VARIE 2/10/2016, 2 ottobre 2016
APPUNTI PER GAZZETTA - IL REFERENDUM IN UNGHERIA REPUBBLICA.IT BUDAPEST – Tra gli ungheresi che sono andati a votare al referendum sui migranti il 95,5 per cento hanno votato no alle quote di ripartizione di migranti decise dalla Ue
APPUNTI PER GAZZETTA - IL REFERENDUM IN UNGHERIA REPUBBLICA.IT BUDAPEST – Tra gli ungheresi che sono andati a votare al referendum sui migranti il 95,5 per cento hanno votato no alle quote di ripartizione di migranti decise dalla Ue. Ma troppo pochi sono gli ungheresi che nella splendida Budapest ingrigita da nubi e pioggia e nel resto del paese sono andati a votare: quota di partecipazione al voto al 43,42 per cento, ben sotto il quorum del 50 per cento che secondo Costituzione e leggi magiare è necessario perché un referendum sia valido. In altre parole: il popolarissimo premier nazionalconservatore unghere Viktor Orbàn, per la prima volta, ha mancato un bersaglio per lui prioritario, ha incassato una sconfitta di primo peso. La sconfitta dell’ampia maggioranza liberamente eletta è stata riconosciuta con dichiarazioni pubbliche dal vicepresidente della Fidesz (ndr: il partito del premier, membro del Partito popolare europeo) Gergely Gulyas, e dal presidente della commissione elettorale Andras Pulai. Certo, sul piano meramente numerico Orbàn – che domattina terrà un discorso allo Orszaghàz, il maestoso parlamento ungherese in riva al Danubio – può dire che comunque il 95 per cento di chi ha votato (dati provvisori: ulteriori dati sono attesi di ora in ora e nella notte) ha detto sì alla sua linea dura anti-migranti. E che quindi conta il segnale politico più della non validità del referendum visto il quorum mancato. Ma il problema per lui resta. Il partito di maggioranza, la Fidesz appunto, e altre organizzazioni politiche o sociali vicine al governo, avevano indetto un referendum chiedendo agli ungheresi di rispondere alla do,anda “volete o no che la Ue imponga a ogni suo paese membro quote di ripartizioni di migranti, senza consultare governo e Parlamento nazionali e sovrani magiari?”. No scontato visto sia che secondo ogni sondaggio autorevole 8 ungheresi su 10 non vogliono clandestini a casa, sia che l’opposizione non ha trovato discorsi e proposte d’alternativa. Puntando a vincere e sperando di andare oltre il quorum Orbàn voleva rafforzarsi ancor più sia in patria, sia in Europa come leader più coraggioso e creativo dei nuovi nazionalconservatori. Eppure non è bastato. Ovunque nel mondo libero c’è il trend del calo d’interesse per la politica e quindi calo della partecipazione a elezioni, referendum, a ogni consultazione elettorale. E’ quanto dicono i consiglieri del premier Orbàn in primi commenti confidenziali a caldo. Ma il desencanto verso la politica, che finora ha favorito forze politiche che fanno discorsi duri, severi su un no ai migranti o su un’Europa che sia Europa delle patrie e non Europa con forti poteri federali centrali, questa volta ha danneggiato gli eurominimalisti antimigranti più dei loro avversari democristiani, socialdemocratici, liberali, verdi e tutto il resto. Grande attesa per le dichiarazioni di Orbàn in Parlamento nelle prossime ore. E grande attesa anche per le reazioni dei leader delle maggiori potenze della Ue. Intanto le opposizioni chiedono al premier di dimettersi. "Dopo una sconfitta come questa in un Paese normale e democratico il premier si deve dimettere", ha detto l’ex premier socialdemocratico, Ferenc Gyurcsany. Anche per il leader dell’estrema destra di Jobbik, Gabor Vona, Orban "deve fare come Cameron: dimettersi". LA STAMPA STAMATTINA La scommessa del popolo di Orban “Macché razzisti, salveremo l’Ue” Oggi in Ungheria il referendum sulla redistribuzione dei profughi Il consigliere del governo: noi abbiamo un piano, la Merkel ha fallito Monica Perosino Oggi più di 8 milioni di ungheresi sono chiamati a rispondere sul piano di redistribuzione dei migranti tra i Paesi Ue voluto da Bruxelles. Il quesito del controverso referendum indetto dal governo nazional-conservatore del premier Viktor Orban è stato definito da più parti «ostentatamente xenofobo» e populista. L’Ungheria avrebbe dovuto farsi carico di 1294 richiedenti asilo sui 160 mila da redistribuire da Italia e Grecia tra tutti i Paesi membri. Una decisione contro cui Budapest ha già fatto ricorso alla Corte Ue. «Il vero populismo è nel Dna dell’Europa occidentale». Edit Vrody, 53 anni, imprenditrice, è una delle poche elettrici di Orban che ha voglia di parlare. Appoggiata alla sua bicicletta osserva da lontano una manifestazione di protesta di fronte al Parlamento: «Scriva, scriva pure il mio nome, è ora di finirla con questa farsa: nessuno si è preso la briga di capire cosa sta dietro questa consultazione, è demagogia al contrario. I veri populisti sono Merkel, Juncker e Hollande». Si allontana, mormora ancora: «E vorrebbero pure farci passare come razzisti xenofobi». Per l’Europa sarà una prova cruciale, un altro test pesante dopo lo choc Brexit. Se, come da pronostici, vincerà il no (da alcuni sondaggi dato al 95%), la piccola Ungheria avrà recapitato il suo messaggio all’Unione in modo forte e chiaro, il segnale dei Paesi dell’Europa Centrale e del gruppo Visegrad che rivendicano la loro centralità nel club dei 27. E ieri, con un tweet, il leader euroscettico olandese del Partito per la libertà Geert Wilders ha tenuto a ribadire che «un no ungherese equivale a un no a Bruxelles». Anche se Orban continua a dichiarare di essere «fermamente europeista». L’unica incognita riguarda il quorum del 50% necessario perché il voto sia valido (anche se resta comunque senza validità giuridica). Orban lo considera un voto di «fatale significato» per l’identità cristiana del continente europeo minacciato da epocali migrazioni. Anche Laszlo Rovac, 47 anni, medico, voterà no: «La spaccatura in questo Paese è tra chi vota di pancia e chi usa la testa. Si confondono i piani e se serve alzare i toni per far capire agli ungheresi il rischio che corrono ben venga, meglio essere considerati xenofobi da Bruxelles che andare in rovina». Quella del referendum è stata una campagna dura, fatta di proclami apertamente e - orgogliosamente - nazionalisti e xenofobi, culminata con l’ultima spallata del premier Orban per spingere quanti più ungheresi possibile a dire no: «Dovremmo radunare tutti i profughi - ha detto il primo ministro magiaro - e deportarli. Non in altri Paesi Ue come vorrebbe Bruxelles, ma in territori fuori dall’Europa, in campi allestiti su qualche isola o in un territorio del Nordafrica, sorvegliati da guardie armate». I punti chiave della campagna referendaria, per la quale il governo ha speso 12 milioni di euro, sono semplici e, a quanto pare, efficaci: i migranti rubano il lavoro agli ungheresi, distruggono la cultura occidentale, vogliono mettere in pratica la sharia. L’accostamento profugo-terrorista è stato ribadito da tutte le forze politiche della maggioranza, dai consiglieri comunali ai deputati del Parlamento. Balazs Orban, direttore del think tank conservatore Szazadveg, che dal 2010 è consulente per la politica estera e interna di Orban, spiega la linea del premier: «Sui migranti ci sono due strategie possibili: quella di Merkel, che confonde l’aiuto umanitario con la politica, e non fa che accogliere i migranti in Europa, quasi invitandoli». In questa prospettiva le quote di redistribuzione sono una «conseguenza logica». Poi c’è la strategia di Orban «che non confonde la pancia con la testa, l’aiuto umanitario con la gestione dei flussi. Orban è un politico, e agisce di conseguenza». La parola d’ordine è legalità: «Agire con piani a medio termine per risolvere il problema, evitando che masse di migranti si riversino illegalmente in Europa, chiudere i confini e parallelamente stabilizzare la situazione in Medio Oriente». In quest’ottica aggiunge l’analista, «questo referendum è importante per spostare l’attenzione degli europei dalle politiche di pancia di Merkel a quelle razionali, le uniche possibili. In questo senso il risultato di oggi è importante, è il messaggio più che il calcolo dei voti, a pesare». Il consulente del governo ammette che la propaganda xenofoba anti migranti ha raggiunto picchi «forse eccessivi», ma ribadisce: «Fuori dalla demagogia, chi può negare che due milioni di profughi in Europa non abbiano creato enormi problemi e messo a rischio l’idea stessa di Europa? Gli enormi flussi hanno minato la coesione interna, favorito la nascita di partiti populisti e ultranazionalisti, portato alla sospensione di Schengen e, non ultimo, alla Brexit». BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI pag. 1 di 3