Ignazio Mangrano, LaVerità 7/10/2016, 7 ottobre 2016
FINITO IL QUARTETTO COLANNINO IL POTERE ORA CE L’HA UN LIBRAIO CHE COLTIVA I SOGNI
Una ventina d’anni fa nel teatrino del potere mantovano erano in quattro a dettar legge, ovvero, in ordine alfabetico: Sergio Baraldi, direttore della Gazzetta di Mantova, gruppo Finegil; Roberto Colaninno, numero uno della Sogefi, gruppo De Benedetti; Roberto Gianolio, un luminare del diritto amministrativo, vicepresidente della Bam (Banca agricola mantovana), un gioiello di istituto e da un secolo motore dell’economia locale; Antonino Zaniboni, deputato dc per quattro legislature dal 1976 al 1987.
Baraldi voleva dire il quasi monopolio dell’informazione locale perché l’altro quotidiano, La Voce diMantova, gran diffusione non l’ha mai avuta. Colaninno e Gianolio interpretavano il potere della Bam, perché il presidente, Piermaria Pacchioni, era tale soltanto grazie al loro consenso, e si muovevano con un nugolo di sguatteri. Zaniboni era un raffinato tessitore di alleanze e, pur schierato nella sinistra democristiana, doroteo per il senso del potere.
IL QUARTETTO
Di questo quartetto che, per un periodo tutt’altro che breve, ha avuto in pugno Mantova resta sulla breccia soltanto Colaninno. Baraldi, anche per via dell’età, è stato rottamato dopo aver girovagato, senza lasciare traccia, nei quotidiani locali del gruppo L’Espresso. Gianolio e Zaniboni sono morti, accompagnati dalle scontate litanie che «meglio di loro non c’era nessuno». Colaninno, invece, 73 anni, da signore di Mantova che era è diventato un signore di statura mondiale: guida e controlla la Piaggio. E a tanto è arrivato, a dar retta alla recentissima Storia diMantova (Marsilio) firmata da Guido Vigna, ex caporedattore centrale del Mondo, grazie al potere esercitato nel sodalizio di fatto con Baraldi, Gianolio e Zaniboni.
L’AFFARE BAM-MPS
Colaninno è stato il trascinatore di coloro che hanno tramato perché la Bam passasse al Monte dei Paschi di Siena. Con tutto quello che ne è conseguito, e ben noto: le insegne della Bam, l’istituto che tutti invidiavano a Mantova, hanno lasciato il posto a quelle di Mps, la peggior banca europea. Mentre Colaninno, dopo le benemerenze acquisite tra i Ds per aver spianato la strada dei senesi alla presa della Bam, è andato a conquistare, con tanto di osanna dalemiani (ve la ricordate l’esaltazione della «razza padana»?) e con un’Opa da 61.000 miliardi di lire, la più grande che sia mai stata lanciata in Italia, la Telecom, poi venduta con una plusvalenza da favola grazie alla quale s’è potuto permettere la Piaggio.
IL «RAG.» LAUREATO
In città il grande ragioniere, al quale i successi imprenditoriali – e chissenefrega se sono stati ottenuti sulla pelle di Mantova, oggi martirizzata dalla più grave crisi economica dal 1945 – hanno regalato una laurea honoris causa da esibire sui biglietti da visita in luogo dell’antipaticissimo titolo di ragioniere, s’è fatto un monumento di magione, che lo fa sentire come un Gonzaga, quel Palazzo Canossa che trionfa in una piazzetta nel cuore del centro storico: sarebbe un delizioso salotto se non fosse delittuosamente concessa al traffico e screziata da una bestemmia di architettura. Oddio, il palazzo, un tempo, ospitava la scuola ma la destinazione d’uso, quand’era sindaco il diessino Gianfranco Burchiellaro, buon amico del «rag.», cambiò destinazione d’uso dalla mattina alla sera, o quasi.
IL LIBRAIO DEL FESTIVAL
Nonostante il palazzo, nonostante i successi mondiali, nonostante il figlio Matteo che, forse per le benemerenze paterne è alla seconda legislatura come deputato del Pd, è difficile, oggi, considerare il grande ragioniere tra i signori di Mantova. Qui ormai, e per via della Bam, conta – dopo essere stato, di fatto, l’ultimo dei Gonzaga – come il due di briscola. È stato spodestato nel cuore dei mantovani da Luca Nicolini. Viene, Nicolini, da una famiglia di notai: fa il libraio, un libraio che sa leggere, sognare e avventurarsi nel futuro. Nel 1996, insieme con la moglie, Carla Bernini, e sei, chissà se amici, ma come lui smaniosi di fare qualcosa per la città che illanguidiva compiacendosi nella nostalgia del passato, ha creato il Festivaletteratura, il padre di tutti i festival italiani di cultura, un palcoscenico di superlativi che ha fatto e fa di Mantova una delle capitali della produzione letteraria mondiale.
I sei della favolosa avventura del festival rispondono ai nomi di Marzia Corraini, una signora che con il marito Maurizio ha dato vita a una casa editrice che ripete il cognome, minima e che più raffinata non si può Francesco Caprini, Paolo Polettini, Gianni Tonelli, Annarosa Buttarelli, Laura Baccaglioni. I successi festivalieri che si ripetono da vent’anni li hanno collocati sull’Olimpo mantovano e a Nicolini hanno dato le credenziali per essere pensato come un sindaco da sogno. Alla candidatura lui ha puntualmente detto no e dopo l’ultimo rifiuto i mantovani hanno ripiegato su un professionista della politica, Mattia Palazzi (Pd).
LA GAZZETTA D’INCENSO
Nella Mantova del secondo dopoguerra i sindaci sono stati quasi tutti di sinistra, gente, perlopiù, degli apparati politici che alla poltrona chiedeva di essere trampolino per Montecitorio o, comunque, una spensierata vecchiaia. Palazzi non sembra sfuggire alla regola. S’è trovato a guidare la città incoronata, per merito di altri, capitale della cultura 2016; una situazione che lo ha eccitato in un attivismo, almeno dell’apparenza, che la Gazzetta di Mantova diretta da Paolo Boldrini, non manca di assecondare. E che però non lo ha ancora fatto assurgere, e chissà poi se lo farà assurgere, tra i signori di una città la cui decadenza è leggibile in ogni via, con la desolazione di case e negozi abbandonati.
Appena l’altro ieri i signori di Mantova si svelavano nella stanza dei bottoni delle grandi associazioni o degli enti pubblici. I presidenti contavano, eccome se contavano: oggi chi è alla guida degli industriali, Alberto Marenghi, un giovanottone proprietario di un’azienda, Cartiera mantovana, che ha secoli di storia, dai più è confuso con il padre, famoso gourmet; e il presidente dei commercianti, Ercole Montanari, è meglio conosciuto come il Cenatore, perché non manca mai là dove le tavole sono ben fornite. Quanto al presidente della Camera di commercio, Carlo Zanetti, è noto soprattutto per i suoi vistosi e asburgici baffi.
E allora bisogna frugare tra i nomi dell’imprenditoria che fece di Mantova, a metà degli anni Ottanta, la provincia più ricca d’Italia, tra i superstiti o i figli delle eccellenze che crearono mirabili fortune.
IL GEOMETRA
Steno Marcegaglia, il geometra che partendo da un laboratorio di tapparelle aveva saputo creare un impero oggi significativo di un fatturato, in mezzo mondo, di 6 miliardi di euro, è morto tre anni fa. Gli sopravvivono la moglie Palmira, colpita parecchi anni fa da un ictus, che nonostante l’infermità continua a detenere il 25% di tutte le proprietà familiari, e i figli, Antonio ed Emma, che definire litigarelli è dir poco, avulsi dalla realtà mantovana che non si specchia nel loro gruppo. Emma, in particolare, sfarfalleggia a Roma, presidente com’è dell’Eni, incarico luccicante per l’auto e la scorta. Ha lasciato questo mondo pure Mauro Saviola, anch’egli creatore di un impero, quello del pannello truciolare (che poi nel suo caso è ecologico), incontrastato signore in un brano di terra, il Viadanese, dove la ricchezza è palpabile e si guarda più a Parma che a Mantova. Il figlio che ne ha preso il posto, Alessandro, guida il gruppo di famiglia con una grinta che ha stupito un po’ tutti e vive più della sua Viadana che di Mantova.
I Levoni, storici re degli insaccati, sono anche loro litigarelli, a parole e nei fatti: Paolo e Mario hanno costretto in disparte Ezechiello, l’interprete delle maggiori fortune del salumificio, e i suoi figli per tentare di fare di Nicola, che è di gran bella presenza, il numero uno.
Carloalberto Corneliani, uno che dopo un fallimento ha dato vita a una casa di abbigliamento maschile con il suo nome e sinonimo nel mondo di raffinatezza e di esclusività, prima di ritirarsi, a 86 anni, ha spinto, non credendo né nei figli né nei nipoti, per la vendita agli arabi.
PIATTI FREDDI
Tra gli ultimi dei grandi vecchi dell’imprenditoria mantovana, Romano Freddi, l’inventore di un successo mondiale come la pizza surgelata, vicino agli 88 anni, resiste al comando del suo gruppo perché si fida soltanto di se stesso. I Bianchi della Lubiam, prima azienda mantovana per anzianità, pur notevoli proprietari immobiliari, non hanno mai proposto la grinta del potere. Mentre Pierluigi Ceccardi, un altro della vecchia guardia imprenditoriale che ha plasmato la Mantova della ricchezza, il signore lo ha fatto al di là della città come presidente della Federmeccanica.
Il nuovo che avanza ha i nomi, misconosciuti anche tra i mantovani, di Remo Gobbi, l’uomo della Pata, descritto forse per il profilo, vicino ai leghisti, il quale sponsorizza Valentino Rossi; di Marino Garosi, l’anima della Fulgar, colosso mondiale dei filati; dei Francescon, artisti della terra con i loro meloni che nascono nel rispetto dell’ambiente e che si insinuano ovunque nell’Europa che conta; di Giuseppe Galli, che con il marchio Folli Follie ha creato boutique monumenti di esclusività.
Un tempo i signori di Mantova si svelavano anche nella società civile che poi era la grande e dotta borghesia; filtravano dall’Accademia Virgiliana, dal crocchio dei meglio professionisti, da ambienti culturali tutt’altro che provinciali e che hanno espresso scintillio con Francesco Bartoli, Gino Baratta e Mario Artioli, tutti nomi oggi sulle lapidi. Tempi belli, lontani, irripetibili.
In una città sempre più vecchia e rassegnata non resta che la vitalità di Sergio Genovesi a testimoniare il passato. Genovesi, un signor avvocato come tanti suoi ascendenti, è stato anche sindaco, uno dei pochissimi sindaci del dopoguerra espresso non dalla politica ma dalla società civile e, nonostante un esile mandato, il più popolare e benvoluto.