Fabio Licari, SportWeek 24/9/2016, 24 settembre 2016
IO, DYLAN DOG E 30 ANNI DI PAURE– [Tiziano Sclavi] Era “l’alba dei morti viventi” del 26 settembre 1986 quando debuttò in edicola Dylan Dog
IO, DYLAN DOG E 30 ANNI DI PAURE– [Tiziano Sclavi] Era “l’alba dei morti viventi” del 26 settembre 1986 quando debuttò in edicola Dylan Dog. Una copertina indimenticabile tra zombie romeriani, luna piena e quello strano personaggio mai visto – camicia rossa e faccia dell’attore Rupert Everett – creato da Tiziano Sclavi. Trent’anni esatti dopo, Dylan è ancora l’eroe più venduto in Italia (dopo Tex), fenomeno di costume più che semplice fumetto. E il suo autore è tornato a scrivere una storia, anzi due, dopo dieci anni. Un doppio evento che meritava una lunga chiacchierata-confessione tra fumetto, politica e sport. Il numero uno, L’alba dei morti viventi, è uscito trent’anni fa, quando il fumetto stava un po’ morendo. Si dice che Dylan lo abbia salvato. «Mi sembra esagerato», commenta Sclavi, «ma se è stato così non l’ho fatto apposta e ne sono ancora sbalordito. All’inizio Dylan non ha venduto tantissimo: quanto bastava per restare in edicola. Poi è arrivato il boom che nessuno di noi avrebbe mai immaginato. Neanche Sergio Bonelli che adora l’horror (anzi lo adorava, ma non mi rassegno al fatto che non ci sia più). Lo infilava dove poteva, tipo Zagor, e quindi ha subito accolto la mia proposta». Gli zombi di Romero, come quelli della prima storia, sono tornati di moda con Walking Dead. Perché li amiamo così tanto? «Romero era un genio, ha reinventato un mito che esisteva ma lo ha fatto suo. Un fenomeno di successo inspiegabile, come Dylan. Il fumetto di Walking Dead mi piace molto, la serie tv meno: non mi ha convinto dal primo episodio, quando il protagonista si sveglia e comincia a sparare agli zombi senza farsi domande». Walking Dead e le altre serie tv sono in debito con il fumetto... «Sicuramente, e sono contento della loro evoluzione. Ma non solo col fumetto: la più bella oggi, Stranger Things, ha saccheggiato totalmente Spielberg e anche King. Altre sono più fumettistiche, come Lost, peccato il finale vergognoso, 24, e poi Breaking Bad e Newsroom». Ci sarà mai una fine per Dylan Dog? «Nelle mie intenzioni doveva chiudere con il 100, poi siamo andati avanti. Credo che avrà una fine quando non venderà più per coprire le spese. Ma trent’anni sono già una bella età». Quanto c’è di lei in Dylan? E oggi quanto di Dylan in lei? «Inevitabilmente in Dylan ci sono alcuni tratti di me, non fisici purtroppo. Un po’ della mia ironia, delle mie paure. Ma per il resto siamo diversissimi. Forse è quello che avrei voluto essere ma neanche tanto, perché a me non interessa collezionare una ragazza al mese: sono felicemente sposato da ventidue anni». Dylan Dog è azzeccato anche nel nome... «Il nome che davo a tutti i progetti e che cambiavo se venivano approvati. Questo no. I nomi sono importanti, anche quelli dei nemici. Avevo con me gli elenchi del telefono di Londra...». E se non avesse fatto lo scrittore? «Il mio sogno era fare il falegname. Da grande voglio fare il falegname, anche se sarei uno di quelli che nessuno assumerebbe». Dopo dieci anni è tornato a scrivere Dylan. Un bisogno invincibile? «È successo a gennaio, dietro insistenza di Roberto (Recchioni, sceneggiatore e responsabile di Dylan; ndr) che ha grande influenza su di me. Visto che avevo qualche idea, ho scritto due storie. Avevo voglia. Poi ho cominciato la terza e a pagina 25 mi sono bloccato di nuovo: non so se andrò avanti. Sono vecchio. Da giovane scrivevo giorno e notte e sentivo solo il piacere, crescendo aumentava la fatica, oggi è tutta fatica. A marzo volevo già buttare quelle due storie, ma non si poteva più. E mi chiedo una cosa...». Che cosa? «Sono praticamente sparito per dieci anni: sono stupito che la gente si ricordi di me. Anche se potrei dire lo stesso di Guccini, che per la mia vita, non solo intellettualmente, ha significato tanto, o di De André». Si sente un intellettuale? «Non credo di avere abbastanza cultura. Ho fatto il Classico e ho preso 60 con lode, anche se non lo meritavo. Poi ho cominciato l’università ma già lavoravo. Studiare non mi è mai piaciuto tanto. Sono quasi autodidatta». I suoi romanzi ricordano sceneggiature cinematografiche... «Sicuro, il cinema è una grandissima influenza. Io sono nato al cinema: ricordo quando mia madre mi portava da piccolo, in braccio, ricordo il buio e l’atmosfera. All’università dovevo laurearmi in Storia del cinema, adoro Kubrick e il suo capolavoro, 2001: Odissea nello spazio, visto in Cinerama: un’esperienza di vita. Oggi vivo in campagna, vicino a un centro commerciale con una multisala, ma odio i centri commerciali: un incubo da Dylan, ci ambienterei una storia, ma l’ha già fatto Romero». Leggeremo un nuovo romanzo? «No. E nessuno di quelli che ho scritto verrà mai ristampato, tranne gli ultimi due, Non è successo niente e Il tornado di Valle Scuropasso, finché i diritti non torneranno a me e vieterò ristampe. All’uscita hanno provocato un’enorme esplosione di indifferenza e l’unico che ha venduto è Dellamorte Dellamore, ma non ho visto un soldo. Perché lavorare gratis?». Lei non ama lo sport, ma tanti sportivi, da Zambrotta a Zola a Valentino Rossi, adorano Dylan... «Mi spiace dirlo alla Gazzetta, ma proprio non amo lo sport. È bello che Dylan piaccia agli sportivi, anche se lui non ha niente di sportivo. Piace come i cantanti, come una rockstar un po’ maledetta... Ho visto qualcosa in passato, i Mondiali, ma niente Olimpiadi. Da ragazzo mi sono svegliato una notte alle 4 per vedere Cassius Clay: oggi abolirei la boxe, uno sport barbaro». Lei aveva una passione per Valentino Rossi: è ancora così? «Tifavo per lui, a vederlo mi è tanto simpatico, spontaneo. Mi piace davvero. Pensavo quasi non corresse più, ma sono io che ho smesso: se lei mi dice che corre ancora sono contento». E il calcio? «A malapena so che esistono Milan, Inter e Juve. Ricordo che Sergio Bonelli commentava le partite, ma gli dava fastidio quel nazionalismo che c’è nello sport, quell’enfasi sull’Italia...». Che negli stadi si traduce anche nel saluto romano... «Tutti i fascisti andrebbero messi in galera. Il fascismo è illegale, ci sono leggi precise». Che cosa pensa della politica? «Non me ne interesso, non vedo tv e non leggo giornali da 17 anni: mia suocera mi ha detto che c’è un nuovo Presidente della Repubblica, ma non ricordo il nome. Negli ultimi trent’anni la bestia nera è stata Berlusconi, l’altra faccia del fascismo». L’ultimo film, l’ultimo romanzo e l’ultimo fumetto che le sono piaciuti di più? «Il ponte delle spie, anzi Mad Max per i film. Tra i romanzi, La ragazza nel parco, un legal thriller di Alafair Burke: ho una passione per il genere e John Grisham è il più grande scrittore vivente ma non di genere. Fumetti, infine: quelli di Zerocalcare». A 6 anni lei aveva letto tutto Edgar Allan Poe. Che cosa suggerirebbe a un bambino per diventare un nuovo Sclavi? Magari Sclavi stesso? «No, ho letto tutto Poe e non sono venuto tanto bene, sono in cura psichiatrica da una vita, ho 25 anni di analisi: non mi prenderei questa responsabilità». «Se voglio rilassarmi leggo un libro, se devo impegnarmi Corto Maltese», ha detto Umberto Eco: un vezzo un po’ snob da intellettuale o una verità? «Un paradosso con un fondo di verità. Eco era molto spiritoso, non snob. Un giorno ci siamo incontrati, abbiamo parlato e ne è venuto fuori un libro: all’inizio ero emozionato, non sapevo che cosa dire. Troppe sue frasi sono inflazionate, come quella che “sul comodino ho Omero, la Bibbia e Dylan Dog”». Il suo fumetto preferito, a parte Dylan naturalmente? «Ho una passione per i franco-belgi, Asterix, Lucky Luke, Tintin, Blake e Mortimer, e poi Jeff Hawke, Dick Tracy, i Peanuts: i classici. Sono rimasto un po’ indietro». Il film su Dylan Dog è stato una delusione. «Non ho mai voluto vederlo, ma non sono molto dispiaciuto: Dylan è nato per essere un fumetto. Ho letto la sceneggiatura e ho scritto ai produttori: “Ma perché avete pagato, poco comunque, per i diritti di Dylan? Potevate chiamarlo John Smith”». Ha detto: «Il XX secolo è stato il più orribile perché abbiamo avuto tutto il peggio: due guerre mondiali, Hitler, Stalin, gli orrori dell’Olocausto, Pinochet, l’aids e la televisione». La tv è un “grande satana”? «Dovevo specificare: la tv privata di Berlusconi, che ha volgarizzato l’Italia peggio della Dc. Ha degradato il Paese. Ma anche la tecnologia è stata un orrore: l’atomica non c’era». Il suo peggior incubo? La più grande gioia della vita? «La gioia aver sposato mia moglie e vivere con lei. L’incubo è provare vergogna. (La moglie, scherzando, dice: «E noi?»; ndr). Ah, naturalmente perdere chi ami, persone e animali. Ho sette cani». Progetti? «Godermi la pensione, può darsi mi venga in mente un’altra storia di Dylan. Leggere, vedere film, dormire e giocare al pc». Computer, una cosa che Dylan non sa usare! «I videogiochi sono una forma d’arte che sarà riconosciuta in futuro. Gioco con mia moglie, io uso mouse e frecce di direzione, lei il resto. Urliamo come matti, moriamo e alla fine vinciamo».