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 2016  ottobre 07 Venerdì calendario

ARTICOLI SUL TESTAMENTO DI BERNARDO CAPROTTI – SARA BENNEWITZ, LA REPUBBLICA 7/10 – Esselunga non dovrà mai finire alle Coop

ARTICOLI SUL TESTAMENTO DI BERNARDO CAPROTTI – SARA BENNEWITZ, LA REPUBBLICA 7/10 – Esselunga non dovrà mai finire alle Coop. Bernardo Caprotti l’ha ripetuto mille volte in vita. L’impegno passa però ora ai suoi eredi. Il testamento del patron della più grande catena di supermercati tricolore – «molto sofferto» scrive lui stesso – è tranchant. E oltre a spartire azioni, soldi, case, castelli, quadri, Bentley e fucili da caccia tra i due rami di una famiglia dilaniata dalle lotte dinastiche, traccia la rotta per il futuro dell’impero di casa: «Attenzione – mette nero su bianco nelle ultime due righe del documento di 13 pagine che la Repubblica ha potuto esaminare -: la società è privata, italiana, soggetta ad attacchi ». Le sue ultime volontà sono così precise: Supermarkets Italiani, fa verbalizzare dal notaio, «può diventare una Coop. Questo non deve succedere ». Meglio cercare un alleato o un compratore all’estero. Trovando all’azienda «quando i pessimi tempi italiani fossero migliorati, una collocazione internazionale ». Quale? Caprotti lascia pochi spazi di manovra a chi verrà dopo di lui: «Ahold (colosso olandese della grande distribuzione, ndr) sarebbe ideale. Mercadona (rivale spagnolo) no». Il documento steso il 9 ottobre 2014 nello studio Marchetti è una fotografia impietosa e cruda della Dinasty Esselunga. «Dopo tante incomprensioni e tante, troppe amarezze – dice il testamento - ho preso una decisione di fondo per il bene di tutti, in primis le diecine di migliaia di persone i cui destini dipendono da noi». La spartizione del capitale (70% di Esselunga e 55% dell’immobiliare a Giuliana Albera e a sua figlia Marina, il resto in parti uguali ai figli di primo letto, Giuseppe e Violetta) garantisce una chiara guida azionaria al gruppo. «Famiglia non ci sarà – scrive realista Caprotti -. Ma almeno non ci saranno lotte. O saranno inutili, le aziende non saranno dilaniate ». Il loro futuro però, lo ammette lui stesso, è segnato: Supermermarkets Italiani è una società «attrattiva. Con Tornatore (Giuseppe, il regista da Oscar di “Nuovo cinema paradiso” che ha realizzato il cortometraggio “Il mago di Esselunga”, ndr) lo è divenuta di più. Però è a rischio. E’ troppo pesante condurla, pesantissimo “possederla”, questo Paese cattolico non tollera il successo». E i concorrenti – ora che il fondatore non c’è più – sono in agguato per cogliere la palla al balzo. La divisione dei beni affidata alle ultime volontà con precisione certosina (la stessa con cui curava i suoi supermercati) dovrebbe consentire - negli auspici del fondatore – a evitare «ulteriori contrasti e pretese» consentendo a tutti «di vivere in pace nei propri ambiti». Non sarà facile. Lo stesso testamento, del resto, è la prova di come le divisioni in famiglia siano ancora profonde e le posizioni lontanissime. La decisione di rivedere la prima versione dell’eredità risale a luglio 2010, quando Caprotti licenzia Paolo De Gennis, vice presidente di Esselunga e storico manager fin dalle origini della gestione Rockefeller. «Il disegno di ripartizione e continuità familiare, business soprattutto, che con tanta fatica e sofferenza avevo costruito già oltre 16 anni fa – si legge nel documento – è definitivamente naufragato la sera del 30 luglio 2010. Ora dopo anni di battaglie legali e di pubbliche maldicenze da parte di Violetta e Giuseppe, ho destinato e destino le partecipazioni nelle due aziende che ho creato e che mi appartengono, in modo tale da dare tranquillità e continuità alle imprese, salvaguardando però i diritti di tutti i miei aventi causa, secondo la legge». L’uscita di De Gennis, arrivata dopo che l’imprenditore ha cacciato il figlio Giuseppe, fa deflagrare anche il litigio con Violetta, che fino ad allora era rimasta al fianco del padre. La famiglia si spacca, e Bernardo decide di nominare «mie eredi universali in parti uguali tra loro, mia figlia Marina e mia moglie Giuliana ». La moglie e la figlia, ottengono così il controllo di Supermarkets Italiani, la holding che controlla Esselunga, e il 55% della Villata, l’immobiliare che raccoglie uffici, magazzini e supermercati. I figli di primo letto Giuseppe e Violetta si spartiscono quindi il restante 30% di Esselunga e il 45% dell’immobiliare. «Non sono stato molto premiato per quanto ho fatto, o ho cercato di fare, a favore di Giuseppe e Violetta – scrive Bernardo nelle sue ultime volontà - svantaggiati dalla legge italiana rispetto a Marina e alla madre». Questa scelta sancisce la gestione e impedisce ai figli di primo letto di avere la minoranza di blocco sui supermercati. Ma c’è di più perché avendo rispettato la legge di successione, che prevede che ogni figlio abbia per legittima almeno il 16,6% del patrimonio, non dà appigli a Violetta e Giuseppe di fare nuove cause. Bernardo ripercorre le donazioni fatte in passato, o di recente ai suoi familiari, e aggiunge quelle per legato. Il primo che viene ricordato è il primogenito Giuseppe che ha ricevuto l’appartamento sul Golf di Monticello a Cassina Rizzardi, l’appartamento di Verbier in Svizzera, la villa di famiglia ad Albiate Milano e i suoi arredi, la biblioteca di 4 mila volumi del bisnonno Giuseppe Caprotti, l’archivio di famiglia e alcuni quadri di pregio tra cui una natura morta di De Chirico. Violetta invece ha avuto, la sua casa di Via Bigli a Milano, quella di New York sulla Quinta strada, «la proprietà che mi è più cara» cioè il castello di Bursinel sul lago di Lemano e alcuni quadri tra cui un olio di Zandomeneghi. Alla moglie Giuliana Albera va invece un altro appartamento sul Golf di Monticello a Cassina Rizzardi, l’intera proprietà di Fubine nel Monferrato con «la casa di caccia e altri quattro cascinali», la barca «Alfamarine», la metà della casa di Skiatos in Grecia - la cui altra metà va alla figlia Marina, che riceve anche 8 milioni per comprarsi la casa di Egerton Terrace a Londra - l’intero possedimento di alcuni chilometri «sul mare» a Zonza nel sud della Corsica, e alcuni quadri tra cui una «Madonna modesta » di Zandomeneghi. Ma poi Bernardo precisa: «Non mi attarderei ulteriormente su cose passate, data l’entità di quanto sto disponendo », fatto salvo che quanto non espressamente precisato, compresi tutti i suoi effetti personali, andranno alla moglie e alla figlia Marina. Bernardo lascia poi due quadri alla segretaria Germana Chiodi «signora a cui voglio esprimere la mia immensa gratitudine per lo straordinario aiuto prestato» e la metà dei due conti titoli (presso Credit Suisse e Deutsche Bank) e del conto corrente (sempre presso Deutsche). L’altra metà andrà divisa tra i 5 nipoti, ovvero i tre figli di Giuseppe, Tommaso, Margherita e Giovanni, e i due figli del fratello minore Claudio, Andrea e Fabrizio, che ugualmente ricevono dei quadri. Al marito della figlia Marina, Francesco Moncada di Paternò l’imprenditore lascia la sua Bentley «perché la faccia diventare veramente vintage». Al ragioniere di una vita, Cesare Redaelli vanno 2 milioni di euro. Dopo aver donato alla Pinacoteca Ambrosiana «un dipinto di scuola leonardesca di grande interesse e ingente valore e avendo da ciò ottenuto un’esperienza molto negativa » Caprotti cancella le donazioni previste alla galleria di Arte Moderna di Milano. E invece lascia al Louvre, l’olio di Manet “La vergine col coniglio bianco” con l’onere che venga esposto accanto al Tiziano originale. Tutto preciso, tutto calcolato. Nel tentativo di regalare un difficile lieto fine a una vicenda umana complessa. «Ho lavorato duramente - ricorda -. Ho sofferto l’improvvisa tragica scomparsa di mio padre... Poi, più tardi, il dissidio coi miei due fratelli la cui liquidazione (richiesta) mi è costata quasi vent’anni di ristrettezze; nell’immane fatica, più tardi la crisi drammatica e la fine della Caprotti». La manifattura tessile di famiglia chiusa nel 2009 dopo 179 anni di attività. «Ove mai (così non sarà) qualcuno dovesse pretendere integrazioni a quanto ricevuto - scrive un Caprotti sfibrato dai lunghi braccio di ferro legali con i suoi parenti più stretti - tali pretese dovranno, naturalmente e come per legge, riferirsi in via preventiva a tutto quanto disposto con il presente testamento». L’imprenditore - in conclusione - pensa persino al suo funerale: «che sia al mattino, il più presto possibile, onde non disturbare il prossimo» nella chiesa di San Giuseppe che è a «300 metri da casa» con la preghiera che non siano fatti annunci o necrologi, «sarebbero paginate di fornitori cortigiani ». La saga della Esselunga, ora, continua senza di lui. L’importante è che non finisca alla Coop. *** DANIELE POLIZZI, CORRIERE DELLA SERA 7/10 – Il rischio che vedeva più forte è che la sua creatura Esselunga potesse finire alle coop: «Questo non deve succedere». Quanto al futuro, Bernardo Caprotti auspica che ci sia stabilità negli assetti familiari, così come li ha ridisegnati nel testamento letto ai suoi eredi martedì scorso presso lo studio notarile Marchetti a Milano. Nelle 15 pagine che raccolgono le sue disposizioni l’imprenditore riassume le motivazioni della sua scelta di donare, ancora in vita, il 70% della società alla moglie Giuliana Albera e alla figlia Marina Sylvia. E di lasciare il resto (30%) diviso in parti uguali agli altri due figli, Violetta e Giuseppe. L’imprenditore, inventore della grande distribuzione italiana negli anni ‘50, guarda soprattutto al futuro. La principale preoccupazione è preservare l’azienda, dare continuità all’attività che dà occupazione ai 22mila dipendenti nel quadro di una realtà da quasi 8 miliardi di ricavi, con un valore altissimo. Ma emerge un altro timore. La paura è che le battaglie legali degli ultimi anni di vita familiare, scanditi dalla contrapposizione con i figli Violetta e Giuseppe, possano distruggere quel valore: «Ho preso una decisione di fondo per il bene di tutti. In primis le decine di migliaia di persone i cui destini dipendono da noi ma anche per una relativa pace familiare. Almeno non ci saranno le lotte, o saranno inutili, le aziende non saranno dilaniate». Ma il patron di Esselunga guarda ancora più avanti. E nel caso di una vendita — soluzione che alla luce delle volontà testamentarie diventa uno scenario più probabile — la raccomandazione ai figli e alla moglie è di non vendere al mondo della distribuzione cooperativa: «L’azienda è diventata attrattiva — scrive Caprotti —. Però è a rischio. È troppo pesante condurla, pesantissimo possederla. Attenzione: privata, italiana, soggetta ad attacchi, può diventare coop». Caprotti ripercorre le tappe che lo hanno spinto a revocare le disposizioni testamentarie nel 2012 e di affidare la maggioranza delle quote a Giuliana e Marina. Lasciando in un ruolo di soci di minoranza Giuseppe, al quale in passato il patron aveva affidato la gestione di Esselunga, e la sorella Violetta che aveva guidato la divisione marketing della catena di supermercati. «Il disegno di ripartizione e continuità familiare e di business che con tanta sofferenza avevo già costruito 16 anni fa è definitivamente naufragato — spiega Caprotti nel testamento —. Ora, dopo anni di battaglie legali e di pubbliche maldicenze da parte di Violetta e Giuseppe, destino le partecipazioni nelle due aziende che ho creato e che mi appartengono in modo da dare tranquillità e continuità alle imprese, salvaguardando i diritti» di tutti. Poi nel testamento illustra le donazioni, decise ancora in vita, agli eredi. Oltre alle quote in Esselunga e nell’immobiliare Villata, ci sono i quadri, Al Louvre andrà un Manet, con l’impegno del museo a esporlo. Altri sono stati destinati al Pac, il Padiglione d’Arte contemporanea di Milano, e al Museo civico di arte moderna a Modena. Centrali il capitolo riservato alla fidata assistente di una vita, Germana Chiodi, e i nipoti. Ossia i figli del fratello Claudio con il quale ha inaugurato negli anni ‘50 il primo negozio Esselunga in viale Tunisia a Milano. Senza dimenticare i tre nipoti figli di Giuseppe. A loro ha lasciato i suoi risparmi in banca. L’entità nel testamento non è indicata, perché da quantificare. *** EMANUELE SCARCI, IL SOLE 24 ORE 7/10 – Pieni poteri alla nuova maggioranza del gruppo Esselunga. Il 70% del capitale consente a Giuliana Albera e Marina Caprotti di deliberare nelle assemblee straordinarie anche sulla cessione della società. Tuttavia dalla famiglia Caprotti trapela che la vendita del gruppo Esselunga è sospesa per almeno due anni: sono queste le novità rilevanti dopo l’apertura del testamento voluto da Bernardo Caprotti, scomparso lo scorso 30 settembre. Il presidente del cda di Supermarkets Italiani, Piergaetano Marchetti, aveva parlato di sospensione del processo di vendita della catena commerciale (Citigroup stava raccogliendo le manifestazioni d’interesse) ma da ieri sappiamo che la pausa sarà lunga e non si sa nemmeno se condurrà alla cessione. La porta aperta I due anni forse serviranno per cercare un accordo tra la maggioranza blindata (appunto circa il 70%) detenuta congiuntamente da Giuliana Albera e dalla figlia Marina Caprotti e la minoranza (con quasi il 30%) in portafoglio a Giuseppe e Violetta Caprotti. Insomma una porta aperta. Un’intesa sgombrerebbe il campo da eventuali contenziosi giudiziari e convincerebbe l’acquirente a sedersi al tavolo senza remore. Forse l’apertura è stata apprezzata da Giuseppe Caprotti, che, mercoledì scorso, all’uscita dello studio del notaio, aveva detto: «Faremo di tutto per salvaguardare il gruppo Esselunga». Negli ultimi anni il contenzioso giudiziario tra il patron e i figli del primo matrimonio, in particolare quello sull’intestazione fiduciaria delle azioni, si era protratto nel tempo, fino alla Cassazione. In attesa che il quadro si chiarisca, Giuliana Albera e Marina hanno optato per la continuità aziendale, confermando alla guida del gruppo Esselunga l’amministratore delegato Carlo Salza e il suo team. Ma perchè l’ex patron di Esselunga ha dato più peso (45%) ai figli di primo letto nella società immobiliare Villata Partecipazioni? In sostanza lo scomparso Bernardo Caprotti ha calcolato le quote spettanti ai quattro eredi considerando gli asset nel complesso e non società per società. A Caprotti interessava blindare il controllo dell’asset più prezioso, pur rispettando le norme di legge; la holding immobiliare è strettamente legata a Esselunga con 83 immobili commerciali concessi in locazione alla catena. Nel bilancio della holding, gli asset immobiliari ammontano a 987 milioni e il patrimonio netto arriva a 920 milioni. L’eredità Tra le altre disposizioni testamentarie di Bernardo Caprotti, c’è quella che il fondatore di Esselunga avrebbe destinato metà dei risparmi (il cui ammontare è ignoto) alla segretaria di direzione Germana Chiodi, che però aveva supportato anche moglie e figlia di Caprotti, e l’altra metà ai nipoti. Si tratta dei tre figli di Giuseppe Caprotti e di Andrea e Fabrizio, figli di Claudio, fratello del fondatore di Esselunga, suo socio agli inizi dell’avventura imprenditoriale nei supermercati. Alcune opere d’arte, dei dipinti di grande valore, sarebbero stati donati al museo del Louvre. Stefano Tronconi, dello Studio Pirola Pennuto Zei & Associati, è stato designato esecutore testamentario. Un percorso pianificato con un certo anticipo: nel consiglio di amministrazione di Supermarkets Italiani del 28 luglio scorso, moglie e figlia di Caprotti si erano dimesse da consiglieri a favore dello stesso Stefano Tronconi e di Lorenzo Olivero Piaget. Il benchmark europe Esselunga è il benchmark della grande distribuzione italiana e tra i big in Europa. Secondo l’ultimo rapporto dell’area studi di Mediobanca, il gruppo Esselunga ha il più alto indice di vendite per metro quadrato, 16mila euro, contro gli 8.150 euro medi del panel. Nel 2015 la catena milanese ha fatto meglio del mercato crescendo, a rete corrente, del 4,3% (contro un dato nazionale del 2,8%) a 7,3 miliardi di euro. Il risultato operativo è stato pari a 431 milioni, +29%, e l’utile netto a 290 milioni, +37 per cento. L’utile cumulato nel periodo 2011-2015 ha sfiorato 1,4 miliardi. Esselunga opera con una rete commerciale di 151 superstore in Lombardia, Toscana, Emilia Romagna, Piemonte, Veneto, Liguria e Lazio. In quest’ultima Regione ha aperto il primo superstore ad Aprilia nel 2014 ed entro l’autunno è in programma l’inaugurazione del primo punto vendita a Roma, in via Prenestina. *** EMANUELE SCARCI, IL SOLE 24 ORE 7/10 – I legali di Giuseppe e Violetta Caprotti passano al setaccio le carte e i valori degli asset passati in successione, comprese le donazioni fatte in vita dall’imprenditore scomparso Bernardo Caprotti. È quanto trapela da ambienti vicini ai due eredi della famiglia milanese. Che aggiungono: la “legittima” non è riferibile a un singolo asset ma all’intero patrimonio, compreso quella parte ceduta prima del decesso. Probabilmente i legali dei figli di primo letto del re dei supermercati stanno facendo uno screening su eventuali e rilevanti “donazioni” realizzate nei mesi precedenti la malattia dell’imprenditore. Di cui però non si sa ancora nulla. Come non si sa ancora nulla sull’entità del patrimonio (per metà ceduto alla segretaria di direzione Germana Chiodi), comunque parte integrate del 25% a disposizione dell’imprenditore scomparso. A parte queste puntualizzazioni, a prima vista, non emergerebbero errori clamorosi nella divisione dei beni in successione. Le ultime volontà di Caprotti sarebbero state ponderate dallo studio di Piergaetano Marchetti, consulente di fiducia, poi cooptato nel consiglio di amministrazione della holding Supermarkets Italiani e nominato presidente. La scelta del de cuius di donare in vita la quota disponibile del patrimonio (il 25%) a moglie e figlia di secondo letto appare legittima. E viene confermato in pieno anche che, secondo il codice, disporre di almeno i tre quarti del capitale (il 66,7%) permetterebbe alla maggioranza di Supermarkets Italiani di approvare nell’assemblea straordinaria numerosi provvedimenti: fusioni per incorporazioni, riduzioni o aumento del capitale sociale, emissioni di obbligazioni, trasferimento della sede sociale e cessioni di asset. In linea con la legge anche il criterio di dividere la torta complessiva del patrimonio secondo le quote previste dal codice e non società per società. E con questo ragionamento sarebbe regolare l’assegnazione di un maggior peso (70% in via congiunta) a Giuliana Albera e Marina Caprotti nel capitale della holding di Esselunga e una quota più moderata (55%) nella holding immobiliare Villata Partecipazioni. *** FRANCESCO SPINI, LA STAMPA 7/10 – Mai alle Coop. Bernardo Caprotti, dopo averlo detto mille volte in vita, lo ha ricordato anche nel suo testamento, in cui viene disposto che Esselunga, quando mai accadrà, dovrà essere venduta all’estero. «Privata, italiana, soggetta ad attacchi, può diventare Coop. Questo non deve succedere». La catena che aveva fondato nel 1957 «è troppo pesante condurla, pesantissimo “possederla”, questo Paese cattolico non tollera il successo. Occorre trovarle, quando i pessimi tempi italiani fossero migliorati, una collocazione internazionale. Ahold sarebbe ideale. Mercadona no». No agli spagnoli, dunque, con cui pure aveva condotto trattative serrate. E sì agli olandesi. Nelle 13 pagine del documento, lascia il 70% di Supermakets Italiani (la holding che controlla Esselunga) e il 55% di La Villata (in cui sono molti negozi della catena), congiuntamente alla moglie Giuliana Albera e alla figlia Marina. Ai figli maggiori Giuseppe e Violetta, andrà il 15% ciascuno della società di distribuzione e il 22,50% ciascuno degli immobili. Originariamente il progetto era diverso, ma «il disegno di ripartizione e di continuità familiare», detta al notaio, «è definitivamente naufragato la sera del 30 luglio 2010». Era sicuro di avere disposto «per il bene di tutti». Aveva ben chiaro che, comunque «famiglia non ci sarà. Ma almeno non ci saranno le lotte. O saranno inutili, le aziende non saranno dilaniate», auspicando che in futuro «non ci siano ulteriori contrasti e pretese». Nel documento c’è il dettagliato elenco dei lasciti, dalle case ai quadri donati già in vita ai figli all’amata Bentley che va al marito di Marina, Francesco Moncada di Paternò, «perché la faccia diventare veramente vintage». E c’è Germana Chiodi, la storica segretaria promossa manager. A lei va la metà di quanto c’è nei conti correnti e nel dossier titoli più «i miei due dipinti di fiori di Mario Nuzzi». C’è un altro collaboratore di vecchia data cui il «Dottore» ha riservato un ringraziamento speciale. È Cesare Redaelli, il contabile «che con tanto affetto mi ha seguito negli anni anche nelle mie cose personali»: a lui andranno due milioni. Chi resta a bocca asciutta è invece la Galleria di arte moderna, il Pac di Milano. Caprotti non ha perdonato l’«esperienza molto negativa, fino al dileggio da parte degli studiosi ed esperti» della Pinacoteca Ambrosiana cui aveva donato un dipinto «di scuola leonardesca di possibile grande interesse ed ingente valore». E ha cancellato le donazioni anche al Pac, dirottando un Manet al parigino Louvre. *** FRANCESCO SPINI, LA STAMPA 6/10 – La maggioranza dell’impero di Bernardo Caprotti va alla seconda moglie Giuliana Albera e all’ultimogenita Marina Sylvia. Il mistero del testamento del fondatore dell’Esselunga è stato svelato ieri pomeriggio, quando alle 16 e 30 il notaio Carlo Marchetti ne ha letto il contenuto. Le prime ad ascoltarlo sono state la vedova e Marina. A loro, tramite una donazione in vita, come informa in serata una nota dell’esecutore testamentario Stefano Tronconi, va congiuntamente il 70% circa di Supermarkets Italiani, la holding della catena fondata nel lontano 1957. Un’ora e mezza dopo è toccato ai figli di primo letto, Giuseppe e Violetta Caprotti. Ciascuno di loro – come lascito testamentario – avrà il 15% della cassaforte della catena di supermercati. Una soluzione, quella contenuta nelle ultime volontà di Caprotti che risalgono al 9 ottobre 2014, che dà una linea di continuità all’azienda, rafforzando gli attuali vertici – il presidente, Vincenzo Mariconda, e l’ad, Carlo Salza – e tutta la prima linea. Il cda della holding, riunitosi in mattinata, ha deciso «di non dar corso, allo stato, ad operazioni relative alla controllata Esselunga». Insomma, la catena non è più in vendita, ora e chissà per quanto: se non altro perché, con la presenza comunque rilevante di Giuseppe e Violetta nell’azionariato, per decidere una cessione i due rami della famiglia dovranno scendere a patti. Con buona pace dei fondi Cvc e Blackstone che già avevano presentato manifestazioni di interesse per comprarsela. Il quadro è stato completato con la nomina del presidente della Supermarkets Italiani. A Caprotti succede Piergaetano Marchetti, notaio a sua volta e padre del notaio custode della successione. Ma il testamento, ovviamente, non si è limitato alla sola Esselunga, che da sola vale attorno ai 6 miliardi. Giuseppe quanto Violetta hanno avuto una compensazione nella suddivisione con il patrimonio immobiliare riunito ne La Villata Partecipazioni, per un valore non distante da un altro miliardo di euro. Anche qui, con una donazione in vita, Caprotti ha lasciato il 55% alla moglie e alla figlia Marina, sempre «in via tra loro congiunta». Ai due figli maggiori andrà il 22,50% ciascuno. Una sostanziale divisione equa tra i figli per il cespite che, in vita, Caprotti considerava «la cassaforte di famiglia per almeno un paio di generazioni, la tranquillità, la sicurezza». E poi ci sono la liquidità, gli investimenti, oltre alla ricca pinacoteca. Una metà dei risparmi del patron di Esselunga finiscono ai cinque nipoti, ovvero ai tre figli di Giuseppe, più Andrea e Fabrizio, figli del fratello Claudio, socio di Bernardo quando prese il via l’avventura dell’Esselunga. L’altra metà dei risparmi? Non senza una certa sorpresa andranno a Germana Chiodi, la storica assistente del «Dottore», entrata in azienda nel ’68 e ancora oggi responsabile della segreteria di direzione, e che da anni supporta anche Giuliana Albera e la figlia Marina. Già in vita si dice avesse ricevuto 10 milioni in donazione. Ora il carico da novanta che ha lasciato molti a bocca aperta. Ci sono poi i quadri, una vasta collezione per lo più distribuita in famiglia. Più alcuni altri, sembra un paio, di gran valore che inizialmente – a quanto si racconta – avrebbero dovuto prendere la via del Pac, il Padiglione di Arte Contemporanea. Qualche incomprensione di troppo tra Caprotti e gli uomini del museo e i due quadri prenderanno il volo: andranno a Parigi a rendere ancora più ricca la già nutrita collezione del Louvre. Si apre ora il capitolo più delicato, l’equilibrio del dopo testamento. Soprattutto i figli di primo letto, in serata, hanno passato ai raggi X il lungo documento con gli addendum. Violetta Caprotti, per dire, è assistita da Sergio Erede, principe del foro dello Studio BonelliErede, e sta valutando il da farsi. Giuseppe, uscendo dallo studio del notaio Marchetti, è stato alquanto sibillino: «Faremo di tutto per salvaguardare Esselunga». Come, lo scopriremo nei prossimi capitoli della saga. *** ANDREA GIACOBINO, ITALIAOGGI 6/10 – L’ultimo dividendo incassato da Bernardo Caprotti, patron di Esselunga scomparso venerdì scorso, è arrivato poche settimane fa quando un rappresentante della grande catena di supermercati non si è presentato all’assemblea di bilancio 2015 della Grandi Magazzini e Supermercati Il Gigante. Ma Esselunga ha comunque incassato oltre 2,5 milioni di euro, un milione in più dello scorso anno, dalla cedola di complessivi 10,1 milioni appena distribuita dal gruppo concorrente, guidato e presieduto con pugno di ferro dal rivale Giancarlo Panizza, classe 1933, che l’ha fondato nel 1972. Ne Il Gigante, infatti, Caprotti tramite Esselunga era rimasto azionista al 25% dopo aver tentato qualche anno fa una scalata ostile che non era riuscita. Così, da socio pesante, si limitava da tempo a fare ostruzionismo, come in passato quando si era più volte astenuto sul bilancio, oppure non presenziava. Se un rappresentante di Esselunga fosse stato presente avrebbe trovato una sorpresa, visto che il consiglio d’amministrazione aveva portato davanti ai soci la proposta di una cedola doppia per 20 milioni, ma poi Panizza ha chiesto e ottenuto di dimezzare l’importo. Ciò detto il 2015 de Il Gigante si è chiuso nel civilistico con un utile di oltre 5,1 milioni invariato rispetto al precedente esercizio, accantonato tutto a riserva mentre dalla stessa è stata attinta la cedola deliberata. Segnali di miglioramento giungono anche dal bilancio consolidato chiuso dalla miniperdita di 290 mila euro del 2014 ritrova l’utile per 1,3 milioni, su un fatturato stabile anno su anno oltre 1,1 miliardi e solo in lieve calo dell’1,7% considerando le vendite nette. L’ebitda si è mantenuto a 40,4 milioni mentre a livello patrimoniale la posizione finanziaria netta è migliorata da -146 a -138 milioni, con una riduzione dell’indebitamento a breve da 51 a 42 milioni e dello spread medio ponderato dell’indebitamento dal 3% all’1,6%. Il Gigante, che Panizza controlla attraverso la holding di famiglia Riva Azzura, conta su 51 fra super e iper mercati e superstore, la maggior parte dei quali basati in Lombardia, con oltre 6mila addetti. Panizza nella relazione sulla gestione si dice ottimista sulle vendite del 2016, in linea con lo stesso periodo dell’anno prima. *** DANIELE POLIZZI, CORRIERE DELLA SERA 6/10 – È un pezzo di pregio del tessuto economico italiano. Non solo perché ha un valore materiale stimato in almeno 6-7 miliardi. Ma soprattutto perché è un mix di tecnologia e abilità commerciale che ne fa un gioiello del made in Italy. Quanto vale il gruppo Esselunga? Qualche valutazione, e quindi qualche punto di riferimento, è emersa nelle scorse settimane quando Bernardo Caprotti ha discusso con i potenziali acquirenti di un’eventuale cessione del gruppo milanese. Si è parlato una valutazione tra i 4 e i 6 miliardi, a seconda dell’inserimento nel perimetro di vendita del patrimonio immobiliare. Il patron aveva avviato un dialogo con due fondi internazionali, entrato nel vivo la scorsa estate quando Caprotti aveva preso in seria considerazione la cessione del suo gruppo, forse per la prima volta. In campo era entrato il fondo inglese Cvc che aveva iniziato a lavorare sul dossier circa un anno fa. Qualche mese fa si è fatto avanti anche il private equity americano Blackstone. Tanto che a metà settembre Caprotti aveva deciso di affidare un mandato di consulenza finanziaria a Citi. La banca avrebbe dovuto consegnare all’imprenditore le sue valutazioni la prossima settimana. Negli ultimi 15 anni sono state numerose le avance da parte di concorrenti che puntavano all’acquisto della società milanese. Oltre all’inglese Tesco, aveva fatto un’offerta dieci anni fa l’americana Walmart. Poi, a ruota, si sarebbero affacciati sul dossier il fondo Clessidra, Pam e il gruppo Bennet della famiglia Ratti assieme a Deutsche bank. Ma adesso non se ne farà più nulla. Almeno per il momento. Già, quanto può valere Esselunga? Forse anche più delle cifre fin qui emerse. Visto che il gruppo vale non solo quasi 8 miliardi di ricavi e 300 di utile. Ma anche investimenti nella crescita e nella creazione di occupazione (sono oltre 22mila i dipendenti), che ogni anno ammontano a 400 milioni. Questo patrimonio, e questa responsabilità, ora passano agli eredi. Il timone dell’azienda è saldo in mano all’amministratore delegato Carlo Salza che guida una squadra collaudata. Con progetti ambiziosi che lo porteranno all’inaugurazione a Roma di un mega store, il suo primo nella Capitale. Negli ultimi cinque anni ha investito quasi due miliardi per la rete di vendita e l’organico è cresciuto di 2.600 persone. Lo scorso anno ha aperto cinque negozi nuovi e ne ha ristrutturati e ampliati altri tre, tra Lombardia, Piemonte ed Emilia Romagna, che le sono valsi un 5% di clienti in più. Questa è l’attività commerciale. Poi c’è il patrimonio immobiliare, messo assieme pezzo dopo pezzo dal 1957, anno dell’apertura del primo supermercato in viale Tunisia a Milano. Oltre ad aree di sviluppo e terreni, include un centinaio di negozi in affitto alla Esselunga. Sono raggruppati nella capogruppo Villata partecipazioni. Caprotti ha diviso tra la vedova e i figli anche le quote: il 55% circa delle azioni della holding immobiliare del gruppo è stato donato alla seconda moglie Giuliana Albera Caprotti e alla terzogenita Marina Sylvia. Ai due figli di primo matrimonio, Giuseppe e Violetta è stato lasciato il 22,5% a testa. Assieme hanno il 45%. L’inventore dei supermercati in formato italiano ha deciso (e lo aveva già fatto in vita con una donazione) che Marina e la madre Giuliana hanno le redini del gruppo e possono decidere della gestione e del futuro. Violetta e Giuseppe sono i soci di minoranza. Ma di una realtà che esprime una grande ricchezza, anche economica. Se in futuro si riaprisse la partita della cessione, avrebbero comunque un grande valore: il 30% dell‘operativa Esselunga e il 45% del polo immobiliare. *** DAVIDE MARIA DE LUCA, IL POST 1/10 – Venerdì sera è morto a 90 anni Bernardo Caprotti, fondatore e amministratore di Esselunga, la più grande società di grande distribuzione organizzata in Italia. Caprotti era un imprenditore molto apprezzato, soprattutto al nord-ovest, dove sono concentrati i punti vendita di Esselunga, e soprattutto negli ambienti di centrodestra, ma non solo: l’ex segretario del PD Pierluigi Bersani ha definito il suo modello imprenditoriale “straordinario”. Caprotti è ricordato per la sua tenacia e la passione per la sua azienda, che continuò a gestire con successo fino alla soglia dei 90 anni. Ma nella sua lunga vita ci sono stati anche punti oscuri: la lotta a volte molto dura contro i sindacati, il piglio paternalistico e padronale con cui gestiva l’azienda e i durissimi scontri con i figli, a cui lasciò l’azienda, prima di cambiare idea e riprendersela, fino alla morte. Caprotti è riuscito a creare un’azienda di grande successo: oggi ha più di 22 mila dipendenti e 149 punti vendita, e con 6,8 miliardi di fatturato è la più grande società che si occupa in Italia di grande distribuzione organizzata. I suoi conti, come dice un rapporto di Mediobanca uscito pochi mesi fa, sono tra i migliori di tutto il settore. La sua caratteristica è quella di essere organizzata in grandi e grandissimi punti vendita, la maggior parte di dimensioni simili, in modo da renderne più semplice e omogeneo il rifornimento. La concorrenza, formata da società come COOP, Carrefour e Auchan-Sma (questi ultimi due gruppi francesi), punta anche su punti vendita di dimensioni più ridotte, ma diffusi in maniera più capillare (Auchan-Sma ne ha più di 1.800). Secondo alcuni critici, parte di questo successo è dovuto all’atteggiamento duro e ostile che Caprotti ha sempre avuto nei confronti dei sindacati e del suo paternalismo verso i dipendenti. Oggi le spese di Esselunga per il personale sono circa la metà di quelle del resto del settore. Diverse inchieste giornalistiche nel corso degli anni hanno accusato Caprotti di aver instaurato un clima da caserma nella sua azienda, che non viene subìto solo dai dipendenti, ma anche dagli stessi manager. L’altra importante caratteristica di Esselunga è la sua diffusione. I suoi punti vendita si trovano quasi esclusivamente in grandi città o nelle loro immediate vicinanze. Inoltre, Esselunga è presente quasi soltanto nel nord Italia: in particolare in Lombardia, Piemonte, Emilia e Toscana. Non ci sono punti vendita Esselunga in Liguria, tranne che vicino a La Spezia, e nemmeno in Veneto, tranne che a Verona, e non ce ne sono in Romagna e in nessuna parte del paese che si trovi a sud di Arezzo (tranne uno, aperto recentemente a Roma). Questa presenza soprattutto nel nord Italia è strettamente intrecciata con la storia della società e quella del suo fondatore. Bernardo Caprotti nacque a Milano il 7 ottobre del 1925 da una famiglia di imprenditori tessili. Nel 1957, con alcuni soci fondò la Supermaket Italiani SPA e aprì in viale Regina Giovanna il primo supermercato italiano. La proprietà della società era condivisa con i suoi due fratelli, con una serie di imprenditori milanesi e con l’imprenditore americano Nelson Rockfeller. L’insegna del supermercato venne realizzata dal grafico svizzero Max Huber, ed era caratterizzata da un prolungamento della lettera “s”. Questa “esse lunga” diede poi il nome all’intera catena dei supermercati. Con l’apertura del supermercato a Milano e di successivi punti vendita a Firenze, Caprotti e i suoi soci diventarono i primi a occuparsi di grande distribuzione in Italia, in un momento in cui il grande supermercato pieno di merci era uno dei simboli più efficaci della modernità e del ritorno alla crescita economica, dopo gli anni difficili della guerra. L’impresa, però, non andava benissimo e i Caprotti riuscirono ad acquistare le quote dei loro soci americani, diventando di fatto gli unici proprietari della società. In quegli anni cominciarono a emergere alcuni tratti del carattere di Bernardo Caprotti, come il suo atteggiamento accentratore e a volte brusco. Nel corso degli anni Sessanta, i fratelli vennero estromessi dalla società, di cui rimase alla guida soltanto Bernardo. I problemi familiari furono una costante nella storia di Esselunga. Trent’anni dopo i problemi con i fratelli, le prime pagine dei giornali si occuparono di quelli che Bernardo Caprotti ebbe con i suoi tre figli. Nel 1998, all’età di 73 anni e pochi anni dopo aver patteggiato una condanna a 9 mesi di carcere per corruzione alla Guardia di Finanza, Caprotti passò la guida della società al figlio Giuseppe, a cui aveva trasferito un terzo delle azioni della società, lasciando gli altri due terzi alle due sorelle. Giuseppe, insieme alla sorella Violetta, lavorava da anni nella società. Tra i suoi progetti c’era una forte spinta verso il biologico, e una campagna pubblicitaria che usava come slogan “Famosi per la qualità”. Violetta Caprotti produsse un’altra campagna, intitolata “Da noi la qualità è qualcosa di speciale”. I manifesti delle due campagne, ideati da Armando Testa, che raffigurano prodotti del supermercato re-immaginati come animali, persone od oggetti, divennero molto famosi. Caprotti lasciò il consiglio d’amministrazione della società nel 2002, ma in pochi anni divenne chiaro che non era soddisfatto del suo nuovo ruolo, del lavoro dei figli e di quello dei manager che avevano assunto. Già due anni prima alcune inchieste giornalistiche rivelarono i difficili rapporti interni alla famiglia e le continue intromissioni di Caprotti nell’attività della società. L’episodio più famoso avvenne nel 2004, quando Caprotti mandò quattro automobili di lusso a prelevare i tre principali dirigenti fedeli al figlio, che aveva appena fatto licenziare. La quarta automobile, che ripartì vuota, era simbolicamente arrivata per prendere Giuseppe. Poco dopo, Caprotti decise di estromettere Giuseppe dalla guida dell’azienda e riuscì a farlo, poiché aveva conservato per sé l’usufrutto del 51 per cento delle azioni della società. Per quasi dieci anni, Caprotti continuò a gestire la sua azienda tramite un piccolo gruppo di fedelissimi manager storici. Nel 2007, pubblicò il libro “Falce e carrello“, in cui accusava le COOP di concorrenza sleale e di essersi alleate con le amministrazioni locali di sinistra per impedire l’arrivo di Esselunga nel centro Italia. Il libro ebbe una storia travagliata: divenne immediatamente un classico, soprattutto negli ambienti di centrodestra, e fu al centro di una complicata vicenda processuale, con richieste di risarcimenti milionari da parte di COOP e un ordine di distruzione di tutte le copie del libro da parte del tribunale di Milano (poi sospeso). La guerra tra Esselunga e COOP è continuata fino a questi anni. Nel 2012, ad esempio, COOP Estense venne condannata per aver ostacolato Esselunga in maniera irregolare. Nel 2016, Caprotti e i giornalisti Maurizio Belpietro e Gianluigi Nuzzi sono stati condannati per diffamazione per una complicata vicenda in cui un manager di COOP Lombardia era stato accusato di intercettare i suoi dipendenti. Negli ultimi anni Caprotti aveva lasciato la gestione dell’azienda ai suoi manager più fedeli e, secondo le indiscrezioni pubblicate da diversi quotidiani, aveva iniziato a sondare possibili compratori internazionali. Come spesso accade con le grandi società di proprietà familiare, il passaggio di consegne alla generazione successiva è spesso il più difficile. Oggi, dopo la morte del suo fondatore, Esselunga ha davanti a sé un futuro incerto.