VARIE 3/10/2016, 3 ottobre 2016
APPUNTI PER GAZZETTA - I GUAI DI DONALD TRUMP REPUBBLICA.IT NEW YORK - Non solo Cuba. Donald Trump infatti ha fatto affari non solo con l’Avana ai tempi di Fidel Castro violando l’embargo, ma anche con l’Iran, affittando a una banca di Teheran un ufficio a New York dal 1998 al 2003
APPUNTI PER GAZZETTA - I GUAI DI DONALD TRUMP REPUBBLICA.IT NEW YORK - Non solo Cuba. Donald Trump infatti ha fatto affari non solo con l’Avana ai tempi di Fidel Castro violando l’embargo, ma anche con l’Iran, affittando a una banca di Teheran un ufficio a New York dal 1998 al 2003. La banca in questione era nella ’lista nera’ Usa delle istituzioni iraniane legate al terrorismo e al programma nucleare. Lo svela il Consorzio internazionale dei giornalisti investigativi, a cui aderiscono anche il New York Times e il Guardian e che svelò all’inizio dell’anno i cosiddetti ’Panama Papers’. SPECIALE Voci dall’America - Elezioni Usa 2016 La campagna di Trump mantiene comunque un atteggiamento di sfida e il candidato repubblicano continua non rispondere alle richieste di chiarimenti, dopo le rivelazioni del Nyt secondo cui il miliardario potrebbe non aver pagato le tasse per 18 anni. Senza ammettere colpe, gli alleati di Trump hanno lodato il suo acume negli affari, dopo del quotidiano sulle enormi perdite personali denunciate da Trump nel 1995 e sul suo utilizzo spregiudicato delle norme fiscali Usa. Se il New York Times ha ragione allora Trump è "un genio assoluto", ha detto l’ex sindaco di New York Rudy Giuliani, uno degli uomini più vicini al tycoon. "Quando hai un’azienda hai l’obbligo di massimizzare gli utili e se una norma fiscale ti consente di dedurre qualcosa, lo deduci" ha detto Giuliani alla Abc News. LEGGI Usa Today: "Non votate Trump, è un pericoloso demagogo" Bernie Sanders, il rivale sconfitto di Hillary Clinton alla primarie democratiche, la pensa diversamente: "Se tutti in questo Paese fossero geni, non ci sarebbe un Paese" ha detto alla stessa emitente tv. Trump ha sempre rifiutato di pubblicare le sue dichiarazioni deli redditi, cosa che i candidati alla Casa Bianca fanno abitualmente da almeno quarant’anni. Il candidato ha sempre detto che le pubblicherà alla fine delle verifiche in corso dal parte degli ispettori delle tasse, i quali invece dicono che è libero di farlo in qualunque momento. Lui non ha ammesso di non aver pagato le tasse, ma su Twitter si è vantato di essere un esperto in legislazione fiscale: "Conosco il nostro complesso sistema fiscale meglio di chiunque altro abbia corso per la presidenza e e sono l’unico che possa sistemarle" ha scritto dopo l’articolo. Dopo aver chiesto prestiti per oltre 3 miliardi di dollari, per ampia parte garantiti personalmente, per costruire il proprio impero negli anni Ottanta, Trump ha dovuto fare i conti con la crisi dei casinò nel decennio successivo. Il magnate ha potuto evitare di pagare tasse federali per 18 anni perché negli Stati Uniti viene tassato il reddito, non il patrimonio, motivo per cui i contribuenti più esperti cercano di dichiarare il meno possibile del primo, sfruttando appunto i cavilli del codice, e di fare salire il più possibile il secondo. Tecnicamente, il governo non versa rimborsi netti quando le aziende perdono denaro, ma consente ai contribuenti di usufruire di detrazioni, utilizzando le perdite per alleggerire quanto dovuto al fisco negli anni successivi, in modo da agevolarle mentre tornano in attivo. In questo modo Trump ha potuto "cancellare" 50 milioni di dollari all’anno dal proprio imponibile nei 18 anni successivi al 1995. Nel primo dibattito presidenziale del 26 settembre Clinton ha suggerito che Trump nasconda "qualcosa di terribile" continuando a non rendere pubbliche le sue dichiarazioni del redditi e che non abbia pagato tasse federali. La risposta di Trump: "Questo fa di me una persona sveglia". Il capogruppo democratico al senato Harry Reid l’ha definito "un perdente da miliardi di dollari" e ha chiesto al Congresso di approvare un legge che obblighi i candidati alla Casa Bianca a pubblicare le dichiarazioni dei redditi. CUBA WASHINGTON - Trump, il magnate americano in corsa per la Casa Bianca per il partito repubblicano, avrebbe violato l’embargo imposto dagli Stati Uniti contro Cuba. A rivelarlo è il settimanale Newsweek, basandosi su interviste con ex dirigenti della società del tycoon, documenti interni e atti giudiziari. Il miliardario statunitense avrebbe speso almeno 68mila dollari nel 1998 per un’iniziativa imprenditoriale a Cuba, quando era alla guida della Trump Hotels and Casino resorts. Tramite la società di consulenza Seven Arrows investment and development corporation, inviò alcuni suoi dipendenti a Cuba per affari, suggerendo poi di far apparire tutte le spese legali come una donazione di beneficenza retroattiva. L’obiettivo del viaggio, secondo un ex manager di Trump, era quello di dare alla compagnia del tycoon un punto di appoggio nel caso Washington allentasse o togliesse l’embargo sull’isola. I rappresentanti di Trump a Cuba si incontrarono con dirigenti di governo, banchieri e imprenditori per esplorare possibili opportunità per la Casino Company del magnate. Poco dopo quell’iniziativa, Trump lanciò la sua prima sfida presidenziale come candidato del Partito Riformista nel 2000 e nel primo giorno di campagna andò a Miami, sostenendo che era a favore del mantenimento dell’embargo e che non avrebbe speso un penny a Cuba finché Fidel Castro rimaneva al potere. The Donald, nell’attuale campagna presidenziale, ha inoltre promesso che, se verrà eletto, cancellerà le azioni distensive di Barack Obama verso Cuba, a meno che il governo di Castro non consenta la libertà di religione e decida di liberare i prigionieri politici presenti nel Paese. NYT 691 NEW YORK - È dall’inizio della campagna elettorale che Donald Trump si rifiuta di divulgare le sue dichiarazioni dei redditi, calpestando una tradizione di trasparenza fiscale dei candidati alla Casa Bianca che risale ai tempi di Richard Nixon (40 anni fa). Hillary Clinton glielo ha rinfacciato lunedì scorso nel duello televisivo, insinuando una possibile ragione: "Cos’hai dai nascondere? Forse che non paghi tasse federali?". Azzeccato. Ora uno scoop del New York Times avalla proprio quella spiegazione avanzata da Hillary. Il quotidiano è riuscito ad aggirare la reticenza di Trump e a procurarsi la sua dichiarazione dei redditi... del 1995. Un reperto storico, ma in cui il quotidiano ha trovato un’informazione preziosa. In quell’anno Trump dichiarò perdite così pesanti (per 916 milioni di dollari), che "spalmandole" sugli esercizi fiscali successivi può essere riuscito a non pagare imposte federali sul reddito per i 18 anni seguenti. Cioè quasi fino ad oggi. È proprio questa la verità imbarazzante che può aver spinto il candidato repubblicano a negare agli elettori le sue informazioni fiscali. Per quanto lui si vanti di essere un uomo d’affari abile, e quindi attento a minimizzare le imposte dovute, scoprire che non ne paga proprio può essere un danno d’immagine. Almeno per quella (stragrande) maggioranza di contribuenti americani che ogni anno versano il dovuto al fisco, pagando aliquote che arrivano al 39,6% (imposta federale sul reddito) su redditi molto inferiori a quelli dell’immobiliarista newyorchese. La dichiarazione dei redditi del 1995 è stata recapitata alla redazione del New York Times per posta, da una fonte anonima, in una busta intestata alla Trump Tower sulla Quinta Avenue di Manhattan dove il candidato repubblicano ha il suo quartier generale. Lo staff del tycoon, di fronte alla richiesta di confermarne o smentirne la veridicità, non l’ha smentita ma ha detto che "è stata ottenuta in modo illegale". Il commento prosegue affermando che "Mr Trump è un uomo d’affari esperto, che ha la responsabilità verso la sua azienda, la sua famiglia e i suoi dipendenti di non pagare più tasse del dovuto". REPUBBLICA.IT NEW YORK - Anche Usa Today contro Donald Trump. il terzo quotidiano statunitense per diffusione rompe una tradizione lunga 34 anni e per la prima volta nella sua storia prende posizione nella corsa alla Casa Bianca, invitando i suoi lettori a non votare per il candidato repubblicano. "Un pericoloso demagogo", "non adeguato per fare il presidente", si legge in un editoriale che comunque, come viene precisato, non rappresenta un endorsement a Hillary Clinton. I toni utilizzati dal Board del giornale sono durissimi. Vengono elencate nove ragioni per osteggiare l’ascesa del miliardario newyorkese, "senza il temperamento, la preparazione, la fermezza e l’onestà adatte per svolgere il ruolo di presidente". Portatore invece di "indifferenza e ignoranza", con le quali ha messo in discussione tutti gli impegni fondamentali presi da tutti i presidenti Usa dalla fine della Seconda guerra mondiale in poi. Trump è quindi descritto come "inaffidabile, male equipaggiato per essere comandante supremo delle forze armate, portatore di pregiudizi, con alle spalle un’attività imprenditoriale con luci e ombre". Un uomo che "parla in maniera sconsiderata, ha imbarbarito il dialogo nazionale ed è un bugiardo seriale". Il comitato editoriale di Usa Today si dice invece diviso su Hillary, con alcuni che vedono in lei tutte le qualità per essere un buon presidente e altri che esprimono invece forti riserve, soprattutto per quanto riguarda "il suo senso del diritto, la sua mancanza di spontaneità e l’estrema noncuranza nell’utilizzo di informazioni riservate". "Qualsiasi cosa facciate, resistete al canto della sirena di un pericoloso demagogo. Votate, ma non per Donald Trump", chiude l’editoriale invitando comunque gli elettori a tener fede alle proprie convinzioni. La presa di posizione di Usa Today rappresenta una nuova tegola per il candidato repubblicano, uscito malconcio dal primo dibattito tv con Hillary Clinton e sotto pressione per le continue rivelazioni sui suoi affari poco trasparenti. L’ultimo caso è quello sollevato dal settimanale Newsweek, secondo cui il tycoon avrebbe violato l’embargo a Cuba.