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 2016  ottobre 01 Sabato calendario

FERROVIE, IL MERCATO È SOLO UN’ILLUSIONE

Il nuovo piano industriale (2017-2026) presentato dalle Ferrovie dello Stato (Fsi), società pubblica e “dominante”, con oltre il 90% del fatturato del settore, presenta più ombre che luci. Fsi vive di sussidi pubblici, diretti e indiretti: circa 12 miliardi all’anno, tra sussidi alla rete, ai servizi, agli investimenti e allo speciale fondo pensioni. Senza sussidi, l’impresa chiuderebbe. Ma tali sussidi, almeno nella presentazione ai media del piano, non vengono nominati, elemento di opacità, per non dire di disinformazione. Tutto è presentato come se Fsi fosse una azienda privata che opera nel mercato.
La scelta di puntare sul settore ferroviario, esplicitata dal ministro dei Trasporti Graziano Delrio e confermata dall’attuale piano Fsi, lascia perplessi. Le ferrovie sono un “pozzo” di denari pubblici, mentre le strade, tra pedaggi e accise sui carburanti, sono una “sorgente” (che eroga risorse, al netto dei costi, per decine di miliardi l’anno). I benefici ambientali del ferro risultano esigui sia rispetto al problema complessivo delle emissioni (1% del totale), sia in termini dei costi pubblici. Inoltre si tratta di un settore capital-intensive, con ricadute occupazionali modeste per euro pubblico speso.
Veniamo agli annunci di investimenti: 94 miliardi di euro nel periodo del piano, per i quali non sembrano esserci analisi né economiche né finanziarie che li supportino, nonostante il nuovo corso del ministero dei Trasporti, secondo cui tutto dovrebbe essere valutato secondo la “migliore prassi” internazionale. Una quota è “autofinanziata”, ma il dato è ambiguo. Deriva probabilmente da profitti sull’Alta Velocità e sui “contratti di servizio” con le Regioni per i trasporti locali, e da altre attività remunerative minori. Nel caso delle Regioni si tratta comunque di soldi pubblici. I profitti dell’Alta velocità sono fatti in un contesto debolmente concorrenziale (due concorrenti sono pochini…), ma l’infrastruttura che rende possibili questi profitti è stata pagata interamente dai contribuenti. Aerei, camion e bus di lunga distanza sulle autostrade, cioè i concorrenti che non godono dell’infrastruttura gratuita, contribuiscono ai costi infrastrutturali con pedaggi che incidono sulle loro tariffe.
Nel piano Fsi si prospetta la fusione della rete ferroviaria (Rfi) con Anas (strade statali e autostrade), l’estensione delle attività ai servizi bus di lunga distanza, ma anche a quelli di trasporto pubblico urbano (Tpl). Si passa dal colosso pubblico attuale a un super-colosso pubblico.
Si prospetta infine l’ingresso di quote private minoritarie. Ma quale privato investirebbe in un ente pubblico che vive per buona parte di sussidi, con un padrone politico che un domani potrebbe avere idee diversissime dalle attuali, e magari liberalizzare davvero il settore?
La prassi regolatoria vede con diffidenza i colossi pubblici (e in qualche misura anche quelli privati), a causa della loro capacità di condizionare le scelte politiche a loro favore. Spesso nel mondo anglosassone si sono visti interventi regolatori concretizzati in obblighi di “spezzatino”, per evitare concentrazioni eccessive. Ma il super-colosso pubblico Fsi non sarebbe forse un “campione nazionale” in grado di competere all’estero (coi soldi nostri)? Sembra una visione di politica industriale datata, visti i modesti contenuti tecnologici del settore, che produce più servizi che innovazione. Ricorda un po’ per certi aspetti la vicenda Iri, o Alitalia.
Per le luci del piano, speriamo solo che la concorrenza nel settore cresca davvero, almeno come reazione alle forti spinte espansive del colosso, e che le privatizzazioni parziali attuali, fatte per far cassa, divengano reali, per fare innovazione ed efficienza. A volte è successo.