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 2016  ottobre 03 Lunedì calendario

BANCHE, QUEL VUOTO INTORNO ALLO SPORTELLO

Nella gigantesca hall del palazzo inizio Novecento di via del Corso 226, un tempo sede romana della Banca commerciale italiana (e ora semplice filiale di Intesa Sanpaolo), si respira un’aria quasi spettrale, tanto predomina il vuoto. I 3-4 clienti presenti sono adagiati in comodi divani e aspettano in silenzio il loro turno. È difficile, per un giovane, immaginare che solo 15-20 anni fa ci fossero lunghe file di clienti in attesa di parlare o fare un’operazione bancaria con un impiegato, mentre un vocio indistinto faceva da chiassoso sottofondo sonoro. Ed è difficile anche, per chi ha più anni sulle spalle, credere che in così poco tempo sia cambiato così tanto. Sì, perché in filiale, ormai, non ci va quasi più nessuno. Ed è così non soltanto nelle grandi sedi di rappresentanza com’era questa di Roma o quella della Bpm in piazza Meda, ma praticamente in tutte le filiali, anche le più piccole e periferiche, almeno quelle che ci sono ancora.I clienti sono scomparsi, totalmente desaparecidos. Interargiscono con la filiale, in media, soltanto 1,3 volte al mese (dati 2015). Preferiscono usare una macchina, il bancomat (4,6 interazioni al mese). Ma è già da alcuni anni l’Internet banking a farla da padrone, con 7,9 interazioni al mese (quasi una in
più dell’anno precedente). Al terzo posto, con un balzo sorprendente da 2 a 3,4 interazioni al mese, è il mobile/tablet. Che è poi quello che ha consentito all’Italia, indietro nella banda larga e nell’uso dei computer, di fare un salto in avanti nel digital banking. Certo, le banche stanno assecondando il trend. Che è quello di un passaggio a passi (più o meno) forzati verso il digitale, dove la banca si volatilizza come elemento fisico fatto di persone in carne ed ossa e di strutture fisiche come le filiali e riappare come un’app sul cellulare o un sito al computer.
Ormai anche in Italia, secondo i dati elaborati da Accenture-Nielsen, ben il 77 per cento dei clienti transita sui canali digitali bancari almeno una volta. Inoltre, il 71 per cento di loro ha utilizzato un canale digitale per la raccolta di informazioni sui prodotti, mentre il 63 per cento lo ha usato per la comparazione delle offerte e il 43 ha acquistato un prodotto online. Se la maggior parte dei clienti è "ibrida", nel senso che usa sia il canale fisico che quelli digitali, una parte non proprio secondaria - il 37 per cento - sono pure digitals. Ovvero quelli che di entrare in una filiale non ne vogliono proprio sapere. E che cercano, e apprezzano, gli istituti di credito che offrono tutti i servizi online. E per rendere possibile questo contatto virtuale c’è davvero da sbizzarrirsi. Non serve più il codice numerico, per farsi autorizzare basta parlare o guardare la telecamera: ci sono infatti software di riconoscimento vocale e visivo. Mentre in altri casi (sebbene per ora non sia ancora suggellato da una legge) si può usare l’impronta digitale. Fin oltre ogni inverosimile film di fantascienza: sono già disponibili dei software per verificare che l’impronta sia "viva", casomai un malvivente pensasse di tagliare il dito di un cliente per entrare nel suo conto...
Insomma, la tecnologia c’è. E per le banche è soltanto una questione di investimenti. Sanno che devono farlo, che devono cavalcare l’onda digitale. E lo fanno, anche se non tutte allo stesso modo. Alcune hanno creato una banca online: la ratio è che, in attesa che si completi del tutto la rivoluzione digitale nella banca fisica, si cominciano a servire i pure digitals. Le formule sono le più varie: Unicredit ha Fineco, che peraltro era nata a suo tempo come piattaforma di trading online e che poi si è evoluta in istituto di credito a tutto tondo, con il corredo di un nucleo di promotori finanziari. Mps ha creato nel 2014 Widiba seguendo un po’ questo modello e ha avuto un incredibile successo: "Abbiamo già 7 miliardi di asset in gestione con una piattaforma digitale ex novo, distinta da quella della casa madre", dice Marco Marazia, direttore commerciale. Una delle prime banche online era stata WeBank, creata da Bpm come società a parte e poi ricompresa nell’alveo dell’istituto. Poi c’è il caso di Che Banca, nata da Mediobanca come istituto digitale e poi dotato di alcune filiali innovative, più piccole e assomiglianti più a dei salotti privati: luci soffuse, atmosfera rarefatta.
Già, le filiali. Ecco il più grosso problema per le banche (dopo quello del personale, come vedremo), anche per quelle come Intesa e Unicredit, e tutte le altre in fondo, che hanno deciso di procedere speditamente verso la banca digitale accompagnando anche i clienti più "tardivi" verso questa rivoluzione. Se infatti i clienti non vanno più in banca, a che servono gli sportelli? "In Europa lo hanno capito per tempo - dice Piercarlo Gera, senior managing director di Accenture: e infatti la riduzione sic et simpliciter delle filiali è stata dell’8,4 per cento nei 28 paesi dell’Unione tra il 2005 e il 2015. Ma con punte del 50 e più per cento nel Nord Europa. E non basta: le filiali retail potranno ancora diminuire del 40 per cento nei prossimi 5-10 anni. In Italia, invece, la riduzione è stata nello stesso periodo soltanto del 3,3 per cento". Ancora oggi il nostro paese è al vertice per sportelli su 100.000 di abitanti (49), contro i 36 della media europea. Il tema, dunque, non è che le banche non riducono gli sportelli ma che lo fanno con eccessiva lentezza rispetto all’accelerazione imposta dal mercato. Intesa però difende il suo programma: "Dalla fusione tra Banca Intesa e San Paolo - racconta Massimo Tessitore, head of Innovation and acceleration - le filiali sono già state ridotte da 6.500 a 3.500. Il nostro piano industriale prevede un’ulteriore riduzione ma anche una revisione dei layout , con spazi ridotti e salottini per ricevere i clienti. Ce ne sono già 60 ed entro la fine del 2016 ce ne saranno 150. L’obiettivo finale è arrivare a 1.000 entro il 2020".
Lo sportello è visto ancora, seppur drasticamente ridotto nel numero e negli spazi interni e modificato, come un punto di ritrovo con i clienti. Perché le ricerche - ad esempio quella di Kpmg ("Digital Banking", 2016) - dicono che, nonostante tutto, per alcuni servizi più complicati come i prestiti e i mutui o i prodotti finanziari, il 58 per cento dei correntisti preferisce ancora incontrare qualcuno nelle filiali. "Lo sportello - spiega Paolo Capaccioni, partner Kpmg che segue il tema del digitale nelle banche - è ancora considerato nel nostro paese come un simbolo di solidità: se ti vedo esisti, insomma. Ed è questo il motivo per cui Che Banca ha poi deciso di aprire alcune filiali". Il problema numero 2, o meglio il numero 1 dati i suoi rilevanti riflessi sociali, è però quello degli impiegati. Se allo sportello non ci va quasi più nessuno, se non in momenti particolari (circa 14 volte all’anno, in riduzione rispetto ai 18 del 2008 secondo una recente indagine dell’Abi) e se le operazioni online continuano a crescere e hanno ormai superato i due terzi di tutte le transazioni, a che servono tutti gli impiegati che ci sono? Del resto, il numero di dipendenti bancari è diminuito in Italia tra il 2007 e il 2015 soltanto del 12,3 per cento, da 340 mila del 2007 a 299 mila del 2015 contro il meno 29 della Spagna, il meno 21 di Gran Bretagna e Olanda, il meno 18 della Danimarca.
Non bisogna certo biasimare le banche se finora non hanno proceduto a massicci licenziamenti scaricando sulla collettività nuovi problemi. Però è un fatto che diverse ricerche stimano in almeno un terzo, dei circa 300 mila, i bancari di troppo da qui al 2020. Il premier Renzi ha addirittura parlato di 150mila esuberi possibili.. E anche a voler essere benevoli, pensando di poter riqualificare e riciclare una parte degli addetti in altre attività come i contatti con i clienti e la consulenza sugli investimenti, esiste un ulteriore rischio di espulsione di manodopera dovuto alla crescita dei software robotici che possono rispondere, come la suadente voce femminile nel film "Her", alle richieste dei clienti. Ma non è finita qui.
Come in un film dell’orrore quando si fugge da un pericolo per finire in un altro imprevisto, potrebbe non bastare alle banche italiane ridurre più drasticamente sia il numero degli sportelli che il personale per riportare la redditività a livelli più logici. Nel 2015, infatti, il Roe medio era al 2,6 per cento contro il 6,9 di quello euroeo. Il punto è che, mentre gli istituti dovrebbero abbattere filiali e personale in maniera draconiana, e mentre effettuano comunque investimenti per la transizione al digitale, nel frattempo i clienti fuggono altrove, corteggiati da altre entità che non siano le solite banche: i cosiddetti Gafa (Google, Amazon, Facebook, Apple), più Paypal, hanno propri sistemi di pagamento e nuovi servizi simil-bancari. "Nel mondo - dice Ugo Cotroneo, partner di Bcg - ci sono già 8mila imprese nate come Fintech". Anche in Italia ci sono 115 compagnie di questo tipo, alcune delle quali svolgono già sia intermediazione creditizia che consulenza finanziaria, sottraendo spazio alle banche. "Inoltre - dice Gera - le nuove regolamentazioni quali Psd2 mirano ad accrescere competizione, innovazione e trasparenza", e quindi l’arrivo di nuovi player non creditizi. Per le banche la sfida dei prossimi anni è già al limite della mission impossible . "Ma hanno anche dei punti di forza - dice Gera - e devono sfruttarli: dati sul profilo e sui comportamenti dei clienti, numero di interazioni e presenza fisica, apprezzata da molti". Ma per vincere questa sfida la velocità di esecuzione sarà essenziale.