della res publica ed erede di un campione del pensiero repubblicano, quel Cicerone, paradossalmente finito in cima alle liste di proscrizione per volontà irremovibile di Antonio.

Grande fortuna ebbe nella sua amata Francia e negli Usa, che esercitarono su Ferrero un particolare fascino. Theodore Roosevelt in visita in Italia volle incontrarlo tra la sorpresa generale e si adoperò per fargli avere una cattedra. Ma nessuno in Italia riuscì a superare l’intransigente opposizione di personalità come Croce e De Sanctis.

Fu invece Ginevra a regalargli la gioia della cattedra in Storia moderna nella Facoltà di lettere e in Storia militare presso l’Institut des Hautes Études Internationales.

Nell’opera di Ferrero, che oggi merita, ingenuità a parte, una piena rivalutazione anche per la scoperta di nuovi documenti epigrafici, papirologici e numismatici su Augusto, si fa giustizia della lettura del principe nero propugnata da Ronald Syme, nel suo classico The Roman Revolution scritto alla vigilia della Seconda guerra mondiale e influenzato dalla marcia su Roma e dall’irrompere in Europa dei fascismi e del nazismo.

Non esitò mai di manifestare la sua aperta avversione al fascismo e a Mussolini, e in un libriccino del 1925 dal titolo La democrazia in Italia, subito sequestrato e non distribuito, Ferrero tornava sulle analogie delle violente affermazioni di Cesare e Mussolini, sottolineando la profonda differenza che distanziava quelle esperienze dalla storia politica e istituzionale di Augusto.