Alberto Flores d’Arcais, Affari&Finanza – la Repubblica 3/10/2016, 3 ottobre 2016
JIM KIM YOUNG, RESTA ALLA WORLD BANK. È SENZA CONCORRENTI IL BANCHIERE DEI POVERI
Quando nel 2006 il settimanale Time lo mise nella famosa lista dei cento "uomini e donne il cui talento, potere ed esempio morale sta trasformando il mondo", per il grande pubblico Jim Yong Kim era un perfetto sconosciuto. Anche chi lo conosceva bene - familiari, amici, colleghi, addetti ai lavori - era rimasto forse un po’ stupito, ma nella convinzione che se c’era uno che meritava di far parte di quella schiera di eletti, era proprio lui: quel cinquantenne medico Asian-American che vent’anni prima era stato uno dei cinque co-fondatori di Partners in Health, visionaria (e filantropica) società no-profit che si occupa di salute e che da tre anni era diventato advisor del direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità su Hiv/Aids. Sono passati dieci anni e Jim ne ha fatta di strada.
Un decennio che lo ha visto diventare nel 2009 primo rettore di origine asiatica a Dartmouth (il college del New Hampshire che è una delle otto esclusive università Ivy League) e nel 2012 presidente della Banca Mondiale (nomina a sorpresa da parte di Obama), dove pochi giorni fa è stato riconfermato per i prossimi cinque anni. Per la verità, intorno alla sua riconferma girano curiose indiscrezioni: la più diffusa è che sia stato nominato semplicemente perché non c’erano alternative, nessuno insomma voleva andare a ricoprire una posizione carica sì di onori ma soprattutto di oneri, sempre stretto fra le pressioni dei governi dei Paesi in via di sviluppo e di quelli industrializzati, con il vicino ingombrante del Fondo Monetario e la "capogruppo" Onu che ha i suoi, di problemi diplomatici e operativi.
Il dottor Yong Kim non era certo destinato a diventare un banchiere. Obiettivo dichiarato di Partners in Health era quello di "portare i benefici della moderna scienza medica a quelli che ne hanno più bisogno e di servire come antidoto alla disperazione", ma negli anni (1987-2003) in cui fu alla guida della società il "Dottor Kim" (laurea in medicina e antropologia ad Harvard) dimostrò di avere notevoli capacità anche da manager. Il ’progetto Haiti’, con il trattamento di gravi malattie infettive in loco (e l’insegnamento di come curarle) ebbe uno straordinario successo. Coinvolse oltre 100mila persone dell’isola (uno degli Stati più poveri al mondo in assoluto) con una spesa pro-capite a paziente di 150/200 dollari per curare malattie come la tubercolosi che negli ospedali degli Stati Uniti sarebbero costate cento volte tanto.
Jim Yong Kim aveva solo cinque anni (è nato a Seul nel 1959) quando i suoi genitori lasciarono la Corea del Sud per vivere il loro sogno americano a Muscatine, Iowa, piccola cittadina (circa 20mila abitanti) del Midwest, terra agricola lungo il Mississippi, che grazie al Grande Fiume diventò (ed è tuttora) un centro di scambi commerciali. I suoi genitori non erano né agricoltori, né commercianti. Il padre, dentista, venne chiamato a insegnare all’università dell’Iowa, mentre la madre aveva avuto un PhD in filosofia. E lui fin dalla High School - dove oltre ad essere "presidente" della sua classe e valedictorian (lo studente, in genere più bravo, che viene chiamato a pronunciare il discorso pubblico alle cerimonie per il diploma) era anche il quarterback della squadra di football e la point guard di quella di basket - capì (e soprattutto fece capire agli altri) che sarebbe andato molto lontano.
Nel 2012 la sua nomina alla Banca Mondiale non fu del tutto indolore. Negli Usa il fatto che il presidente della World Bank sia uno statunitense è considerato un fatto assodato, quasi fosse una carica ereditaria. Ma quell’anno, per la prima volta, c’era una forte candidatura straniera: quella di Ngozi Okonio-Iewala, apprezzata economista nigeriana, che sarebbe potuta diventare la prima donna alla guida della Banca Mondiale. Avendo nel curriculum una carriera fra i top manager della banca ed avendo l’appoggio di quasi tutti i paesi in via di sviluppo, Ngozi sembrava la candidata giusta per spezzare la tradizione maschilista (e americana) al vertice della World Bank. Niente da fare. Anche il primo presidente afro-americano degli Stati Uniti rimase insensibile a una candidatura così innovativa (come figura, perché come banchiera sarebbe stata piuttosto tradizionale) e grazie all’accordo con la Russia di Putin riuscì a imporre il suo candidato.
Un nome, quello di Jim, uscito un po’ a sorpresa e che agli occhi del presidente Usa aveva due pregi: quello di essere sì cittadino americano ma di origine coreana e nato all’estero; e quello di non essere un banchiere tradizionale e di non avere legami particolari con la Banca Mondiale. Nella sua prima intervista da nuovo presidente (che diede alla Bbc) Kim così indicava quella che sarebbe stata la sua rotta: "La priorità assoluta è la crescita e l’occupazione dei giovani. Dobbiamo puntare alla crescita economica per creare nuovi posti di lavoro, c’è nel mondo un’emergenza economica che si riflette sulla condizione lavorativa di milioni di giovani che non riescono a trovare un’occupazione. Per questa ragione, la Banca Mondiale dovrà impegnarsi a fondo e vincere la sfida". A chi lo criticava per non essere un banchiere tradizionale spiegava con calma che, pur non possedendo il know-how politico per ricoprire l’incarico di presidente della Banca Mondiale, la sua esperienza di medico gli sarebbe risultata molto utile nel suo nuovo ruolo: "Sono un medico e i medici lavorano sugli elementi, piuttosto che impegnarsi per un’unica ideologia, per un particolare punto di vista".
Il curriculum di Jim Yong Kim ha rappresentato in effetti una buona rottura rispetto al passato. I presidenti della World Bank venivano in genere o dal mondo della finanza o da quello della politica. Basti pensare a uomini come Eugene Black, in carica per tre mandati (1949-1963) che veniva dalla Chase, come Robert McNamara (1968-1981) capo del Pentagono e protagonista (poi pentito) della escalation della guerra del Vietnam fino al più recente Paul Wolfowitz (2005-2007), il neocon considerato l’architetto della guerra in Iraq, premiato da Bush Jr. con il prestigioso incarico e travolto (dopo soli due anni) da uno scandalo.
La scelta di Obama era dunque anche una chiara indicazione strategica. La Banca Mondiale si sarebbe dovuta occupare un po’ meno di economia e guardare un po’ di più alla vita (e alla qualità della vita) di chi spesso è costretto alla sopravvivenza nei paesi più poveri del mondo. Meno importanza alle fredde cifre del Pil e più attenzione a ciò che crea davvero benessere. Un ritorno a quello che era il compito originario della Banca Mondiale, quello voluto da Franklin Delano Roosevelt nel 1944. E cioè che l’economia internazionale venisse governata da due banche con compiti molto distinti: il Fondo Monetario chiamato a occuparsi di macroeconomia e la World Bank concentrata sugli aiuti allo sviluppo. Dopo cinque anni (il secondo mandato di Jim Yong Kim prenderà il via ufficialmente il primo luglio 2017) il medico-antropologo arrivato bambino dalla Corea del Sud viene dunque riconfermato. In assenza di rivali, come si diceva, e con la solita prepotenza degli Stati Uniti che considerano la Banca Mondiale un loro feudo, dicono i suoi critici.
Nel corso del suo primo mandato si è fatto parecchi nemici, dentro la World Bank c’è chi gli rimprovera una riforma della struttura interna che viene definita fallimentare, diverse organizzazioni internazionali (qualcuna seria ma non mancano quelle complottiste) sostengono che abbia fatto poco su temi come quelli ambientali. Lui non sembra preoccuparsi più di tanto, sa che c’è ancora molto da fare, ma il troppo lavoro non lo ha mai preoccupato.