Giulio Saetta, La Gazzetta dello Sport 7/10/2016, 7 ottobre 2016
GLOBETROTTER VERDI
Come il tennis, a volte il calcio è diabolico: impronosticabile e spesso sorprendente, forse per questo non smette di appassionare. Non bastano tecnica, sudore e nemmeno intelligenza, se la testa non è a posto, le prestazioni non arrivano. Prendi Simone Verdi: fino alla scorsa stagione 4 reti sparpagliate su 38 presenze di A, quest’anno già 3 in sole 7 partite, quasi un gol ogni 2 gare. «Sì, ma in me non è scattato niente», spiega l’attaccante, nato a Broni (Pavia) 24 anni fa. «Come per molti giocatori, ci sono annate in cui bisogna fare esperienza, ed è quello che ho fatto io nei quattro anni e mezzo trascorsi tra Serie A e B. Però, sì, forse qualcosa in me c’è di diverso: mi sento un po’ più a mio agio, e questo mi fa osare di più».
Prima di Bologna, in quattro stagioni tra prestiti e comproprietà lei ha vestito cinque maglie, senza però mai staccarsi l’etichetta di «stellina rossonera». Poi il Milan la cede a titolo definitivo e lei esplode.
«Probabilmente mi sono liberato a livello psicologico. Il girovagare col marchio Milan non è stato un bene per me. Nel senso che spesso le società, giustamente, tendono a valorizzare giocatori che a fine stagione potrebbero diventare di proprietà rispetto a quelli che devono rientrare alla casa madre».
Dopo averla venduta al Bologna per un milione e mezzo, il Milan l’ha pubblicamente salutata con «ciao Verdinho». Per quello che si è visto finora, però, nel tridente di Montella un po’ di «brasilianità» non guasterebbe…
«No. Al Milan ci sono giocatori davvero forti: lo stesso Suso, considerato scarso da molti, sta facendo vedere le sue qualità. Se fossi rimasto non avrei avuto lo stesso spazio che ho oggi al Bologna».
Nelle giovanili era famoso per battere angoli e punizioni come capitava, destro o sinistro era lo stesso. Follie di gioventù?
«Calciare con entrambi i piedi non è una follia ma una fortuna che ho fin da piccolissimo, quattro-cinque anni».
Bisettrici, baricentri... in Rete circolano perfino trattatelli sulla perfetta meccanica del suo apparato motorio. Lei si sente normale?
«Normalissimo. Ma allo stesso tempo imprevedibile. Anche se il mister mi dice sempre che devo migliorare perché in alcune fasi della partita tendo a fare le stesse cose».
L’Eibar è stato forse il punto più basso della sua carriera: nove presenze, di cui solo tre da titolare, in cinque mesi. Le mancava l’Italia?
«In realtà l’esperienza in Spagna mi ha aiutato tantissimo, soprattutto a livello psicologico, perché lì si vive il calcio in maniera diversa. In Italia, anche per colpa della pressione dei media, i giocatori tendono a entrare in campo con la faccia cattiva per dimostrare che sono concentrati. In Spagna c’è molta più leggerezza, una risata non è mancanza di concentrazione ma solo un altro modo di approcciarsi alla partita».
È vero che Cristiano Ronaldo l’ha scioccata?
«Vederlo alla tivù fa impressione, ma dal vivo è una cosa… bellissima. Impressionante. Sulle palle alte staccava due-tre secondi prima dei nostri difensori e rimaneva per aria. Insomma, di un altro pianeta».
A Carpi invece non è andata tanto male...
«Lorenzo Pasciuti mi ha aiutato tanto. In settimana mi sentivo bene, credevo di essere titolare e invece niente. Lui mi ha detto di non mollare, che i frutti prima o poi sarebbero arrivati. Lo ringrazio ancora oggi, perché aveva ragione».
Leonardo che la lanciò nel Milan di recente ha tessuto le sue lodi ma ritiene che ancora le manchi qualcosa...
«Sicuramente nella gestione della partita sono ancora troppo istintivo. Vedi contro l’Inter a San Siro, quando eravamo in sofferenza. Cercare sempre la giocata non favorisce la squadra, in quei momenti bisogna tenere palla, farsi fare fallo per far rifiatare la difesa. E poi devo trovare un po’ di continuità. Ovvio, è difficile fare gol tutte le domeniche, ma essere costantemente incisivi sì, è una cosa che devo migliorare».
La Nazionale ora è più di un pensierino visto che il c.t. Ventura, che l’ha allenata al Torino in Serie B, la sta facendo seguire?
«All’inizio della stagione pensavo solo a fare bene e migliorare col Bologna. E’ normale che poi quando le cose vanno bene… Chi fa questo lavoro fin da piccolo sogna di indossare l’azzurro».