Daniele Martini, Il Fatto Quotidiano 8/10/2016, 8 ottobre 2016
ALITALIA, IL FLOP ARABO: ETIHAD MINACCIA L’ADDIO
Se gli arabi in Alitalia dovevano rappresentare il luminoso esempio della capacità del nostro paese di saper ancora attrarre capitali internazionali, c’è da stare freschi. Dopo nemmeno 2 anni i capi di Etihad, la compagnia dell’Emiro di Abu Dhabi che con il 49 per cento si è insediata da padrona a Fiumicino, si dicono arcistufi. Mentre Mohammed, il principe ereditario dell’Emirato che ha tra l’altro anche il 5 per cento di Unicredit, va dicendo in giro che Renzi è un “parolaio”, James Hogan, il plenipotenziario emiratino per gli affari aeronautici, accusa gli interlocutori del governo italiano di essere inaffidabili perché non hanno rispettato gli impegni assunti per invogliare Etihad a sbarcare in Italia. Primo tra tutti quello di poter utilizzare per i voli intercontinentali Linate nonostante abbia una pista di appena 2.500 metri, pensando di collegare subito Milano ad Abu Dhabi -come informano da Alitalia-Etihad – e sorvolando sulla circostanza che da Linate si vola in Europa e che Abu Dhabi Europa non è.
Quando Hogan per entrare in Alitalia con Etihad si fece promettere un utilizzo diverso di Linate, ministro dei Trasporti era Maurizio Lupi, mentre ora c’è Graziano Delrio che, sentendosi tirato per la giacca, risponde che “il governo ha rispettato tutti gli impegni”, facendo però anche capire che la storia di Linate dipende più dall’Europa che dall’Italia. Senza poter aggiungere altre due verità: che le altre compagnie europee, da Lufthansa a Air France, non hanno alcuna intenzione di cambiare registro per lo scalo milanese e che Renzi in Europa conta molto meno di quel che vuol far credere. In ogni caso lo scazzo arabi-governo italiano è così plateale da far capire che l’aria intorno ad Alitalia-Etihad sta cambiando in peggio e che gli arabi o stanno pensando a un clamoroso addio o premendo per ottenere qualcos’altro per restare.
Di sicuro la cura da loro imposta all’Alitalia non ha funzionato. Per tanti motivi, a cominciare dall’approccio: fino a prima dell’estate i nuovi manager di Etihad hanno continuato a presentare Alitalia come una rinata compagnia a 5 stelle, una sorta di estensione del modello emiratino, con in più il tocco italian style, senza preoccuparsi se era proprio questo che la clientela aspettava. Inseguendo il modello extralusso si sono concentrati sulle riconfigurazioni degli aerei (ai 10 B 777 stanno imponendo addirittura la terza). Hanno ripitturato la livrea sulle carlinghe, rivestito le hostess con colori fiammanti, piazzato il wifi a bordo. Ma gli abbellimenti non hanno fermato le perdite, inferiori di quando comandavano i “Patrioti” di Berlusconi (1 milione di euro al giorno), ma sempre elevate: 500 mila euro. Il pareggio di bilancio promesso per il 2017 è una chimera.
Ricalcando l’impostazione fallimentare dei Patrioti, i nuovi capi di Fiumicino si sono occupati della riduzione a oltranza dei costi nonostante già ai tempi di Rocco Sabelli amministratore fosse noto che il costo Alitalia sedile/chilometro trasportato (Cask) era tra i più bassi, 8 centesimi di euro contro i 12/14 della concorrenza. Con i dipendenti i nuovi padroni arabi hanno usato bastone e carota: guerra totale a quelli che considerano i facinorosi che hanno scioperato il 22 settembre e tappeti rossi agli altri. Come quei 2 piloti, per esempio, che non avendo aderito all’agitazione sono stati promossi ipso facto all’inizio d’ottobre dagli aerei di medio raggio a quelli più gratificanti del lungo.
Il punto di fondo è che gli arabi non hanno cambiato pelle ad Alitalia. La ex compagnia di bandiera resta concentrata per oltre il 50 per cento sul medio raggio grazie anche ai circa 70 aerei (su una flotta di 120) ereditati da Air One di Carlo Toto. E nel medio raggio non può guadagnare tenendo il passo con le low cost. Per fare quattrini bisognerebbe puntare sul lungo raggio, ma per cambiare strategia avrebbe bisogno di nuovi aerei che non ha: quelli utilizzabili per il lungo raggio sono appena 24. Da quando sono arrivati gli arabi, in flotta sono entrati solo 2 vecchi Airbus 330 ex Etihad riverniciati a Abu Dhabi con i colori Alitalia e entrambi messi a fare la spola con Abu Dhabi da Venezia e da Malpensa. Un terzo aereo atteso entro la fine dell’anno è un Boeing 777 comprato da una compagnia vietnamita, fatto transitare in Irlanda, ribattezzato Ei-Fni, ma per ora parcheggiato inattivo nello scalo dell’Emirato.
Sullo sfondo resta la vaga promessa, rilanciata svariate volte, di far entrare in flotta altri 20 aerei entro il 2020. Ma ammesso pure che prima o poi questi jet atterrino davvero a Fiumicino dove troverà i soldi Alitalia-Etihad per pagare i canoni di leasing? Bisognerebbe che la compagnia smettesse di perdere, ma come potrà guadagnare senza altri aerei? È il cane che si morde la coda e potrebbe essere il nuovo simbolo dellAlitalia in versione araba.