Marco Morin, LaVerità 7/10/2016, 7 ottobre 2016
LE GALEAZZE FERMARONO L’ISLAM A LEPANTO
Esattamente 445 anni or sono, il 7 ottobre 1571, una sanguinosa battaglia navale combattuta fra la costa greca del Peloponneso e l’isola di Cefalonia distruggeva la potenza marittima ottomana salvando l’Occidente da una più che probabile invasione islamica. Sotto Solimano il Magnifico le invincibili armate turche avevano spostato il confine settentrionale dell’impero a pochi chilometri da Vienna e da Venezia, mentre sul mare, dopo la battaglia della Prevesa malamente persa nel 1538 dalla lega cristiana, comandata da Andrea Doria già allora al soldo di Carlo V, le galee della Mezzaluna dominavano il Mediterraneo orientale conquistando metodicamente le basi veneziane.
Si prospettava un conflitto all’ultimo sangue, tanto che la Repubblica di Venezia, confidando solo sulle sue forze, nel 1566 iniziò ad allestire quelle armi segrete che cinque anni più tardi avrebbero permesso di annientare la flotta del Sultano Selim: le galeazze.
L’ARMA IN PIÙ
In gran segreto, all’interno del celebre Arsenale, dodici grandi triremi commerciali ad alto bordo vennero trasformate in potenti imbarcazioni militari dotate, a differenza delle galee che ne avevano solo a prua, di grosse artiglierie anche a poppa e lungo le fiancate.
Nel 1570 il Papa San Pio V, in occasione della barbara invasione di Cipro, allora veneziana, da parte degli Ottomani, riuscì a costituire una alleanza fra Spagna, la Serenissima e altre potenze minori. La flotta degli alleati uniti nella Santa Lega si riunì a Messina all’inizio dell’estate 1571, ma dovette attendere fino ad agosto l’arrivo del comandante in capo don Giovanni d’Austria, il giovanissimo fratellastro del re di Spagna Filippo II. L’armata marittima ottomana, che era in mare dalla tarda primavera, dopo aver saccheggiato selvaggiamente le coste del basso Adriatico aveva gettato le ancore nel golfo di Corinto, allora noto come golfo di Lepanto dall’omonima cittadina (ora Naupactos). Il comandante in capo, Alì Pascià, venuto a sapere che le imbarcazioni cristiane avevano doppiato a nord l’isola di Cefalonia, forte degli ordini ricevuti dal sultano Selim diede ordine di salpare verso il golfo di Patrasso per intercettare il nemico. Pare che dalle proprie spie avesse avuto informazioni imprecise sulla consistenza della flotta cristiana, e solo qualche vaga notizia sulla natura di sei grosse galeazze veneziane (le altre sei erano rimaste in patria, a difendere i possedimenti veneziani).
Al momento dello scontro, avvenuto la mattina del 7 ottobre nei pressi delle isole Curzolari, Alì Pascià posizionò le sue imbarcazioni, poco più di duecento galee e alcune decine di legni minori, a forma di mezzaluna; la flotta cristiana – altrettanto numerosa e con più di un quarto della forza battente bandiera veneta – si era invece schierata in tre squadre perfettamente in riga, di fronte ad ognuna delle quali erano state rimorchiate a fatica due delle ponderose galeazze.
Gli ottomani si mossero all’attacco con la consueta irruenza ma, prima di poter raggiungere la linea delle galee cristiane, ebbero una inaspettata e terribile sorpresa. Le galeazze infatti, scambiate pare per imbarcazioni da trasporto, aprirono il fuoco prima con le artiglierie di prua e poi, girando su se stesse, con quelle delle fiancate e con quelle di poppa.
Emilio Manolesso, storico dell’epoca, così descrive l’episodio: «Spararono l’artegliarie, delle quali n’haveano da tutte le parti inumerabil copia, e girando, e volteggiando leggiadrissimamente fecero il medesimo più d’una volta: il fumo delle quali levò il vedere alli nemici, il tuono l’udito, e le palle, catene, scaglie, che con incredibil furia uscirono da esse, urtarono e fracassarono gran parte dell’armata».
Malgrado le notevoli perdite subite – alcuni storici contemporanei parlano di almeno settanta imbarcazioni affondate – le rimanenti galee islamiche attaccarono con grande coraggio lo schieramento nemico e la battaglia si spezzettò in vari scontri caratterizzati da abbordaggi e aspri combattimenti corpo a corpo.
PRIMATO TECNOLOGICO
Alla fine la superiorità dell’armamento cristiano (i soldati imbarcati erano dotati di corsaletti di acciaio e di archibugi mentre la maggioranza degli ottomani era priva di protezione ed era equipaggiata con archi le cui frecce poco potevano contro le corazze) ebbe il sopravvento sul valore del nemico: la morte di Alì Pascià e la vista della sua testa mozzata issata su una picca segnò la fine della più importante battaglia fra imbarcazioni a remi combattuta nell’era moderna.
Battaglia vinta grazie alla religiosità di un grande pontefice e, soprattutto, alla superiorità tecnologica dell’Occidente, superiorità che ancora perdura. Quella che invece è andata persa è la forza della fede e la volontà di resistere al costante, subdolo e irriducibile espansionismo islamico. L’Italia, da sempre ventre molle di una Europa pantofolaia unita solo da meschini vincoli economici e dalla deplorevole moda del politically correct, è da tempo diventata la caritatevole porta di invasione dei nuovi barbari la maggior parte dei quali fedeli di Maometto. Con il consenso dell’attuale governo: per le cooperative rosse e bianche il business dei migranti rappresenta, come ebbe a confermare Salvatore Buzzi nelle intercettazioni dell’inchiesta Mafia capitale, una fonte di guadagno superiore a quella del traffico della droga.