Fiammetta Fadda, Panorama 6/10/2016, 6 ottobre 2016
QUANTO È GIRAMONDO QUESTO CHICCO
Se passando dalle parti di Vercelli, ma anche di Mantova, di Verona, del Delta del Po, vedete planare degli aironi sul verde delle risaie, fermatevi alla prima trattoria perché avrete la fortuna di assaggiare un risotto straordinario. La presenza dei nobili pennuti infatti segnala che nelle acque che bagnano le pianticelle, grazie all’assenza di pesticidi e diserbanti, vive in felice equilibrio un intero universo che va dalle rane alle carpe, alle libellule, agli insetti.
Il risultato, in perfetto km zero, potrebbe essere allora un risotto di magro con le rane, o con l’anguilla, o con la tinca; oppure una grassa panissa vercellese con fagioli, salame sotto strutto, vino rosso; o ancora un risotto giallo alla milanese, magari in una delle tre diverse versioni date da Pellegrino Artusi già a fine Ottocento.
Il giudizio sulla bontà verterà soprattutto sulla cottura esatta al secondo dei chicchi, che ha il suo pendant in quella della pasta, banco di prova per gli chef planetari che, da quando i due «primi-bandiera» italiani sono diventati beniamini dell’alta cucina, vanno a imparare dai fratelli Costardi, al Cinzia di Vercelli (30 risotti in lista, tutti eseguiti al momento) o da Gualtiero Marchesi (con foglia d’oro), o da Andrea Ribaldone, (I Due Buoi di Alessandria) per il sorprendente Risotto ca’ Norma, fusion siciliano-piemontese.
Ma il punto di partenza è sempre uno dei risi classificati come Superfini, un Carnaroli o un Arborio in primis, solo italiani, frutto di selezioni che garantiscono tenuta in cottura e buona mantecatura. Due cose apparentemente contrastanti che la scienza spiega con i contenuti di amilosio e di amelopectina del chicco: tosto se prevale il primo, come nella varietà Japonica, la nostra; colloso se prevale la seconda, come nella varietà Indica, orientale.
Però c’è ben altro, perché, avverte l’Ente nazionale risi, da noi si coltivano circa 140 varietà di riso e, in base alla forma e alla grossezza del chicco, ogni piatto ha il suo. Dal sartù napoletano (chicchi medi), alle arancine siciliane (chicchi medio-lunghi), al riso e latte dolce lombardo (chicchi tondi), alle insalate (chicchi parboiled), alla cucina salutistica (chicchi integrali). Poi ci sono le finezze: risi d’annata, stagionati come grandi vini, con una marcia in più; risi da virtuosi, come il vialone nano, magistrale nel comfort food, dalle minestre alle crocchette; e risi che si fregiano della Dop e della Igp.
Sembrano minuzie in confronto alle oltre 5 mila varietà sparse nel mondo, invece siamo il primo produttore europeo e così esperti nella coltivazione che dalle risaie del Piemonte e a quelle della Pianura padana è partita la sfida ai risi orientali.
Primo tra tutti il profumato Basmati, importato dal Vietnam e dalla Cambogia, di grande successo tra i gourmet, ma senza garanzie di controlli. La Riso Gallo (che ha appena compiuto 160 anni e ha consegnato il premio Risotto dell’anno il 3 ottobre al giovane chef Daniel Porras Salazar) lo ha ribattezzato Aroma. Poi c’è lo Yume, il viscoso e perlaceo protagonista del sushi, a cui sono destinati mille ettari, acquistato in esclusiva dalla Nikkoman per produrre il sakè. Piacevole sorpresa, dato il rigore giapponese sulla qualità.
Ma è solo l’inizio. L’azienda agricola del Centro ricerche sul riso, che ha già prodotto altre 30 varietà, è pronta a cogliere la nuova deriva del gusto imboccata dal riso come ingrediente straordinariamente moderno, leggero, versatile, senza glutine, sul quale si può scrivere il libro di ricette più grande del mondo.
BYRIANY/ RISO BASMATI
I chicchi lunghi, affusolati, traslucidi e profumati del Basmati sono esaltati dalla cottura al vapore a fianco di piatti di carne, pesce o verdure. Ma i più pregiati, invecchiati in sacchi di tela grezza con foglie dell’antico albero di neem, sono riservati al capolavoro della fantasia gastronomica indiana: il Byriany, uno sformato di riso, uvetta, anacardi, pistacchi, mandorle saltati nel ghi, il burro chiarificato indiano, disposti a strati con agnello brasato in un mix di spezie, coronato da una guarnizione di riso allo zafferano e impreziosito dal tocco finale di briciole di foglia d’oro e d’argento.
SUSHI/ CHICCHI COLLOSI
È difficile crederlo, ma il fulcro del sushi è il riso, non il pesce. Deve essere a chicchi corti, della varietà Uruchimai, viscosa e perlacea, la stessa usata per il sake, condito solo con sale, zucchero e vino di riso. Il maestro di sushi o itamae, professione vietata alle donne perché hanno le mani troppo calde, lo mescola con delicatezza in una ciotola di legno per portarlo alla temperatura del corpo, prima di modellarlo in un nigiri, il boccone disadorno di rigore per i pesci migliori. Ogni rispettabile massaia, poi, tiene in casa un uchiwa, il ventaglio deputato alla fase delicatissima del raffreddamento del riso. Ma la rivoluzione è alle porte: a Tokyo è in via di apertura un ristorante con cucina giapponese in stile italiano, in cui il pesce poggia su grissini.
PAELLA/ RISO BOMBA
I valenciani sono orgogliosi del loro riso bomba especial, doc europea recuperata di recente perché insuperabile per la preparazione della paella, dove i chicchi a grani tondi e corti devono restare ben separati, pur assorbendo tanta acqua quanto il loro volume e formare una crosta caramellata sul fondo della padella da cui emana un sentore affumicato per la gran fiamma che la alimenta. Manuel Vázquez Montalbán in Le Ricette di Pepe Carvalho inserisce la paella nella versione «a proprio capriccio», perché alla fine è una padellata di riso che sa accogliere tutto.
JAMBALAYA/ RISO A GRANO LUNGO
Riso americano a grano lungo e fagioli con l’occhio: un insieme che nella cultura creola-cajun porta fortuna. Cipolle, sedano, peperoni, aglio, pepe rosso e nero, osso di prosciutto, salsiccia affumicata e peperoncino danno carattere all’insieme incendiario che cuoce lentamente fino ad addensarsi. A Capodanno, in Carolina e Louisiana, si mangia l’Hopping John, fagioli stufati con guanciale su un letto di riso bianchissimo. Gli snob lo accompagnano con champagne.
IL ROSSO E IL NERO / CHICCHI DELLA CAMARGUE E RISO VENERE
Il riso rosso a chicchi lunghi del Bhutan è una varietà di gran pregio, di sapore simile al grano saraceno, che ha trovato un suo habitat ideale nelle paludi della Camargue. Piace ai cuochi per l’effetto cromatico unito al Venere nero ottenuto nella Pianura padana con un sistema di incroci che lo lasciano al dente. La varietà viscosa invece, di origine cinese, ritenuta afrodisiaca, un tempo riservata all’imperatore, oggi è usata in pasticceria nei dolci miniaturizzati. Niente a che fare con il chicco nero «selvaggio» della zizania, pianta acquatica della regione dei Grandi laghi canadesi che faceva parte dell’alimentazione degli indiani Chippewa. I cuochi della Northern chefs alliance, alla ricerca di un’identità territoriale, lo ripropongono in ricette primitive con bacche e sciroppo d’acero.