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 2016  ottobre 05 Mercoledì calendario

SÌ, MA NON IN GINOCCHIO– [Gabriele Lavia] Lo avevamo lasciato, nove anni fa, che si definiva «decrepito» e degustava minestrine, rimuginava sulla pessima attitudine femminile a non chiudere i tubetti di dentifricio e si dichiarava (forse proprio per queste ragioni?) ufficialmente single

SÌ, MA NON IN GINOCCHIO– [Gabriele Lavia] Lo avevamo lasciato, nove anni fa, che si definiva «decrepito» e degustava minestrine, rimuginava sulla pessima attitudine femminile a non chiudere i tubetti di dentifricio e si dichiarava (forse proprio per queste ragioni?) ufficialmente single. Oggi, nella vita di Gabriele Lavia, che il 10 ottobre compie 74 anni, qualcosa di fondamentale è cambiato. Non si tratta del dentifricio. Puntuale come sempre, anche a mettersi d’impegno non si riesce a batterlo: manca mezz’ora all’appuntamento, e lui sta già aspettando seduto, con il suo copione pieno di disegni e annotazioni. È il faldone dell’Uomo dal fiore in bocca... e non solo, che l’attore e regista presenterà il 12 ottobre a Firenze al Teatro Niccolini, una delle sale del Teatro della Toscana di cui Lavia è consulente artistico. Studiare per lui è vitale, «lo faccio tutti i giorni», e il Pirandello da cui è tratto lo spettacolo – dice – è il più grande, nel gruppetto minimo di cui fanno parte Shakespeare e Cechov. Ma è anche l’autore che più gli è vicino, siciliano come lui, e come lui intriso di senso della morte. In realtà, anche l’umorismo li accomuna. Perché Lavia riesce a far ridere parlando serio dei temi più tragici, come se l’intervista fosse un palcoscenico dove esibirsi, e farti in parte esibire. L’applauso però non lo aspetta: anche stavolta l’intervista non intende leggerla, per lui lo faranno le sue donne. L’introduzione è un racconto. Su Pirandello bambino: «Il piccolo Luigi aveva 5-6 anni quando, entrando in un fondaco, trova un cadavere. Mentre è li, sente ansimi fortissimi e sospiri, e crede vengano dal morto. Poi, nel buio intravede una figura femminile con la sottana alzata, e una maschile coi pantaloni calati. Da allora, per lui morte e atto sessuale resteranno sempre legati». E questo legame lo si leggerà anche nelle sue novelle, da cui Lavia ha preso alcuni brani che interpoleranno la storia dell’Uomo dal fiore in bocca, in cui il protagonista ragiona della fine con uno sconosciuto, mentre una donna vestita di nero (la moglie, e insieme «una trasfigurazione della morte») passa sul fondo. Il fiore in bocca in realtà è un tumore, e l’uomo è condannato a morte. «Tutti abbiamo un fiore in bocca». Pensiero difficile per un uomo che già molti anni fa si concepiva «decrepito». «Allora ero decrepito, oggi sono un revenant. Ma la morte non è un pensiero nuovo per me, mi tocca da quando ero bambino, avrò avuto quattro anni». Le faceva paura? «La morte non mi fa paura, mi infastidisce. È una grande rottura di coglioni. Solo che oggi ci si pensa poco, si sta sempre lì collegati a computer, aggeggi elettronici, ci si illude che non arrivi». Forse lei ci pensa perché non è molto tecnologico, almeno a giudicare dal suo telefonino dell’era pre-smartphone. «Di Internet ho imparato solo come fare i bonifici alle mie figlie, alle mogli». Eccoci all’altro capo del binomio: la donna. «Mi sono sposato, lo scorso 31 dicembre». Di nuovo? «Sì, è la terza volta. Lei è Federica Di Martino, fa l’attrice e ha 42 anni. Eravamo fidanzati da una quindicina». Perché allora ha deciso di sposarsi? «Ci è sembrato giusto così. Lo abbiamo fatto a Firenze, senza dirlo a nessuno. I nostri compagni di lavoro lo hanno scoperto vedendo, alla festa del Capodanno, che avevamo le fedi al dito. Un’amica è scoppiata a piangere, così anch’io mi sono commosso. Penso di aver fatto bene. Sa la mela di Platone e la storia della metà di cui andiamo in cerca? L’ho trovata». Veramente, l’aveva già trovata due volte: Annarita Bartolomei, madre di suo figlio Lorenzo, e Monica Guerritore, da cui sono nate Maria e Lucia. «Questa è la metà giusta». Forse perché Federica chiude il tubetto del dentifricio? «Quello nemmeno lei lo fa, ormai me ne sono fatto una ragione: le donne sono così». Allora amate entrambi la minestrina? «Sì, e pure per il minestrone... (Risponde al telefonino: è Federica) Amore...». Per il compleanno farete una bella festa? «Io non amo le feste, ma mia moglie credo di sì e le mie figlie pure. È che viviamo un’epoca di continui festeggiamenti, mentre io sono nato in un periodo di vita precaria, c’era la guerra, mi ricordo i giochi nella Catania bombardata, l’infanzia con i lumi, senza elettricità. Mi sembrava più bello di oggi. Quando mio padre, che contrariamente a me amava le meraviglie della tecnica, portò a casa una lampada al neòn (così lo chiamavamo) vennero anche i vicini a vederla: lui schiacciò l’interruttore e solo dopo un po’ si accese, allora mia nonna disse: “Che è ’sto neòn? Sembriamo tutti morti”». Neon o non neon, la sua ex moglie Guerritore sostiene che lei preferisce il buio. «Sono un uomo da penombra. Io so come si sta in casa: al buio e al chiuso, così non si fa entrare il freddo in inverno, il caldo in estate, e poi niente zanzare». Non è triste barricarsi così? «Preferisce le zanzare? A me un po’ di malinconia non dispiace». Anche durante l’amore meglio il buio? «Nella mia formazione culturale l’amore si fa al buio. Vuole spalancare le finestre e accendere le lampade? Meglio casomai una porta socchiusa». Non vuole proprio mai un po’ di luce? «Al ristorante. Perché se non vedi quello che mangi, chissà che cosa ti mettono nel piatto». E in scena? «Una volta facevo spettacoli bui. Mia madre venne a teatro e alla fine mi disse che non si vedeva niente. Adesso che avrei bisogno degli occhiali da presbite, invece, faccio spettacoli molto più luminosi». A parte la vista, gli anni li porta bene, non ha quasi capelli bianchi. «Mia figlia Lucia mi ha detto: “Papà, ti ho proposto per la parte di un vecchio, come sei tu però non vai bene, non lo sembri”. Vorrà dire che anziché Geppetto farò Pinocchio». Oppure un altro Amleto. «Quello non più, bisogna essere giovani. Posso essere Re Lear, al momento sarei ancora in grado di prendere in braccio il corpo di mia figlia, come prevede Shakespeare. Però devo stare attento alle ginocchia». Che cosa è successo alle sue ginocchia? «È il guaio di aver fatto per anni il primo amoroso, quello che in scena si doveva buttare in ginocchio davanti all’amata. Quando ho lavorato in Tv con Gianrico Tedeschi, lui mi ha detto: “Vedi, il vantaggio di essere un caratterista come me è che sembro vecchio da anni e posso tranquillamente recitare seduto in poltrona, mentre tu devi sempre stare in pizzo al bracciolo o in ginocchio”». Lei quando ha scoperto il teatro? «Avevo 4 anni, mio padre ci portò in aereo a Palermo per vedere Cyrano de Bergerac con Gino Cervi. Io mi ero preparato guardando le figure su un libro e quando ho visto gli attori in scena, così piccoli e lontani, mi sono annoiato da morire». Poi invece è diventato la sua passione. «La mia vera grande passione non è il teatro: è la filosofia». Però ha fatto anche televisione... «Non la guardo, non mi piace, anche se la cosa migliore della mia carriera l’ho fatta per la Tv: Scene da un matrimonio». E il cinema che cosa rappresenta per lei? Ha recitato anche in Profondo rosso. «Quel film mi è servito a scapolare un sacco di multe, perché i vigili mi riconoscevano. Ne avevo anche immaginato un seguito, a Dario Argento all’inizio è piaciuto, poi ci ha dormito sopra e non se ne è fatto nulla». A proposito di rosso e di colori... «Quando arrivò la Tv a colori, ne regalai una a mia madre, e lei dopo un paio di giorni me la ridiede indietro perché preferiva il bianco e nero. Amava la monocromia, e io nei miei spettacoli scelgo ogni volta un codice cromatico che declino con tante sfumature. Per esempio: se il tema è il mare, uso azzurri, verdi, blu». È uomo di mare? «No! Non lo amo, non mi piace la gente che si spoglia, doverti difendere in spiaggia da quelli che vogliono obbligarti a essere felice con musichette e altoparlanti. Preferisco il clima autunnale, i colori come le variazioni delle foglie». Tornando alla morte: se non la spaventa, che effetto le fa? «Mi fa arrabbiare: vorrei essere giovane e vivere in eterno». Magari si annoierebbe. «Sono sicuro di no. È così breve la vita». E se dopo ce ne fosse un’altra? «Non ho fede. E trovo irritante l’aldilà. Comunque, ho detto ai miei figli di fare ciò che vogliono quando sarò morto. Come dice Pirandello, “il cadavere è un difficile ingombro”». C’è chi per l’illusione di vivere più a lungo continua a fare figli... «Non mi sembra prudente». (Risuona il telefonino: «Amore...». Ma questa volta «Amore» lo dice con un tono sorprendentemente sdolcinato). Una figlia? «Maria, sono tutte e due coccolone, mi adorano, ci facciamo delle grandissime sghignazzate insieme e ci sentiamo più volte ogni giorno. Sono il loro papino». Dà loro qualche consiglio sentimentale? «Ma se di quello non ho mai capito niente!».