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 2016  ottobre 11 Martedì calendario

BACCHIN: «GIOCAVO IN A POI QUEL TUFFO...»

«Poi sono rimasto lì, immobile come un paletto piantato nella sabbia. Con le voci lontane dei miei compagni e le onde che passavano sopra. Ho chiesto aiuto con un filo di voce, mi hanno risposto “Smettila di fare il cretino”. E invece era tutto vero: sono passato dal correre sulla spiaggia a essere paralizzato. Addio Serie A, la ribalta da calciatore, le cose che consideriamo normali. Tipo, salire i gradini...». Roberto Bacchin racconta la sua storia senza piangersi addosso: oggi compie 62 anni. Oppure 33. Dipende dai punti di vista. Perché nella sua vita c’è un prima e un dopo. Un passaggio brusco che avrebbe potuto portarlo in una strada buia chiamata depressione. E invece non solo ha trovato la forza per ripartire dopo l’incidente che ha stroncato la carriera del giocatore e gli ha ridisegnato in modo profondo quella da uomo, ma strada facendo ne ha apprezzato il panorama, magari sfoderando un sorriso a occhi chiusi nel pensare ai tormenti di un ragazzo dai capelli biondi e ricci che vedeva in uno stiramento il problema più grave da affrontare.

IL TUFFO Bacchin nella prima vita ha fatto qualcosa di buono. Ha vinto, ad esempio, uno scudetto. Non uno banale, ma pesante: col Torino, nel 1976. Certo, lui non era il perno di quella squadra dei sogni. Però la presenza contro il Cagliari (5-1, esordio in A) lo ha fatto entrare nella storia granata e italiana. Poi diversi buoni campionati di B (in primis a Novara, dove ha conosciuto la futura moglie e dove ha piantato radici aprendo un negozio) per ritornare in A con Udinese e Catanzaro. In Calabria ha l’appuntamento con il destino: 15 giugno 1983, un bella giornata di sole. Perfetta per portare la famiglia al mare. «Il campionato è finito da un mese: retrocessi in malo modo. Peccato, non eravamo così scarsi, ma quasi subito la squadra si era divisa in gruppi. E in campo si vedeva. Comunque, quel giorno era l’ultimo previsto dal contratto: allenamento al mattino, poi vacanze. Con Bivi e Cavasin, compagni e amici, decidiamo di andare al mare per la felicità di mogli e figli. Scegliamo Copanello: pur essendo sullo Ionio ha il fondale basso, ideale per i bimbi piccoli. “Corsa veloce, poi tuffo e infine gara di nuoto fino alle boe”. A 28 anni non percepisci nessun pericolo in un programma simile. E allora via. Quando sto per buttarmi vedo arrivare un’onda. Niente di sconvolgente, ma istintivamente invece di affrontarla decido di abbassare la testa. Finisco con il collo insaccato in una duna. Sento una scossa fortissima. E sono rimasto lì...».

RISCHIO PARALISI Il resto lo abbiamo già sentito. Manca il seguito. Ancora Bacchin: «Rimango cosciente, sulla spiaggia c’è un medico che capisce la gravità dell’incidente. Mi portano a Soverato, poi a Messina. Sono paralizzato dalla testa in giù, devono operarmi». I dottori hanno già parlato con la moglie Antonella: «Il calcio? Abbiamo altre priorità, suo marito rischia di restare per sempre su una sedia a rotelle». La signora ascolta e capisce che dovrà tenere la barra dritta per non far affondare una nave che a bordo ha pure due piccole gemelle di 5 anni. E Bacchin che cosa pensa in quei giorni? «All’inizio ho sperato che la cosa potesse rientrare, ma dentro di me avevo capito: non avrei più giocato. Per fortuna l’operazione va bene: recupero l’uso della parte sinistra, torno a Novara e parte la lunga riabilitazione. Per diversi mesi resto in carrozzina, scopro un mondo nuovo: ho difficoltà pure per andare in bagno». E’ dura, durissima. Ma proprio in quelle settimane l’ex centrocampista trova un nuovo equilibrio. «Inutile pensare alla sfortuna, macerarsi fino a sfiorare la pazzia. Ormai era accaduto, dovevo guardare avanti. La famiglia è stata decisiva: l’amore di mia moglie e quello delle bimbe mi ha permesso di uscire dal tunnel. Da solo. Mi sono dato da fare, con le gemelle ho cercato di essere un papà presente al massimo. Vista la mia condizione, ci riuscivo benissimo. Poi non essendo maschi, avevano giochi più tranquilli. Quante ore passate a pettinare le bambole... E ora sono un nonno a tempo pieno, felice».

ALLENATORE E il mondo del calcio? Non sparisce, anzi ritorna dalla porta principale. «Mi ha dato molto, forse tutto. Anche dopo: prendiamo il Catanzaro. Il mio contratto era scaduto, ma dopo l’incidente me lo hanno rinnovato per un anno pur sapendo che non avrei mai più giocato. Ogni mese arrivava puntuale lo stipendio, al minimo. E parliamo di una società retrocessa in B e poi finita in C. E tanti altri mi hanno aiutato. Ho iniziato a fare l’assicuratore, girando per i ritiri. Poi c’è stata l’occasione di fare l’allenatore: presa al volo. Nel frattempo grazie alle cure avevo ripreso a camminare, certo in modo diverso da prima. Ma era come conquistare un altro scudetto. Ho vinto un campionato di D con il Legnano, ma ho rifiutato di fare il grande salto dicendo no a Pisa e Triestina. Perché? Volevo stare vicino alla mia famiglia, erano e sono il mio centro di gravità permanente. Rimpianti? No, lo rifarei».

LE NOTTI CON PECCI E RADICE Restano le curiosità della prima vita di Bacchin. I ricordi dello scudetto al Torino. «Fantastico, un gruppo fantastico. Con Pecci giovanissimo che si prende la squadra sulle spalle. Oltre la tecnica, aveva una personalità incredibile. Sa chi oggi ha le sue caratteristiche? Verratti. Poi c’era Radice: viveva per il calcio. Chi come me non era sposato, doveva andare in ritiro dal venerdì. Così Radice ci aveva a disposizione e poteva tenerci fermi a tavola, mentre lui parlava a ripetizione di tattiche e altre diavolerie simili. Giocai una sola partita, ma è stato bellissimo. Il presidente Pianelli mi diede 15 milioni di premio, il mio stipendio annuale era di 13. Parliamo di un calcio diverso, credo migliore. Di sicuro non condizionato dai procuratori che fanno i loro interessi e non quello dei calciatori. Per fortuna ci sono le partite. Allo stadio dopo l’incidente sono andato solo un paio di volte, ma vedo tanta tv. Mi piace la filosofia di Sarri e Conte. Non vorrei essere blasfemo per i tifosi granata, ma Conte ricorda molto Radice». Copanello quanto è lontana, Bacchin? «Tanto e poco. Su quella spiaggia sono ritornato un anno dopo per superare il trauma. Poi basta, ma ho ancora tanti amici a Soverato. A proposito: credo che siano poche le cose che contano davvero per stare in pace con te stesso. Sarò presuntuoso, ma penso di averle anche se cammino male e ogni tanto vado giù per terra. Questa è la mia vita. Me la tengo stretta e non la cambio».