Romain Burrel, D, la Repubblica 24/9/2016, 24 settembre 2016
PORNO STAR
Women of the middle east, uno dei più importanti porno del 2015, prodotto da PornFidelity e interpretato da Nadia Ali, è stato il primo film per adulti incentrato sull’hijab e il niqab. In una delle scene chiave di questo hijab porn, la protagonista viene rimproverata dal marito per essersi allontanata da casa senza il suo permesso, e lei per farsi perdonare si dedica al sesso orale prima di un rapporto su un divano orientaleggiante. Sempre senza togliersi il velo.
Non sono atmosfere da Mille e una Notte, anzi, nelle intenzioni dichiarate dai produttori, il film è addirittura una denuncia contro il velo islamico. Secondo Kelly Madison, attrice e regista di questo porno dalle sfumature sadomaso, ha un messaggio: «Eliminare il niqab». Non condannare la religione musulmana, ma dimostrare che impedire alle donne di far vedere il proprio corpo equivale a opprimerle.
Il film, che ha scatenato enormi polemiche soprattutto all’interno del mondo musulmano, ha lanciato la carriera di Nadia Ali. Sino all’uscita di Women nulla lasciava presagire che questa venticinquenne americana, nata nel New Jersey da genitori pakistani, sarebbe diventata una star del porno. «Il salto vero l’ho fatto tre anni fa, quando decisi di fare la escort. Lavorando come parrucchiera mi ero resa conto che alcune delle mie clienti, quelle che incontravano uomini a pagamento, non avevano problemi di liquidità. Capii che quello sarebbe stato il modo migliore per finanziare il mio sogno: aprire un salone di bellezza tutto mio». Poi il passaggio ai video: dopo aver preso parte a dei provini, questa bella ragazza mora dalle forme generose cominciò a ricevere proposte per qualche scena. Il nome d’arte, Nadia Ali, è un omaggio all’omonima cantante di R&B di origini musulmane.
Di lì a breve i produttori iniziano a chiederle con insistenza di portare un foulard durante le scene di sesso. Pur essendo religiosa, Nadia nella vita di tutti i giorni non indossa il velo. «È stata una trovata dei produttori, e se mi fossi rifiutata avrei smesso di lavorare. Per loro ero solo una delle tante ragazze dalla pelle ambrata e dagli occhi scuri». Accettò: «L’intenzione era mostrare qualcosa di diverso. Mi ero sempre sentita un paria, ma approdata nel mondo del porno ho avuto l’impressione di dare un contributo nuovo. Mi sono sentita unica».
L’hijab porn, da qualche anno una tendenza emergente dell’industria cinematografica hard, mostra ragazze che interpretano scene di sesso tenendo il capo coperto con il velo islamico e attrici professioniste (raramente di origine araba) che impersonano il ruolo di donne sottomesse. Altre si erano cimentate in questo genere prima di Nadia, per esempio Mia Khalifa, una delle attrici più cliccate sul sito Pornhub. Ma il caso di quella ragazza americana d’origine libanese e religione cristiana non aveva suscitato lo stesso clamore di Nadia Ali, d’origini pakistane e musulmana praticante.
«Mia sorella ha figli», spiega la porno attrice. «Porta il velo ed è sposata. Mia madre porta il velo e prega cinque volte al giorno. Anch’io mi sento musulmana, e conosco le tradizioni. Di giorno prego e la sera ballo». Ma quando i filmati che la mostrano mentre si fa prendere su un tavolino oppure partecipa a gangbang diventano virali, inizia il gioco al massacro: Nadia viene bombardata da migliaia di messaggi di insulti e minacce di morte. «Mi hanno detto che non sono musulmana, che sono un disonore per il Pakistan. E anche: “Ti uccideremo e porteremo il tuo cadavere a tua madre”. Ma non ho paura. So ciò che faccio e me ne assumo la responsabilità». Oggi Nadia continua a ricevere minacce via web, anche se con minore frequenza. «Cerco di prenderla con ironia. L’umorismo è una buona arma per combattere i fondamentalisti». Le sue scene di sesso col velo hanno infranto un tabù: nella cultura musulmana il velo è simbolo di pudore e la pornografia è vietata, dunque è un paradosso che questo lembo di tessuto – che dovrebbe mettere le donne al riparo dalla bramosia degli uomini – sia diventato un feticcio. D’altronde, l’obiettivo del porno è proprio erotizzare tutto ciò che tocca: dalla nonna alla suocera, dalla segretaria all’infermiera. Alla musulmana.
Ma non è solo il mondo islamico che considera sconveniente l’hijab porn: nel 2013 la rivista Modern & Contempory France ha pubblicato un articolo intitolato Velare le donne musulmane per scoprirle. Il doppio gioco dell’immaginario pornografico dell’uomo bianco. Stando ai due sociologi il nuovo filone, che sarebbe emerso sulla scia dell’11 /9, vede la donna musulmana come oggetto dell’immaginario dell’uomo bianco dominante. Possederla diventa un’espressione estrema di potere. L’hijab porn deriverebbe dalla tradizione orientalista e dal folklore a essa collegato, fatto di hammam fumosi, danze del ventre e donne oppresse tenute prigioniere all’interno degli harem, che si struggono e sognano di essere salvate da un uomo bianco, eroe di ogni storia.
Nadia la vede diversamente: «Io nel porno ho introdotto la cultura pakistana, non la religione. Volevo dimostrare che le donne pakistane possono essere sensuali. Nella nostra cultura il sesso rappresenta un tabù: il piacere femminile è represso». L’hijab porn non mira a dipingere realisticamente la vita sessuale delle donne musulmane, e probabilmente le donne che indossano il velo quando hanno dei rapporti se lo tolgono... «È vero. Ma della sessualità delle mediorientali non si sa nulla. Ecco perché diventano oggetto di fantasie».
Nadia rifiuta comunque l’etichetta di “femminista” che la stampa americana ha tentato di affibbiarle. Lasciata la carriera di pornoattrice (è durata soltanto un anno), ha cambiato mestiere. E oggi, per la delusione dei suoi ammiratori – che continuano ad assillarla sul web domandandole quando tornerà a girare video hard – si dedica alla sua nuova carriera di spogliarellista. «Il porno fa parte del mio passato. Mi ha dato una visibilità che mi procura compensi più alti da ballerina». Giura di non avere rimpianti, ma ammette che, se potesse, cancellerebbe i suoi video dal web. «E alla domanda se lo rifarei, rispondo no». Non ha perso di vista il suo obiettivo: «Voglio guadagnare abbastanza da aprire un salone di bellezza mio». La versione di Nadia del sogno americano.
Traduzione di Marzia Porta