varie, 2 ottobre 2016
LUCCIOLE PER SETTE
«Darei l’intera Montedison per una lucciola» (Pier Paolo Pasolini nel 1975, pochi mesi prima dell’assassinio di Ostia). (Valerio Magrelli, Rep).
Negli anni della guerra Pasolini osservava, estasiato, una quantità immensa di lucciole «che facevano boschetti di fuoco dentro boschetti di cespugli» (ibidem).
Un grappolo di 5 mila lucciole produce a malapena il chiarore di una candela (ibidem)
I francesi (che pure avrebbero il termine lucioles) le chiamano vers luisants, vermi luminosi (ibidem)
Nel 1975, quando Pier Paolo Pasolini scriveva sulla prima pagina del Corriere della sera, le lucciole sembravano sparite a causa dell’inquinamento. Tre anni dopo, in una passeggiata nella campagna siciliana, Leonardo Sciascia ne scorge una dentro la crepa di un muro, come racconta nelle prime righe de «L’affaire Moro».
Pier Paolo Pasolini in un suo celebre articolo del 1975 usa la metafora ambientale per descrivere la situazione politica di quegli anni: «Nei primi anni Sessanta, a causa dell’inquinamento dell’aria, e, soprattutto, in campagna, a causa dell’inquinamento dell’acqua (gli azzurri fiumi e le rogge trasparenti) sono cominciate a scomparire le lucciole. Il fenomeno è stato fulmineo e folgorante. Dopo pochi anni le lucciole non c’erano più».
Qualche anno fa le lucciole erano date per specie in via d’estinzione in Italia, a causa della riduzione del loro habitat naturale e dell’uso intensivo di pesticidi in agricoltura. Ora sono tornate a risplendere nelle campagne, nei parchi e nelle periferie cittadine.
Ci sono 200 specie di lucciole nel mondo con 10 differenti generi e 23 in Italia con 5 generi.
Le lucciole (o luciole) sono coleotteri appartenenti alla famiglia delle Lampyridae.
Entrambi i sessi sono dotati degli organi luminescenti, ma la femmina può emettere luce per più di due ore, mentre il maschio solo per brevi istanti. La luce emessa serve per la riproduzione: maschi e femmine si chiamano nel buio per accoppiarsi. Il periodo di accoppiamento avviene nei mesi di giugno e luglio, di solito tra le 22 e mezzanotte.
La copula dura dai venti minuti a un’ora.
Tra le lucciole, per vincere la cosiddetta competizione spermatica (evitare che l’ovulo femminile sia fecondato dai geni dei rivali), i maschi di certe lucciole sigillano l’orifizio femminile con le ultime gocce del loro sperma che indurendosi formano un tappo contro l’intrusione di semi altrui.
Da adulte le lucciole smettono di nutrirsi e impegnano tutte le loro energie nella riproduzione, che avviene in estate. I maschi muoiono poco dopo l’accoppiamento e le femmine sopravvivono solo qualche giorno, giusto il tempo di deporre 70-100 uova, anch’esse luminescenti, nelle fessure del terreno e tra le foglie.
Ogni specie possiede un’emissione luminosa specifica, con diverse frequenze e lunghezze d’onda, per evitare accoppiamenti tra specie diverse.
La lucciola Photuris conosce la frequenza delle illuminazioni tipiche della sua specie, ma sa emettere anche quella della specie Photinus. Quando un maschio Photinus, cadendo nel tranello, s’avvicina a quella che crede essere una femmina della sua specie, la lucciola Photuris lo cattura e lo mangia.
Nella stagione degli accoppiamenti sono i maschi che emettono senza pausa lampi per segnalare alle femmine la loro presenza. Le femmine attendono al suolo, anche loro con la parte caudale dell’addome acceso o intermittente, a seconda della specie.
Nel periodo della riproduzione la femmina della Lampyris noctiluca, la più diffusa in Italia, non alata, dopo aver scelto un luogo dove può essere individuata più facilmente dai potenziali maschi volanti, sta a terra, immobile. Solleva l’addome ed emette luce continua. Gli occhi dei maschi sono sensibili alla sua lunghezza d’onda: riescono a individuare la femmina luminescente anche a 15 metri di distanza. Se nessun maschio la raggiunge, la femmina spegne la sua emissione dopo due ore, e ci riprova la sera successiva.
La femmina di Luciola Lusitanica attira i maschi rispondendo ai lampi che avvista, così da orientare, come una pista d’atterraggio dell’aeroporto, l’arrivo dei corteggiatori; la traiettoria di discesa segue forme circolari e a spirale.
Sara Lewis e Christopher Cratsley della Tufts University, Stati Uniti, autori di uno studio secondo cui l’intensità della luce sarebbe per questi insetti un segno di virilità. Già si sapeva che il maschio segnala con la luce alla femmina la sua disponibilità all’accoppiamento, e loro dal terreno, se sono interessate, rispondono. Ma i ricercatori americani hanno scoperto che la durata del segnale nel maschio è proporzionale al suo «dono nuziale», la spermatofora. Si tratta di una sorta di scrigno gelatinoso che contiene lo sperma, ma anche sostanze nutritive che contribuiscono a incrementare la fertilità femminile. I due ricercatori hanno registrato le emissioni di luce di Photinus ignitus, una specie di lucciola molto comune nel New England (Usa). E, dopo aver scoperto che le femmine erano più ricettive a flash lunghi, hanno comparato la durata del segnale con le dimensioni della spermatofora. Lo studio è stato pubblicato nel 2003 su ”Behavioral Ecology”.
Durante la fase larvale la lucciola si ciba soprattutto di lumache. Non ci vede, ma le assale usando sensibili sensori, i palpi, posti davanti alla bocca: una tecnica da ragno.
Il ciclo vitale – uovo, larva, pupa, insetto adulto – dura due anni.
Nel 1961 due biochimici della John Hopkins University hanno svelato il mistero di questa luce fredda (le nostre lampadine sono calde) che ha dei livelli di rendimento vicino al 100 per cento (le nostre lampadine arrivano al 4 per cento). La luce è di origine chimica; deriva dalla ossidazione di una proteina, la luciferina, che si trova negli organi fotogeni della parte ventrale degli insetti. Grazie all’ossigeno la luciferina reagisce e mediante un enzima, la luciferasi, si trasforma in un’altra sostanza generando la luminosità. I due chimici americani riuscirono a sintetizzare la luciferina, ma non la luciferasi, e dimostrarono che i quanti di luce emanati erano esattamente uguali al numero di molecole di luciferina, come spiega Vitus B. Dröscher in «Magia dei sensi nel mondo animale».
La luminescenza è generata dalla combinazione tra un enzima del sangue (la luciferasi), una proteina (la luciferina), l’ossigeno e un acido naturale, l’adenosintrifosfato, che negli organismi viventi ha la capacità di convertire gli zuccheri e i grassi in energia. Questa, in presenza della luciferasi, della luciferina e dell’ossigeno si trasforma in luce. Queste sostanze si trovano in una parte dell’addome, attraversata da minuscoli canali aerei, tra due pareti: quella anteriore è fatta di chitina, sostanza trasparente, quella posteriore ha forma parabolica e, grazie alla presenza di microcristalli, ha funzione riflettente. Proprio come in un faro.
Le lucciole possono controllare la propria luminosità grazie a speciali muscoli del ventre che permettono all’insetto di regolare la quantità di aria, e quindi di ossigeno, che reagisce con la luciferina.
Persino le larve, che non avrebbero motivo di brillare, emettono anch’esse luminescenza, anche se meno intensamente. La luce infatti ha un’ulteriore funzione: segnalare ai potenziali predatori la tossicità dell’insetto e quindi di dissuaderli dal tentare un’aggressione.
Si ritiene che abbiano cominciato a emettere questa luminosità circa 200 milioni di anni fa, per quanto noi abbiamo esempi fossili di lucciole soltanto di trenta milioni di anni fa.
La luce, che varia dal giallo al verde, ha durata e frequenze diverse a seconda delle specie.
Le lucciole appaiono molto diverse secondo il sesso e lo stadio in cui si trovano. La larva ha un corpo segmentato, tre paia di zampe e un potente apparato masticatore per cacciare. La femmina adulta è invece sedentaria, non vola ed è la responsabile della maggiore produzione luminosa. Il maschio adulto è quello che assomiglia di più a un tipico coleottero, ha infatti due paia d’ali, il primo coriaceo (elitre) e il secondo membranoso e adatto al volo.
Le lucciole adulte non mangiano quasi mai e dedicano tutte le energie alla riproduzione, sopravvivendo grazie alle risorse accumulate allo stadio larvale. Le larve, al contrario, sono predatori aggressivi e voraci: cacciano soprattutto lumache e chiocciole, grandi anche 15 volte di più, che paralizzano e uccidono iniettando loro una tossina velenosa.
La lucciola è lunga un centimetro.
Le lucciole possono controllare la propria luminosità grazie a speciali muscoli del ventre che permettono all’insetto di regolare la quantità di aria, e quindi di ossigeno, che reagisce con la luciferina.
Le lucciole emettono una luce fredda (ciò significa che, a differenza delle lampadine, utilizzano la quasi totalità dell’energia per illuminare, senza sprecare nulla o quasi sotto forma di calore), su lunghezze d’onda che oscillano fra i 500 ed i 650 nanometri. L’emissione luminosa non è continua: si manifesta nella fase di corteggiamento precedente all’accoppiamento.
La bioluminescenza è diffusa anche tra le creature marine: secondo alcune ricerche almeno la metà delle creature marine emette qualche forma di luce.
In Cina, Giappone, Indonesia e in alcune regioni dell’America Meridionale in passato si usava racchiudere decine o centinaia di lucciole in vasi trasparenti utilizzandoli come lanterne.
Paolo Villaggio ricorda la sua infanzia, vissuta nei vicoli del centro di Genova: «C’erano d’estate milioni e milioni di lucciole. Ed è proprio lì, tanti e tanti anni fa, che ho preso un bicchiere di vetro in un’osteria, l’ho riempito di lucciole, l’ho rovesciato sul palmo della mia mano sinistra e con quella lanterna magica, per la prima volta, ho illuminato il viso di mia moglie che aveva quindici anni e ho notato una cosa che alla luce solare non avevo mai visto: aveva il naso e le gote piene di piccole, bellissime lentiggini».