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 2016  ottobre 05 Mercoledì calendario

PARABOLA DEL MINISTRO MIRACOLOSO

Pier Carlo Padoan fa uno dei mestieri più difficili del mondo: il ministro dell’Economia italiano. Per di più lo fa con l’handicap: Giorgio Napolitano lo ha messo accanto a Matteo Renzi per contrastarne la tendenza all’eccessiva creatività in materia di politica fiscale. Padoan avrebbe dovuto ridurlo alla ragione attraverso uso di mondo, autorevolezza, competenza tecnica e solidi agganci internazionali (segnatamente a Bruxelles).
A giudicare dalla quantità di correzioni in corsa delle stime macroeconomiche, di trattative sullo 0 virgola e proposte ufficiali abbandonate dallo stesso presidente del Consiglio (l’assegno di disoccupazione europeo), il compito non gli è riuscito proprio del tutto: d’altronde, ci ha insegnato Manzoni, vasi di coccio e vasi di ferro hanno resistenze diverse allo scontro. Sulla soglia per l’uso dei contanti, per dire, Renzi non ci ha pensato un attimo nel 2015 a smentire quanto sostenuto dal ministero del Tesoro per iscritto e da Padoan a voce: poi toccò all’economista che fu una delle voci di Critica marxista l’autodafé in Parlamento.
Anche la vicenda di Mps, su cui Padoan si esercita in anodine dichiarazioni e noiose lettere al Corsera, è la misura di come ormai Renzi abbia rotto l’argine dell’autorevole controllo del ministro: è toccato all’allievo di Federico Caffè chiamare l’ex presidente e amministratore delegato del Monte dei Paschi per chiarirgli che Palazzo Chigi – e soprattutto i suoi amici di Jp Morgan – chiedevano un cambio della guardia prima di procedere col nuovo aumento di capitale. Ora il nostro, insolentito da Ferruccio de Bortoli sul suo ruolo nella recita senese, non conferma e non smentisce, ma sostiene che “questo governo ha scelto il ruolo del facilitatore attivo, nel rispetto del mercato e dell’autonomia dei soggetti privati”.
Con quest’ultima Nota di aggiornamento al Def (Documento di economia e finanza), l’uomo che doveva proteggere Renzi da se stesso rinuncia a difendere anche la linea Maginot della razionalità, oltre che la propria credibilità. Intanto, un fatto sinora poco sottolineato: il ministro Padoan, pur di accontentare il presidente del Consiglio nella trattativa sulle briciole di deficit con Bruxelles, impegna l’Italia a una correzione dei bilanci pubblici da 40 miliardi in due anni per arrivare al pareggio di bilancio nel 2019: una mazzata, se dovessimo prendere sul serio quel che scrive il governo, che ucciderebbe il poco che resta del sistema economico del Paese.
Poi c’è la questione della crescita nel 2017, fatta crescere in provetta fino all’1% a colpi di moltiplicatori raddoppiati ed effetti stravolgenti sugli investimenti di sgravi fiscali già in essere. Di fronte alla bocciatura dell’Ufficio parlamentare di bilancio, l’Autorità che deve validare le stime del governo e oggi si rifiuta di farlo, Padoan ricorre sostanzialmente al “me ne frego”, conferma l’1% e fa l’offeso (“numeri inventati? chiedo rispetto”). Poi passa senz’altro alla supercazzola: “Un conto è una sovrastima, un conto è l’ottimismo in un range
di stime, non ci sono sovrastime nel Def”. L’Upb sostiene, con tanto di grafici, esattamente il contrario, ma tant’è. Non solo: in una fase, dice Padoan, “di interessi zero e in vicinanza della deflazione facciamo fatica a stimare i moltiplicatori. Siamo molto sicuri che siano sottostimati, ci potrebbero essere sorprese positive”. I tassi zero ci sono già da tempo e i moltiplicatori dei minori tagli (N.B. non di maggiore spesa) quotati a 0,5% quest’anno – in cui la crescita sarà di nuovo minore delle stime – nel 2017 passano all’1%.
Il Pil, grazie alla manovra, invece che a +0,6% nel 2017 chiuderà a +1%: merito in particolare degli investimenti delle imprese, che quest’anno con uno sgravio del 140% dovrebbero chiudere all’1,9% e l’anno prossimo – confermando lo stesso sgravio con qualche aggiustamento – passare al 3,2 e poi al 3,6%. Non è un’invenzione, per carità, è un miracolo.