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 2016  ottobre 03 Lunedì calendario

I COLOSSI PRIVATI PADRONI DELLA TERRA

Per ora l’affare l’hanno fatto gli azionisti della Monsanto. I 128 dollari per azione che riceveranno dalla Bayer, se l’acquisizione avrà il via libera delle autorità antitrust, sono il 44% in più rispetto ai prezzi di Borsa di maggio, quando la trattativa fu annunciata. L’accordo è stato firmato il 14 settembre scorso e considerata la cifra che il colosso chimico-farmaceutico tedesco è disposto a sborsare per rilevare l’azienda americana leader nel business agrochimico, 66,6 miliardi di dollari in contanti, è chiaro che dalla fusione si aspettano di ricavare grandi vantaggi anche i soci di Bayer. Il fatturato combinato delle due società nel settore agricolo è stato nel 2015 di 21 miliardi di dollari, l’amministratore delegato di Bayer, Werner Baumann, ha detto che si aspetta dalla fusione un aumento degli utili per azione già nel primo anno e una crescita percentuale a doppia cifra entro il terzo. A regime, dalle sinergie ci si aspetta un contributo all’utile lordo di circa un miliardo e mezzo di dollari l’anno.
Più controverse sono invece le stime delle ricadute che il mega processo di concentrazione nel settore della chimica e delle biotecnologie agricole avrà in termini di sostenibilità ambientale e sociale, di qualità e prezzi dei prodotti agricoli e sull’attività dei 570 milioni di aziende agricole, per lo più familiari, attive nel mondo.
L’aggregazione, che è destinata a creare il più grande produttore mondiale di pesticidi e semi, con enormi interessi in tutta la filiera agricola, dalla genetica alla digitalizzazione delle produzioni, dai fitofarmaci ai fertilizzanti, fa seguito alle operazioni di fusione già avviate quest’anno tra il gruppo svizzero Syngenta e la China National Chemical Corporation e tra le statunitensi Dow Chemical e Dupont.
Secondo i critici, il consolidamento rischia di rendere standardizzati i prodotti agricoli a livello mondiale e di riportare gli agricoltori in uno stato di dipendenza simile a una nuova mezzadria. Monsanto, gigante chimico la cui reputazione è precipitata negli anni ’70 a causa del famigerato “Agente arancio”, desfoliante fornito dall’aviazione statunitense per contrastare in Sud Vietnam la guerriglia Viet Cong, con conseguenze disastrose sulle popolazioni (si calcolano 400 mila vittime e 500 mila bambini nati con malformazioni) e sull’ambiente, oggi è il primo produttore mondiale di sementi, col 26% del mercato. Il business di punta sono i semi geneticamente modificati (Ogm), una tecnologia sviluppata nei suoi laboratori e testata sul campo alla fine degli anni ’80. Le sementi e le licenze che concede sui relativi brevetti, contano per circa il 68% dei 15 miliardi di fatturato della società.
Insieme ai semi (soprattutto di mais, soia e cotone) Monsanto vende prodotti chimici, il principale è il glifosato, erbicida commercializzato col marchio Roundup. Il sistema è complementare: il patrimonio genetico dei semi “Roundup ready” è infatti modificato proprio per avere piante resistenti al glifosato, un erbicida sistemico, tossico per tutte le altre piante. Una tecnica efficace. Tanto che oggi il Roundup è il diserbante più usato al mondo.
Bayer, la società nota per l’Aspirina, ha fatturato 46,3 miliardi di euro nel 2015. Di questi, il 22% è relativo al business agricolo. Anche in questo caso si parla di semi, biotecnologie ed erbicidi, settore in cui è leader di mercato, più un insieme di attività collaterali, dal “digital farming” (monitoraggio digitale delle colture) ai robot agricoli, alla logistica.
Insieme le due società hanno il 24% del mercato mondiale dei pesticidi e quasi il 30% di quello delle sementi. Sono prodotti brevettati, commercializzati in una sorta di pacchetto completo, che lega l’agricoltore al fornitore e ai suoi prodotti.
La fusione è ora al vaglio delle autorità antitrust europee e americane. L’approvazione non è scontata, Bayer ha infatti previsto un risarcimento da 2 miliardi di dollari a Monsanto in caso di insuccesso. “Si tratta di un’operazione non compatibile con un modello d agricoltura plurale e sostenibile”, dice Stefano Masini, responsabile ambiente e territorio della Coldiretti, la maggiore associazione italiana degli agricoltori, “il modello prevalente sarà quello utilizzato dalla Monsanto per la soia e il mais negli Stati Uniti. Prodotti standard, transgenici coltivati col glifosato. La nostra è un’agricoltura fatta di geografie e climi molto differenti, un sistema produttivo che ha 400 indicazioni geografiche protette. Andare verso la omologazione non ha senso”. Un modello, quello della chimica massiccia, che secondo i critici peraltro non tiene conto delle cosiddette esternalità ambientali. Secondo Federica Ferrario, responsabile Agricoltura sostenibile di Greenpeace Italia, “Non solo con quest’accordo diminuisce la concorrenza, ma quando si fanno i soldi con i pesticidi è chiaro che poi conviene proseguire su quella strada. Le piante infestanti col tempo si adattano, il risultato è che di pesticidi se ne devono usare sempre di più”.
Negli Stati Uniti recentemente è stato scoperto che 14 specie di erbe infestanti, per oltre 60 milioni di ettari agricoli, hanno sviluppato resistenza allo stesso potente glifosato. Secondo l’ Unione europea, un quarto dei 471 principi attivi approvati in Europa supera le soglie critiche per la persistenza nel suolo o nelle acque, e 79 di questi oltrepassano i valori critici di tossicità per gli organismi acquatici. E in Europa la vigilanza sul settore agricolo e sui pesticidi è piuttosto severa.
L’unico Ogm approvato nell’Unione è il Mon 810, mais brevettato dalla Monsanto. Ma l’uso è contenuto. “Nel 2014, con la presidenza Italiana, abbiamo vinto una grandissima battaglia, la possibilità che a decidere siano gli stati membri”, dice Mauro Albrizio, responsabile dell’ufficio europeo di Legambiente a Bruxelles.
Il risultato è che oggi in 23 paesi su 28 vietano gli Ogm. Non si possono coltivare e vendere, anche se si possono importare mangimi animali che li contengono. Il commercio e l’utilizzo del glifosato, la cui nocività per gli esseri umani è un argomento controverso, sono limitati e sottoposti ad autorizzazione periodica, in attesa che l’Echa (Agenzia europea per la chimica) completi un suo studio sull’impatto del prodotto su salute e ambiente.
Uno dei motivi che hanno spinto Bayer all’aggregazione con Monsanto, secondo gli analisti, è proprio la difficoltà che il gruppo tedesco incontra in Europa nel business agricolo. In una recente intervista Liam Condon, a capo delle attività agrochimiche del gruppo tedesco, ha affermato che il maggior problema in Europa è la regolamentazione del settore. Un altro motivo dell’accordo è quello relativo ai costi di Ricerca e sviluppo. Il settore assomiglia sempre di più a quello farmaceutico: nuovi semi, nuove molecole e nuove tecnologie richiedono ingenti investimenti. Secondo la European crop protection association, un gruppo che fa lobby a favore dell’agrochimica, ci vogliono fino a 200 milioni di euro e 11 anni di ricerca per portare un nuovo prodotto sul mercato. Le due società insieme saranno il nuovo leader nella ricerca, con un budget annuale di 2,5 miliardi di euro. Di per sé è un dato positivo. Permette di affrontare con maggiori mezzi le nuove sfide poste dai cambiamenti climatici, dal depauperamento delle risorse idriche in molte aree del Pianeta, dalle nuove malattie delle piante e da una popolazione da sfamare che secondo l’Onu, aumenterà dagli attuali sette a oltre nove miliardi nel 2050. “È chiaro che la fusione determina nuovi scenari anche nella ricerca”, spiega Giuseppe Cornacchia, responsabile del dipartimento Sviluppo agroalimentare e territorio della Confederazione italiana agricoltori (Cia), “l’innovazione serve, il problema è che sta diventando sempre più sbilanciata a favore del settore privato. La conseguenza è che ci sono meno risorse per la ricerca sulle produzioni tipiche, le piccole coltivazioni o l’agricoltura di montagna, che in Europa sono importanti. È un po’ quello che accade per le malattie rare in farmacologia, poco studiate perché c’è un minore ritorno economico”.
Il business del futuro per i nuovi colossi dell’agroindustria sono i mercati dell’Asia e, soprattutto, dell’Africa. Ma anche in aree dove il miglioramento delle tecniche è più necessario, l’industrializzazione agricola a base di chimica ha un rovescio della medaglia. Nei paesi in via di sviluppo i gruppi multinazionali infatti portano uno sviluppo che fa concorrenza alle piccole economie rurali locali, anche a quelle che funzionano bene, soppiantandole con un meccanismo di produzione costoso e per lo più orientato all’esportazione. Con conseguenze ambientali e sociali spesso pesanti. Anche qui, un’alternativa ci sarebbe. “Il livello raggiunto dalla ricerca agronomica permette oggi di ridurre a zero i pesticidi, con rese simili a quelle della chimica e degli Ogm”, spiega ancora Albrizio. Solo che per contrastare il crescente potere di condizionamento dei colossi dell’agribusiness serve una notevole forza politica.