varie, 1 ottobre 2016
timesofisrael.com 14 MARZO 2014 – Il presidente Shimon Peres venerdì ha postato le foto su Facebook di travestimenti che indossava nel 1970 per viaggiare inosservato in Giordania per negoziati segreti
timesofisrael.com 14 MARZO 2014 – Il presidente Shimon Peres venerdì ha postato le foto su Facebook di travestimenti che indossava nel 1970 per viaggiare inosservato in Giordania per negoziati segreti. Peres ha postato le foto in coincidenza con Purim, che dispone di costumi di carnevale, fuochi d’artificio e pistole giocattolo. «Purim è un grande momento per travestirsi, ma non l’unica occasione», ha scritto Peres. «Questo è il travestimento che ho indossato a metà degli anni Settanta, quando andavo ai miei incontri con re Hussein di Giordania, prima della firma degli accordi di pace». Peres appare in una foto sbiadita su Facebook e sfoggia un paio di folti baffi marrone, con indosso una vistosa parrucca e un cappello beige. Sotto l’immagine ci sono anche due foto formato tessera di lui con gli occhiali e una barba finta. Peres è stato ministro della Difesa a metà degli anni Settanta, circa due decenni prima che Israele e Giordania firmassero un trattato di pace, quello del 1994. *** ANTONIO FERRARI, CORRIERE.IT 28/9 – È uno dei grandi uomini, certamente l’ultimo sopravvissuto fino a poche ore fa, che hanno fatto davvero la storia di Israele. I nostri pensieri, in questo momento, sono assai tristi e malinconici perché a noi giornalisti Shimon Peres è sempre piaciuto. Sapeva infatti rispondere a tutte le domande con l’aria distaccata di chi conosce bene le insidie della politica e della vita. Ai suoi connazionali, innamorati di ruvidi uomini in armi, piaceva molto meno. Shimon era troppo intellettuale e sofisticato per riassumere le doti e le asprezze di un popolo di frontiera. Era troppo diplomatico per rispondere alle pulsioni di pionieri sanguigni. Quando gli chiedevi se, in politica, gli piacesse qualche necessaria dose di realismo, rispondeva con una delle sue metafore: «It is very nice to smell, but very hard to swallow», cioè magari piacevole da odorare, ma assai difficile da inghiottire. Peres è stato uno dei costruttori dello Stato ebraico, con i suoi pregi e le sue capacità, ma anche con i suoi difetti di scaltro Giano bifronte. Era diventato l’uomo del dialogo con gli arabi, ma insieme era anche il custode dell’arsenale nucleare «segreto» di Israele. Un «segreto» di Pulcinella, perché lo conoscevano in tanti e lo sospettavano tutti. Ben Gurion, che del Paese fu lo storico fondatore e insieme la vera anima, descriveva Peres come «circondato dall’aureola del potere». Complimento lusinghiero, anche se bisogna ricordare che in realtà il predestinato con l’aureola non ha mai vinto un’elezione politica. È stato primo ministro, magari in governi di coalizione o per cause di forza maggiore. È diventato presidente di Israele soltanto nella terza età avanzata, quando la scelta era quasi obbligata. Peres ha accompagnato, da protagonista nobile tutta la storia dello Stato ebraico. Ai vertici internazionali era la star ricercata da tutti, perché sapeva sempre scegliere l’approccio giusto e il comportamento di un convinto sostenitore del dialogo. Nei suoi libri ha sempre sostenuto l’idea di una confederazione tra Israele, Palestina e Giordania, come pilastro di pace e prosperità. Di molti leader arabi è stato un amico prezioso. Il presidente dell’Egitto lo ha sempre accolto con rispetto, stima e altissima considerazione; il re di Giordania (prima Hussein, poi suo figlio Abdullah II) lo ha sempre scelto come interlocutore privilegiato. Di Yasser Arafat era amico e partner di pace, pur se lo descriveva, a volte, come un fritto misto di imbecillità e saggezza. Se c’era il suo premier da contenere, ecco che Peres era pronto a smussare gli spigoli caratteriali del capo del governo israeliano (soprattutto Yitzhak Shamir) con la suadente logica della sua colta preparazione. Una volta, in visita a Roma, lo interrogai sull’Irangate, cioè sui traffici arditi compiuti da Washington e la Teheran degli ayatollah con l’aiuto di Israele. Rispose senza scomporsi: «Siamo stati avvicinati e abbiamo collaborato». Chi aveva avvicinato Gerusalemme erano stati gli americani: circostanza ritenuta allora assai imbarazzante. Più di una volta, Peres era stato a un passo dalla vittoria elettorale, ma all’ultimo momento era stato costretto ad accettare la sconfitta. Quando il primo ministro Yitzhak Rabin, nel 1977, si dimise perché sua moglie aveva dimenticato di denunciare al Fisco degli Usa 7 mila dollari mentre il marito era ambasciatore a Washington, vi furono elezioni anticipate. Peres, che pensava di vincerle, fu sconfitto dal conservatore triste Menachem Begin, il leader che poi firmò la pace con l’Egitto di Anwar Sadat. Ancor peggio andò nel 1996, pochi mesi dopo l’assassinio di Rabin, ammazzato dall’estremista ebreo Yigal Amir. Peres era assolutamente certo di essere eletto, ma l’arroganza di voler dimostrare che mai avrebbe utilizzato l’immagine di Rabin, gli fu fatale. Vinse infatti, per la prima volta, Benjamin Netanyahu. Peres era un giocatore di scacchi, ma sapeva sempre difendere il suo ruolo privilegiato. Quando Rabin, nel 1993, dopo la sua elezione dell’anno precedente, avviò le clamorose trattative di pace con l’Olp di Arafat nella lontana città nordica di Oslo, il suo ministro degli Esteri, appunto Shimon Peres, ne fu entusiasticamente coinvolto. Il negoziato, in gran segreto, venne avviato, e dopo lo storico incontro fra Arafat e Rabin, nel Giardino delle Rose della Casa Bianca, i due protagonisti dello storico accordo vennero candidati al Nobel per la pace. Peres, con l’aiuto e le pressioni dell’Internazionale socialista, e in particolare dell’allora presidente francese François Mitterrand, riuscì nel miracolo. I due insigniti del Nobel diventarono tre vincitori, con l’aggiunta appunto dell’ambizioso ed eterno numero due israeliano. Non so contare quante volte ho incontrato e intervistato il leader laburista che ci ha lasciato. Noi giornalisti lo inseguivamo sempre: primo perché era spesso in grado di riferirci, con la sua ironica flemma, qualche notizia importante; secondo, perché sapeva sempre condirla con una battuta felice. Per esempio quando gli chiesi, a Davos, assieme alla cara collega Mary Calvin (poi uccisa in Siria) se il suo premier, il duro Ariel Sharon, sarebbe diventato più dialogante, rispose: «È una vecchia tigre. E anche le vecchie tigri hanno i denti più deboli, e a volte li perdono». Tra i documenti dello Stato greco sulla Seconda guerra mondiale, desecretati e pubblicati alcuni anni fa, c’era un capitolo su suo padre. Che si chiamava Yitzhak Perski. La famiglia Perski (cognome originale di Peres) fuggì dalla Polonia in Palestina all’inizio degli anni 30 e nel ’34 il padre di Shimon accettò di collaborare con l’esercito inglese. Fu paracadutato nel Nord della Grecia. Catturato dai nazisti, riuscì a scappare e fu aiutato da alcuni pope ortodossi che lo nascosero in un monastero. La resistenza greca lo aiutò poi a imbarcarsi su un caicco diretto in Turchia, dove l’uomo giunse incolume, per poi fuggire a cavallo e raggiungere le linee del generale Patton. Peres mi ringraziò soddisfatto delle preziose fotocopie che gli avevo portato. Pochi anni dopo, finalmente, realizzò il suo sogno. Vincere un’elezione, almeno alla Knesset (il Parlamento israeliano) e diventare presidente di Israele. Da capo dello Stato venne a Roma, ospite di papa Francesco, assieme al presidente palestinese Abu Mazen per testimoniare l’incrollabile fede nella pace tra israeliani e palestinesi. Un grande politico, Shimon Peres? Non saprei rispondere. Di sicuro so che è stato un grande uomo di Stato. Ci mancherà. *** AGI.IT 28/9/2016 – «Non sognavo di diventare presidente, volevo fare il pastore, o il poeta». Così Shimon Peres esordì il 15 luglio del 2007, nel giorno del suo insediamento come capo dello Stato ebraico. Inizialmente considerato un falco, per il suo impegno nella costruzione del formidabile apparato militare israeliano e l’autorizzazione dei primi insediamenti ebraici in Cisgiordania nel 1970, la posizione di Peres è andata modificandosi negli anni, fino a diventare il principale fautore di una soluzione politica tra israeliani e palestinesi. Premio Nobel per la pace nel 1994, assieme a Yitzhak Rabin e Yasser Arafat, per i loro sforzi culminati con gli Accordi di Oslo, Peres è stato l’uomo del dialogo con l’Olp, nella ricerca di un compromesso sui territori di Gaza e sulla Cisgiordania. Certo, questo suo mutamento in colomba negli anni lo ha allontanato dai coloni israeliani dei Territori occupati e dai falchi nel governo di Benjamin Netanyahu, come il ministro della Difesa, Avigdor Lieberman, fino all’anno scorso capo della diplomazia israeliana. Premier tra il 1984 e il 1986 e tra il 1995 e il 1996, Shimon Peres, in polacco Shimon Perske, nel corso della sua lunga carriera politica, cominciata nel 1959, è stato ministro degli Esteri, della Difesa, delle Finanze e dei Trasporti. Si deve a lui la potenza dell’esercito con la stella di David: negoziò la fornitura di armamenti con Francia e Germania e lavorò per dotare Israele di armi nucleari. Sempre a lui si deve l’autorizzazione dei primi insediamenti ebraici in Cisgiordania nel 1970. Peres nacque il 21 agosto del 1923 a Vishniev, in Polonia, da Yitzhak e Sara Perske. Il padre emigrò nel 1931 in Palestina e lo seguì nel 1934 la sua famiglia, poco prima dell’occupazione nazista, insediandosi a Tel Aviv. Nel 1959 fu eletto alla Knesset, come membro del Partito Mapai, antesignano del Labour. Dieci anni dopo ricoprì il primo incarico ministeriale, quando venne nominato ministro dell’Assorbimento. Dopo le dimissioni di Golda Meir da primo ministro nel 1974, Peres ebbe la possibilità di candidarsi come premier, ma si trovò di fronte per la prima volta come rivale Yitzhak Rabin, collega di partito, ma eterno avversario nella leadership del partito laburista e, quindi, del governo. Nella sua lunga carriera diplomatica ha provato soprattutto a risolvere il problema della Striscia di Gaza e per un certo tempo ha sperato che re Hussein di Giordania potesse essere un partner affidabile nei negoziati con gli arabi e con Arafat. Peres lo incontro’ segretamente a Londra nel 1987 e cercò una base di negoziazione con lui, ma il lavoro venne rigettato dall’allora premier conservatore intransigente Yitzhak Shamir. Ben presto scoppiò la prima Intifada e si appannò il ruolo di mediatore del sovrano hashemita. In seguito Peres si mosse sempre più verso un dialogo con l’Olp, anche se evitò di impegnarsi direttamente fino al 1993. Il successo in questa direzione politica e diplomatica, Peres lo ottenne con gli Accordi di Oslo e rimase sempre coerente all’intesa e all’Autorità nazionale palestinese anche durante la prima e la seconda Intifada. Negli ultimi anni, si dedicava a tempo pieno alla sua fondazione, il Perese Centre for Peace, volto alla promozione del dialogo tra israeliani e palestinesi. Accanto allo sviluppo economico e alla pacificazione della zona, Peres ha sempre lavorato per raggiungere la sicurezza interna a ogni costo.