Umberto Broccoli, Sette 7/10/2016, 7 ottobre 2016
FOTOROMANZA– [EDONISMO SENTIMENTALE E DEFINIZIONE DELL’AMORE: PER GIANNA NANNINI È UNA CAMERA A GAS, PER LOPE DE VEGA LO SA CHI L’HA PROVATO]
1984 anno romanzato. Nel 1948 George Orwell aveva immaginato un mondo dominato da un partito unico e gestito da un Grande Fratello. Ovviamente dal 1948 in poi Orwell passa per visionario con qualche venatura di follia. Avvicinandoci al 1984 ci si rende conto di come in definitiva avesse sì esagerato, ma mica poi tanto. Perché la tendenza al Partito Unico si riaffaccia un po’ ovunque prima e dopo il 1984: tendenza raccontata da Orwell per esorcizzarne i rischi a tre anni dalla fine della guerra, ritenuta inimmaginabile nel ventennio liberista e libertario dei Sessanta-Settanta, tornata alla ribalta proprio negli Ottanta e consacrata nei decenni successivi, quando l’espressione Grande Fratello si è diffusa come un’epidemia televisiva. 1984. Nell’era del personal computer nascente, la televisione dilaga, complice il culto dell’immagine. Tutto farà spettacolo, tutto andrà in diretta, morte compresa. Del resto gli Ottanta si erano presentati nel giugno 1981 con la tragedia di Vermicino e con la trasmissione a reti unificate dei tentativi per recuperare Alfredino Rampi, bambino caduto in un pozzo artesiano tra Roma e Frascati. Per cui non stupiscono più le riprese a Padova del comizio in cui Enrico Berlinguer perde il controllo di sé, colpito dall’emorragia cerebrale dalla quale non si riprenderà: è il 7 giugno 1984. E se nei Sessanta il filmino dell’attentato a John Fitzgerald Kennedy è un’eccezione amatoriale di Abraham Zapruder, per caso là, al posto giusto, nel momento giusto, dagli Ottanta in poi la vita in diretta (morte compresa) diventa regola. Oggi, i telefonini hanno consacrato il filmato amatoriale, al punto da far sembrare fuori luogo una ripresa televisiva o cinematografica fatta con tutti i crismi. 1984. È l’anno dell’omicidio di Pippo Fava, ucciso dalla mafia a Catania: sulle prime qualcuno parla di un delitto passionale, tanto per mandare ancora una volta la verità fuori pista. Non mi stupisce, oggi, rileggendo gli Ottanta come il decennio dell’edonismo: la mafia chiama in causa storielle fra uomini e donne, per potersi coprire ammiccando. La televisione compie trenta anni e diventa la prova dell’esistenza in vita: esiste chi appare in TV innescando il circolo vizioso arrivato fino a noi in base al quale se più appari, più conti e se più conti, più appari. 1984, anno romanzato da Orwell, dominato dalla diffusione delle telecamere, dei telecomandi e di chi comanda sulle telecamere. Anno di telecamere e anticamere piene di aspiranti stelline televisive, pronte a frequentare camere varie dopo aver superato l’anticamera. 1984. Da un anno si parla più concretamente del telefono portatile.
Nel 1983 appare sul mercato il Motorola DynaTAC 8000X: pesa un accidenti, costa tremila dollari (più o meno i nostri ottomila euro e spicci) e, telefonando, rischi buchi seri e neri nel portafoglio. Nonostante il carattere provocatorio, Gianna Nannini ripercorre strade tradizionali e non pensa al telefonino scrivendo Fotoromanza assieme a Raffaella Riva. 1984, anno fotoromanzato con lei a chiedersi quasi ossessivamente chi per primo deve fare il primo passo telefonico: «Se la sera non esci, / ti prepari un panino mentre guardi la tv.../ anche tu...? / ti addormenti con qualcuno / che alla luce del giorno non conosci più.../ anche tu...? / ti telefono o no, ti telefono o no.../ ho il morale in cantina / mi telefoni o no, mi telefoni o no.../ chissà chi vincerà...». 1984 dal romanzo di Orwell a Fotoromanza di Gianna Nannini e quel successo incredibile cantato e ricantato non solo durante l’estate del 1984. «Questo amore è una camera a gas.../ è un palazzo che brucia in città.../ questo amore è una lama sottile.../ è una scena al rallentatore / questo amore è una bomba all’hotel.../ questo amore è una finta sul ring / è una fiamma che esplode nel cielo.../ questo amore è un gelato al veleno». Una cascata di definizioni, certamente singolari, specie se confrontate alla vulgata sul tema amore. Ricordo Félix Lope de Vega y Carpio, artista della parola del secolo d’oro spagnolo. Siamo tra Cinquecento e Seicento e per Lope de Vega amore è «Sì, credetemi, amore è tutto questo / abbandonarsi, ardire, esser furioso, / tenero, aspro, liberale, schivo, / animoso, accasciato, morto, vivo, / leale, infido, vile e coraggioso; / non trovar fuor del bene agio e riposo, / mostrarsi altero, mite, egro, giulivo, / stizzito, pusillanime, aggressivo, / soddisfatto, adontato, sospettoso; / voltar le spalle al chiaro disinganno, / bere veleno per liquore grato, / scordarsi del profitto, amare il danno; / creder che un cielo è in un inferno entrato, / dar l’anima e la vita a un disinganno: / quest’è amore: lo sa chi l’ha provato». In definitiva è lo stesso terreno: «Questo amore è una camera a gas... lo sa chi l’ha provato».