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 2016  ottobre 08 Sabato calendario

IL PORTO DEL DRAGONE


Una selva di gru blu e arancioni in perenne movimento. Un labirinto di container accatastati uno sopra l’altro come in un immenso Lego multicolore. E un via-vai incessante di Tir e treni carichi di ogni tipo di merci, destinazione Europa. Marco Polo e il fascino dei suoi viaggi avventurosi non ci sono più. Chip, giocattoli e semilavorati industriali hanno preso il posto di broccati, spezie e perle. Navi immense hanno sostituito i cavalli dell’era del Milione. Una cosa però è certa: la Via della seta è ufficialmente risorta. E ha riallacciato qui sui moli del Pireo, ai piedi dell’Acropoli, l’antico cordone ombelicale che lega Celeste impero e Vecchio Continente. I soldi, ora come allora, sono il collante: Pechino, dopo un lungo corteggiamento, ha conquistato la maggioranza del porto di Atene. E visto il tesoretto che ha iniziato a investire, è qui per rimanere a lungo e riscrivere gli equilibri geopolitici ed economici del pianeta. La lenta marcia del Dragone alla conquista della testa di ponte per l’assalto (commerciale) all’Europa è iniziata alla fine del 2009. Quando, con la Grecia sotto l’attacco della speculazione e senza soldi, la Cosco – il colosso della logistica cinese – ha messo gli occhi sui tre moli del Pireo. «La prima volta che ho visto i cinesi qui è stato verso maggio di quell’anno», ricorda Takis Karagiannis, uno degli storici sindacalisti della cantieristica di Perama. «Giravano silenziosi tra le vecchie gru un po’ arrugginite e seguivano le operazioni di imbarco e sbarco delle navi prendendo appunti fitti fitti sui loro bloc notes. Nessuno di noi aveva la minima idea di cosa fossero qui a fare». Qualche mese dopo l’hanno capito tutti. E la sveglia, per Karagiannis e gli altri portuali ateniesi, è stata brusca. Le relazioni delle “staffette” orientali sono state positive. La Cosco ha contattato il governo greco, che in quel periodo – con la Troika ormai alle porte – era a caccia disperata di liquidità e di fiducia. E nell’ottobre del 2009 è scattata l’operazione Via della seta: prima con la concessione per 35 anni della gestione dei moli due e tre del porto greco. Ora, con l’intesa firmata quest’estate, con l’acquisizione del 67% del capitale dell’intero Pireo in un’operazione che – investimenti compresi – vale oltre un miliardo e regala alla Cina una preziosa chiave d’accesso ai mercati del Vecchio continente. L’entusiasmo un po’ sopra le righe di Lu Xirong, presidente della Cosco, è lo specchio più fedele delle grandi aspettative di Pechino sul porto di Atene: «Il Pireo per noi è come Argo, la nave di Giasone e degli Argonauti. Partiamo e conquisteremo assieme alla Grecia il vello dorato», ha detto il giorno della firma. Parole esagerate? Chi guarda solo lo stato di salute dei moli sull’Egeo è tentato di pensare di sì. I numeri due e tre – quelli già da anni in mano ai cinesi – pullulano di attività. Il resto dell’infrastruttura, incluso il terminal passeggeri, sembra però appartenere a un’altra era geologica e ha bisogno urgente di lifting. L’ala della cantieristica di Perama è in stato di semiabbandono: i 10mila lavoratori di due lustri fa si sono ridotti a poche centinaia. «Qui negli anni d’oro lavoravamo su 80 navi al giorno, oggi se va bene sono una decina», ammette Karagiannis. La zona di traghetti e aliscafi, che fino a metà giugno dava rifugio a 3mila migranti in condizioni precarie, è tutta da ridisegnare. L’apparenza però inganna. Per almeno due motivi: il primo è la fama da Re Mida del settore della Cosco. Quello che tocca, almeno fino ad ora, è diventato oro. Una prova? Basta guardare i numeri della parte di Pireo dove opera: nel 2010 in quest’area si movimentavano 880mila container. Oggi siamo a 2,52 milioni. Tradotto in soldoni, il business si è moltiplicato per tre in cinque anni. Il modello, insomma, funziona. L’acquisizione del controllo di quest’estate però ha un secondo significato più profondo: la santa alleanza tra il paese che sta crescendo di più al mondo e la flotta (commerciale) più potente del pianeta. Anche qui la matematica non mente: la Grecia è economicamente sulle ginocchia dal 2009 e in sette anni ha bruciato il 25% del Pil. I suoi armatori, invece, scoppiano di salute. E l’asse con la Cina – cementato dalla base logistica comune di Atene – potrebbe essere di straordinario beneficio per entrambi. I nuovi Onassis ellenici controllano il 30% delle petroliere, il 21% dei portacontainer e il 16% delle navi per trasporto di prodotti chimici che solcano gli oceani. Un’armata che ha continuato a crescere anche negli anni più duri per Atene. «Se per un solo giorno fermassero la loro Botta, ci vorrebbero tra i 6 e i 9 mesi per riportare alla normalità il traffico commerciale via mare», spiega per dare un’idea del potere dei “comandanti” greci George Xiradakis, esperto della Xrtc business consultant. Ed è tenendo d’occhio questi numeretti fondamentali che il leader del paese orientale Xi Jin Ping ha concentrato la sua attenzione sul Pireo quando ha lanciato nel 2013 la strategia “One belt, one road” come ha battezzato l’ambiziosa riedizione 2.0 della Via della seta.
Il premier Alexis Tsipras, da parte sua, ha colto la palla al balzo per fare un po’ di cassa e diversificare le alleanze geopolitiche del paese. È vero che la vendita del porto ai cinesi gli costerà un po’ di mal di pancia sindacali: i dipendenti del Pireo sono sul piede di guerra perché le condizioni di lavoro pretese da Cosco (alla voce stipendi e turni) sono molto più penalizzanti rispetto al modello di relazioni sociali un po’ consociativo dell’era d’oro del controllo pubblico. È vero che l’occhiolino strizzato agli armatori – che per una norma in Costituzione non pagano tasse sui profitti generati all’estero – gli costerà qualche difficoltà con l’ala più radicale di Syriza. L’entente cordiale con Pechino gli porta però soldi, posti di lavoro («almeno 31 mila», garantisce la Cosco) e un’alternativa alle relazioni burrascose con la Troika.
E anche l’Italia, attenta alle grandi manovre in corso nel Mediterraneo, ha mosso le sue pedine. Le Fs hanno rilevato una quota nella gestione della rete ferroviaria ellenica, i binari su cui – attraverso il corridoio balcanico – scorrerà, secondo i piani di Pechino, un fiume di merci del Celeste Impero.
La riapertura della Via della seta, ormai, è cosa fatta. E gli eredi di Marco Polo non potevano certo essere lasciati da parte.