Alain De Benoist, LaVerità 6/10/2016, 6 ottobre 2016
LE TESI PROIBITE DI LORENZ «NON SIAMO TUTTI UGUALI»– Lei conosce il grande rimprovero che è stato fatto all’etologia: voler spiegare l’uomo con l’animale
LE TESI PROIBITE DI LORENZ «NON SIAMO TUTTI UGUALI»– Lei conosce il grande rimprovero che è stato fatto all’etologia: voler spiegare l’uomo con l’animale. Nel passato, ha già risposto a questa accusa. Mi ricordo di quella citazione di Lao-tze: «Tutto l’animale è nell’uomo, ma non tutto l’uomo è nell’animale.. [...] Può fare il punto su tale questione? «La risposta è molto semplice. I critici in questione non mi hanno letto oppure fanno finta di non avermi capito. Certuni, è vero, divengono talmente furiosi, cominciando a leggermi, che forse sono incapaci di continuare! Non soltanto io non sopravvaluto la parte dell’animale che è nell’uomo, ma, dirò di più, sono gli avversari dell’etologia che sottovalutano la differenza che vi è fra l’uomo e gli animali. Una vera rivoluzione si è prodotta alla fine del terziario, quando i nostri antenati, i gentlemen della valle dell’Omo, scoprirono il pensiero concettuale. In questa tappa dell’evoluzione, facoltà che, in passato, non esistevano che isolatamente presso gli animali, sono state combinate in un sistema totalmente nuovo, che ha sviluppato proprietà sistematiche fino ad allora sconosciute. La percezione delle forme e la facoltà di rappresentare lo spazio, combinate con le facoltà d’esplorazione dei giovani antropoidi, ebbero così per risultato un’attività interamente nuova: l’attività concettuale. Questa comporta formidabili conseguenze. Infatti, se comprendo che la mia mano è una cosa reale tanto quanto il legno che essa tocca, la mia presa di questo legno diventa comprensione e, da allora, comprendo l’attività della mia mano tanto bene quanto la risposta che ottengo quando sento una forma. Ora, questa facoltà può essere trasmessa: può divenire oggetto di tradizione. Di qui la nascita del linguaggio sintattico, che è molto probabilmente inseparabile da quella del pensiero concettuale. Noam Chomsky, come sa, pensa che il linguaggio non si sia sviluppato come mezzo di comunicazione, bensì come mezzo di concettualizzazione. A mio avviso, le due cose si sono sviluppate in simultanea interazione, ciascuna appoggiandosi in certo qual modo all’altra. Si vede dunque apparire, con l’uomo, una facoltà che in precedenza non esisteva: la tradizione cumulativa. Ne deriva una sorta di eredità socioculturale dei caratteri acquisiti. Prima dell’apparizione del pensiero concettuale, solo l’apparato genetico era suscettibile di ritenere e di ritrasmettere delle informazioni. Ora, ecco che appare un nuovo apparato dotato di proprietà identiche, poiché rende possibile la trasmissione ed il cumulo delle tradizioni. Nello stesso tempo, presso quest’essere sociale che è l’uomo, i vincoli comunitari si trovano rinforzati: infatti, se lei mi spiega un’idea, io possiedo questa idea tanto bene quanto lei dall’istante in cui l’ho compresa ed assimilata. Abbiamo dunque questa idea in comune e ciò ci avvicina. Ma, nello stesso tempo, ci differenziamo da tale o da talaltro gruppo che possiede altre idee in comune. Da questo istante, il cervello dell’uomo si mette a crescere come un fungo; a tal punto che si potrebbe quasi parlare di “esplosione”. Appaiono allora le differenti culture. Ora, dal punto di vista biologico, la cultura, la tradizione cumulativa culturale, è un fenomeno così differente da tutto ciò che si constata presso gli altri animali da poter dire che, con l’uomo, inizia una nuova forma di vita». Ne Il cosiddetto male, lei ha scritto che la selezione naturale determina l’evoluzione delle culture così come quella delle specie. Che intende dire con questo? «Penso effettivamente che l’evoluzione delle culture sia sottomessa a dei processi selettivi ed è perciò che oggi sono così pessimista. È evidente che il meccanismo culturale di trasmissione della tradizione è molto più fragile del meccanismo genetico di trasmissione dell’eredità. In ogni generazione, questo meccanismo può essere falsato, sia nel senso di una rigidità troppo grande, che nel senso di una variazione troppo forte. In passato, le oscillazioni tra queste due tendenze erano di lieve ampiezza; si avvicendavano regolarmente e l’equilibrio era così più o meno rispettato. Ma l’ampiezza delle oscillazioni è diventata a poco a poco smisurata. Siamo attualmente in un periodo di mutamenti troppo grandi, caratterizzato dalla neofilia (il gusto della novità per la novità) e dalla disindividualizzazione. Ne risulta una vera involuzione, dovuta al fatto che tende a non esserci più che una cultura. Ci battiamo con le stesse armi in tutto il mondo, ci affrontiamo sugli stessi mercati internazionali, facciamo uso della stessa tecnologia. È all’opera un processo selettivo, che spinge l’umanità verso la riduzione delle diversità che esistevano nel suo seno, che le impone di pensare esclusivamente in termini d’efficienza mercantile, ecc. In questa corsa in avanti, nessuno ha più il tempo di riflettere. La tecnocrazia tende a fare dell’uomo una macchina, una macchina manipolabile. Gli uomini debbono essere sempre più “eguali” per potersi rimpiazzare più facilmente, esattamente come le macchine. Recentemente ho letto un libro di Theodore Roszak, che mi ha molto impressionato. Roszak mostra che questa involuzione sociale e culturale non è un fenomeno politico, nel senso classico di questo termine. È un fenomeno che si osserva tanto all’Est quanto all’Ovest. Lo si può chiamare meta-politico ed è per questo motivo che è così difficile dimostrare che si esercita a scapito di tutta l’umanità. Roszak mostra pure che un tale processo, almeno all’inizio, può non sembrare spaventoso, ma, in una certa misura, seducente. La soppressione della sofferenza, il miglioramento della condizione comune, la scomparsa delle costrizioni, la diminuzione delle cause di dispiacere: tutto ciò seduce enormemente. Bisogna tuttavia mostrare a quale prezzo questi vantaggi dovranno essere pagati ed è ciò che ho tentato di fare ne Gli otto peccati capitali della nostra civiltà. Chiamo tecnomorfica questa ideologia disindividualizzante. Essa tratta dell’uomo in modo meccanico, invece di trattarne in modo organico. Oggi, molti uomini immaginano che una cosa che non si possa definire in termini matematici, che non si possa quantificare, è una cosa che non esiste. Questo è il pensiero riduzionista. Così, si crea un’umanità che conosce il prezzo di tutto... ed il valore di niente. La cosa più triste è che numerosi pensatori sono così portati ad identificare il riduzionismo con tutta la pratica scientifica. Ora, ciò non è vero. La scienza, come l’intende Karl R. Popper o come l’intendo io stesso, non ha niente a che vedere con il riduzionismo. Beninteso, lo scienziato “riduce” l’oggetto delle sue ricerche nella misura in cui, per spiegare i fenomeni, è obbligato ad isolarli dal loro contesto. Così, il biologo è “riduzionista” quando spiega i fenomeni biologici con la fisico-chimica. Ma ciò non vuol dire che la vita non sia nient’altro che qualcosa di fisico-chimico. Se dite che tutti i processi vitali sono in ultima analisi dei processi fisico-chimici, siete nel vero. Ma, dal momento in cui dite che essi non sono nient’altro che processi fisico-chimici, allora cadete in quello che Julian Huxley chiamava il nothing-else-but’ism, il “nient’altro-che-ismo”. Succede lo stesso quando si dice dell’uomo che egli è un mammifero o che egli non è che un mammifero. Oggi, il più grande pericolo che ci minaccia è la scomparsa del significato dei valori. Siamo in un’epoca in cui le parole “buono” e “cattivo” sono scomparse dal vocabolario corrente. In certi casi, non è visto di buon occhio esprimere un giudizio di valore sulle cose o sulle persone. Nelle chiese stesse, la nozione di peccato tende a scomparire. Conoscete la parola foolproof “a prova d’idiota”. In alcune automobili, il cambio è concepito in modo che anche un uomo del tutto stupido possa usarlo. L’insieme della società tende a divenire foolproof. È così che non vi è più bisogno di uomini di valore. Le macchine si assumono le responsabilità e tolgono il potere decisionale all’uomo. Dal punto di vista della tecnocrazia, non è neppure più augurabile che questo potere decisionale appartenga ancora all’uomo». Ne Gli otto peccati capitali della nostra civiltà, lei denuncia con vigore ciò che chiama le «dottrine pseudo-democratiche» e specialmente la credenza egualitaria in base alla quale, con possibilità eguali per tutti alla partenza, i risultati di ciascuno saranno gli stessi all’arrivo... «L’egualitarismo ha una responsabilità diretta in ciò che accade attualmente. Philip Wylie, che è il padre dell’idea di una pseudo-democrazia come io l’ho concettualizzata, lo pensava già. Credo che sia sempre pericoloso costruire tutto un sistema su una menzogna. Ora, non è vero che noi siamo eguali. L’ineguaglianza dell’uomo è uno dei fondamenti ed una delle condizioni di ogni cultura, perché è essa che introduce la diversità nella cultura. Nella società umana, la divisione del lavoro è fondata su una differenza, un’ineguaglianza dei membri della società. Alla base di questa ineguaglianza, vi è una differenza di capacità. Se noi non fossimo differenti, lei non sarebbe uno scrittore ed io non sarei uno scienziato. Il fatto che siamo diversi è capitale dal punto di vista dei valori. Sebbene si sia diversi, abbiamo gli stessi diritti fondamentali. Ogni uomo ha diritto di sviluppare le facoltà che sono in lui. Ciò non vuol dire che gli uomini abbiano differenti valori, ma semplicemente che essi hanno differenti capacità. È la stessa cosa con i gruppi razziali. Non esistono razze superiori od inferiori, ma vi sono razze diverse. Il punto di vista egualitario è completamente anti-biologico: gli uomini sono diversi dal momento del loro concepimento». Questa idea sembra evidente, ma si scontra con riserve di molti nostri contemporanei... «Il semplice fatto di dire che gli uomini non nascono eguali scatena presso alcune persone reazioni di collera o di aggressività! Si tratta tuttavia di un dato elementare. Le stesse persone non si rendono conto che, se fossimo tutti eguali, diverremmo intercambiabili e perderemmo ogni libertà. Se si legge Skinner, soprattutto Oltre la libertà e la dignità, ci si accorge d’altronde che il behaviorismo è molto ostile all’idea di un uomo autonomo. Preferisce l’uomo manipolabile, l’uomo-macchina. Skinner, che è tuttavia senza dubbio un uomo onesto, è così vittima del pensiero tecnomorfico e pseudodemocratico». A proposito delle dottrine pseudodemocratiche, cosa pensa di quel settore del pensiero umano che trae le sue origini dalle teorie di Rousseau? «Un filosofo come Jean-Jacues Rousseau ha causato danni considerevoli. Gli ideologi che si richiamano a lui non hanno mai capito la differenza che vi è tra l’uomo e gli animali. Marcuse, che era peraltro molto intelligente, era una sorta di folle utopista. Era convinto che, “liberando” l’uomo da ogni cultura, da ogni tradizione, si sarebbe vista subito una nuova cultura sorgere e sfociare da se stessa. È come se si dicesse che, abbattendo tutta una foresta, non ci sarebbe il deserto, ma una nuova foresta. Ma, se abbatterete la foresta, la terra sarà lavata dalle piogge e sarà il deserto. Un uomo “liberato” dalla cultura e dalla tradizione non sarebbe il “buon selvaggio” di cui parla Rousseau, ma un cretino, un essere che non potrebbe neppure parlare e che probabilmente non sarebbe neppure più umano». [...] In un testo apparso alcuni anni fa, ho messo in rilievo questa frase che lei ha pronunciato: «Per me, Dio non è un individuo. Se esiste, è dappertutto, forse in me». Questo evoca tanto i presocratici quanto i grandi mistici tedeschi del Medio Evo, specialmente Meister Eckhart. Lei è panteista? «In rapporto al mondo organico, sono certamente panteista. Ma che succede nel mondo non organico? È una domanda alla quale non posso rispondere. Dopo tutto, Dio è nato forse con la vita organica! Ciò è senza dubbio un pregiudizio sentimentale. Non di meno, quando i biologi hanno definito i virus come dei sistemi respiranti ma non viventi, devo riconoscere che sono stato enormemente colpito. Non mi piaceva sentire ciò! Ero senza dubbio dualista! Lo sono rimasto un po’. Non si potrebbe pensare che “Dio” si trovi in una concentrazione molto fine, molto diluita nella materia non organica e che sia più “concentrato” nei sistemi viventi? Per coscienza sono panteista, ma sono monista o dualista? Probabilmente monista, nonostante tutto». Lei ha fatto una critica molto pertinente della pedagogia «all’americana», di quella corrente pedagogica che consiste nell’evitare al bambino ogni «frustrazione», ogni rischio di «complesso» e che è infine sfociata nell’attuale educazione «antiautoritaria». Ci può dire quale potrebbe essere una pedagogia che utilizzi le esperienze dell’etologia moderna? «Un sistema sociale, nel quale il bambino è alfa e la madre è omega, non è un sistema normale. È un sistema malsano. D’altra parte, una psicologa tedesca ha dimostrato in modo magistrale che la frustrazione completa e l’assenza completa di frustrazione producono esattamente gli stessi effetti patologici sul bambino. Se date il biberon ad un bambino prima che abbia pianto o fatto qualcosa per ottenerlo, arriverete allo stesso risultato che se glielo aveste dato obbligandolo a piangere per averlo. In ambedue i casi, il bambino è nell’impossibilità di esercitarsi a raggiungere una meta. Ora, fin dai primi mesi della sua vita, il ragazzo deve imparare che bisogna lavorare per ottenere qualche cosa. Se prende l’abitudine di ottenere quello che vuole senza lavorare, questo ha le stesse conseguenze patologiche che se lavorasse senza mai ottenere niente. L’assenza di ostacoli da superare è dunque tanto dannosa quanto l’esistenza di ostacoli insormontabili. È sufficiente trasporre questo principio nel mondo adulto per comprendere la natura di uno dei difetti delle società moderne. D’altronde, il metodo “antifrustrazione” ha lo scopo di creare una gerarchia anormale. L’ordine delle cose è capovolto: il bambino, che ha tutto da imparare, si trova collocato al posto di comando, mentre coloro che potrebbero insegnargli qualcosa sono in fondo alla scala, sotto la sua autorità. Tale situazione è nevrotizzante per il bambino, che molto presto è detestato dalle persone che lo circondano. Questo bambino “non-frustrato”, che picchia sua madre, che disprezza suo padre, è infatti accolto male. Rompe tutto, uccide gli uccelli, infrange gli acquari e gli si dice: “Non è niente! È bene liberarsi dalle inibizioni!”. I genitori, questi due codardi intimiditi da un bambino di due anni, sono abbastanza stupidi per crederlo. Ma il bambino non lo crede. Come il cane, ha una grandissima capacità di interpretare i messaggi, le comunicazioni non-verbali e si rende conto di ciò che accade. Questo bambino si trova dunque in un mondo ostile (poiché nessuno ama avere presso di sé bambini “non-frustrati”), circondato da due spregevoli codardi che non sono capaci di proteggerlo – perché non hanno la posizione dominante necessaria per questo. È una situazione spaventosa. Ne risulta un’inadattabilità crescente e, di conseguenza, una maggiore tendenza a ribellarsi. Inoltre, esiste una correlazione tra l’aggressività che i bambini di una stessa famiglia si manifestano a vicenda e l’assenza di un padre dominante. Ciò si vede molto bene negli Stati Uniti, dove fratelli e sorelle si dicono frequentemente I hate you! (“ti odio“). Lo stesso avviene nel mondo animale. Presso i lupi, quando l’alfa scompare, subito scoppiano battaglie fra i piccoli. La dominazione non è necessariamente una dominazione brutale. Sono convinto che, nella gerarchia familiare, si possa ottenere l’obbedienza ed il rispetto dei figli senza fare sistematicamente ricorso al sistema delle punizioni. Lei conosce la famosa scuola “antiautoritaria” di Summer hill. La verità è che, in questa scuola, i maestri hanno un’autorità enorme! Essi hanno semplicemente trovato altri mezzi per imporre la loro autorità. L’affermazione secondo la quale questa scuola è “antiautoritaria” è una menzogna pura e semplice! Bisogna imitare i contadini, presso i quali tutto avviene in modo naturale: il bambino gioca ad imitare i suoi genitori ed in questo modo si forma. Ho un amico contadino che è notevolmente rispettato dai suoi figli. Per una semplice ragione: fa le cose meglio di loro ed i figli cercano di farle bene quanto lui. E poi, la presenza di una comunità familiare è necessaria, perché permette di creare dei ricambi di autorità. L’uomo di trent’anni comprende molto bene che i consigli di suo padre, che ha cinquant’anni, sono validi ed ha del rispetto per lui. Il ragazzino di cinque anni non può ancora capire in che cosa consista la superiorità di suo nonno, ma ammira il ragazzo di dieci anni cui hanno già permesso di assumere delle piccole responsabilità. Per il ragazzo di dieci anni, queste responsabilità sono privilegi, non doveri, ed egli comprende molto bene che, per beneficiarne, deve piegarsi ad una certa disciplina. In seguito a questo, può dare delle spiegazioni a suo fratello di cinque anni. Si creano così un’ammirazione ed una disciplina piramidale, al cui vertice stanno gli avi. Presso molti popoli, questa deferenza costituisce la religione naturale: si onorano come divinità gli avi che sono morti. È per questo che l’esempio ha tanta importanza. La vera educazione è quella in cui si danno esempi, prima di dare insegnamenti».