Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  ottobre 01 Sabato calendario

L’UOMO CHE DIPINSE SUA MOGLIE 250 VOLTE


A ottantanove anni, Alex Katz viaggia per seguire le sue mostre. È venuto a Milano per l’inaugurazione della mostra di suoi dipinti e schizzi preparatori alla galleria Monica De Cardenas;
arriva da Parigi, e poi andrà a Venezia per visitare gli spazi della Galleria dell’Accademia, dov’è in programma una sua personale. Da pochi giorni è terminata una grande esposizione di suoi paesaggi alla Serpentine Gallery di Londra. Quando invece è a casa, una palazzina comprata a Soho nel ‘60, quando la zona era ancora brutta, sporca e cattiva e non alla moda come adesso, Katz lavora alle tele di dimensioni monumentali, arrampicandosi sulla scala per stendere i colori. È un artista leggendario, non solo per l’età e l’energia che sprigiona dal fisico muscoloso (fa jogging tutti i giorni) e dal viso à la Belmondo, ma perchè riesce ancora a emozionare, a essere percepito come fortemente contemporaneo. Possiamo perfino dire che in Europa, dove la dittatura dell’astrattismo aveva ostacolato la diffusione della sua fama, lo stiamo continuamente scoprendo da una ventina d’anni. Come si definisce? «Sono un figurativo contemporaneo» risponde. E aggiunge: «Non mi piace fare pittura realistica, voglio fare qualcosa di più di una pittura descrittiva. Niente temi di attualità, nessuna crocefissione, nessuna violenza, niente sesso. Mi piace realizzare immagini che siano così semplici da non poterle evitare e così complesse da non riuscire a penetrarle». Con il nostro Paese, Katz ha un legame speciale: sua moglie Ada, ritratta in oltre duecentocinquanta dipinti, tra cui il famoso, intenso, Blue Umbrella. Stanno insieme dal 1957, si conobbero alla vernice di una galleria. Lei, studentessa di biologia, era un’italoamericana del Bronx, nata a New York da una famiglia di Vasto. Lui era figlio di una coppia di ebrei russi del Queens. «Lei è stata la mia Dora Maar, anche se quando mi è capitato di vedere alcune foto della musa di Picasso mi sono accorto che aveva barato sul collo e sulle spalle: quelli di Ada sono molto più belli. Quando l’ho conosciuta aveva le misure di Miss America».

Oggi katz viene ritenuto un precursore della Pop Art. Le stesse influenze di un Warhol (di cui sarebbe coetaneo) o di un Lichtenstein: la cartellonistica pubblicitaria, il cinemascope, la televisione, il mondo della moda. «Ma quando ho cominciato a progettare grandi dipinti, nessuno faceva pittura figurativa in scala monumentale. E per i miei ritratti non usavo fotografie: ho sempre dipinto dal vivo. Prima faccio uno schizzo a olio della modella, oppure di un panorama en plein air, poi li trasferisco su una tela grande».

Oltre alla moglie, i soggetti dei ritratti di Katz sono stati per anni l’intellighenzia di New York, oltre a ballerine e a sconosciuti incontrati nel Maine, dove ha una casa in cui si trasferisce durante l’estate. Lì ha trovato ispirazione per le sue grandi tele di paesaggi e fiori. Nel carnet di Katz ci sono anche le modelle Kate Moss e Christy Turlington. Del resto, è stato uno dei primi artisti a partecipare a una campagna pubblicitaria come modello (per il marchio J. Crew, nel 2009), mentre H&M ha scelto di usare suoi ritratti femminili per la nuova campagna che esordirà tra due mesi a Miami, in occasione di Miami Art Basel.
Katz è un cantore dei primi piani femminili. Pochi come lui hanno dipinto le donne nella loro superficie, una sorta di maschera che lascia a chi guarda l’interpretazione di quale smarrimento si celi dietro quell’aspetto smaltato. Le sue donne, anche quelle con i capelli bianchi, sono sempre ben vestite, alla moda, molto curate:
«Preferisco la superficialità alla seriosità dell’avanguardia», ci spiega. Nessun messaggio: a lui interessa ciò che si vede in quello che definisce “istante magico”. Ognuno di noi ne vive qualcuno, e sono quelli i momenti che a Katz interessa raffigurare. In pratica, come ha scritto il critico Stefano Castelli, se volessimo definire la sua ricetta dovremmo prendere “un pizzico di David Hockney, un po’ della joie de vivre di Matisse, un tocco d’inquietudine à la Hopper”.