Gabriele Santoro, il venerdì 7/10/2016, 7 ottobre 2016
CROCI, STRISCE O MEZZELUNE, LE BANDIERE FANNO STORIA
«È con queste bazzecole che si guidano gli uomini» sosteneva Napoleone Bonaparte. Il legame fra vita, politica, guerra e pezzi di tessuto al vento è inestricabile dall’alba della società umana. Quel che più colpisce nel volume La stoffa delle nazioni (Odoya, pp. 320, euro 22), denso per informazioni, illustrazioni e intenso per il ritmo narrativo, sono gli elementi comuni a più bandiere, pur nella diversità delle geometrie e dei colori.
Bruno Cianci, storico e giornalista di stanza a Istanbul, ricostruisce soprattutto il rapporto tra i vessilli di tipo moderno e lo sviluppo del concetto di Stato nazione. E ricorda che tra le bandiere dei 193 Stati sovrani rappresentati alle Nazioni Unite cinque derivano da disegni di origine medievale, mentre più di sette su dieci hanno visto la luce dal Ventesimo secolo a oggi. Il rosso è il colore più diffuso.
Il libro ci propone subito una contraddizione: il più antico e noto vessillo nazionale, la senyera catalana, è ancora senza uno Stato. Il più vecchio Penó de la Conquesta, reliquia lunga circa due metri, risale infatti al Duecento. Composto da nove strisce gialle e rosse alternate, il «panno» che è il simbolo della Catalogna nacque dallo scudo aragonese, continua a incarnare l’anelito indipendentista e i valori culturali della comunità catalana e nel tempo ha ispirato decine di bandiere, a livello locale e in Europa, per esempio quelle dei regni di Sicilia (con due aquile sveve nere), di Napoli e della Sardegna.
All’Onu 24 bandiere esibiscono una croce, la più antica è il Dannebrog. La leggenda narra che sia caduto dal cielo per infondere coraggio ai crociati danesi nel XIII secolo. La prima codificazione del suo uso come bandiera della Danimarca è datata 1625: così il Dannebrog, come la senyera, ha attraversato i secoli, diventando, oltre che un oggetto di culto, un modello ripreso in tutta l’Europa del Nord dalle decine di altre insegne con lo schema della croce nordica.
La bandiera della Svizzera e quella della Città del Vaticano sono le uniche quadrate, poi di forma non rettangolare c’è solo quella nepalese, combinazione di due bandiere triangolari.
Il capitolo più complesso del libro è dedicato alla mezzaluna, considerata sinonimo dell’Islam, sebbene non sia di origine musulmana, da quando i turchi ne fecero l’emblema delle proprie forze armate ai tempi del sultanato di Selim III, tra la fine del 1700 e gli inizi del 1800. In Africa colpisce poi la bandiera del Burkina Faso, voluta dal presidente Sankara, dove campeggia una stella gialla a simboleggiare le ricchezze minerarie del Paese.
Cianci tocca quindi tre snodi fondamentali della storia della vessillologia moderna: l’Union Jack britannica, che unì le croci di San Giorgio e Sant’Andrea, immutata dal 1801 e ispiratrice dell’Ikurrina basca; la Stars and Stripes statunitense, con la leggenda della tessitrice Betsy che convinse Washington a fare le stelle a cinque punte invece che a sei; la vicenda tormentata del tricolore francese, dal quale discende quello italiano, dal 1946 senza lo stemma di Casa Savoia.
Il viaggio approda infine nelle Province Unite dei Paesi Bassi, dove ha sventolato la prima bandiera nazionale di stampo moderno. Oggi sessanta Stati presentano le tre strisce orizzontali sovrapposte di colore diverso introdotte dagli olandesi nel XVI secolo.