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 2016  settembre 24 Sabato calendario

UN COIFFEUR A SHANGHAI


La prima volta che andai da sola a farmi tagliare i capelli fu nel 1998, quando ero già alle scuole superiori. E fu in uno dei saloni della catena Wenfeng, da poco aperto nel mio quartiere.
Per quanto ricordo, era il primo negozio di una catena di parrucchieri in Cina. Quello era il periodo in cui i grandi marchi stranieri facevano il loro ingresso nel paese: nel 1995 arrivò Carrefour, nel 1998 Ikea, nel 1999 fu la volta di Starbucks. Dopodiché anche le aziende cinesi adottarono l’idea di catene di negozi. Dunque Wenfeng fu probabilmente il primo caso, con ogni salone allestito secondo un canone di bellezza piuttosto semplice e caratterizzato da una nota dominante di rosso e oro. Su tutte le insegne c’era una grande fotografia di Chen Hao, il giovane fondatore e proprietario di Wenfeng, in posa alquanto narcisista. A quanto pare in quegli anni era stato anche proposto per la nomina fra i “dieci giovani talenti emergenti” di una qualche circoscrizione di Shanghai.
Nel 1998 il costo, da Wenfeng era di circa 30 yuan per lavaggio, taglio e asciugatura. Il fatto che, dopo un ventennio in cui i prezzi di tutte le merci sono saliti alle stelle, oggi il servizio lì non costi molto più di allora, è davvero sorprendente. Dove andassi prima di allora a farmi tagliare i capelli, davvero non riesco a ricordarlo. Con ogni probabilità ci pensava la mia mamma, a fare tutto con le sue mani. E, a ripensarci, può darsi che Wenfeng sia stato il primo vero negozio di parrucchiere in cui abbia messo piede in vita mia.
Ecco come era Wenfeng vent’anni fa: possedeva una sua scuola di taglio, tutti i parrucchieri della catena si erano diplomati lì e a quanto si diceva gli studenti migliori avevano la possibilità di essere mandati in Giappone a proseguire gli studi. Indubbiamente ciò offrì a molti giovani delle campagne una nuova opportunità d’impiego e un modo per riprogrammare la propria esistenza. Prima, la maggior parte dei giovani venuti dai villaggi nelle maggiori metropoli finiva quasi sempre a svolgere lavori pesanti nei cantieri edili o a servire nei ristoranti. Ma i cinesi sono sempre stati attratti dallo studio tecnico e se i giovani che non entravano all’università erano pronti a iscriversi a una scuola professionale per imparare la manutenzione meccanica o la cucina, dopotutto non poteva andare bene anche un corso per acconciatori? Anche la scuola Wenfeng diventò una buona opportunità.
Non si può negare che vent’anni fa Wenfeng esercitasse una grande attrattiva. I membri della mia famiglia reputavano igienico e prestigioso andare là a farsi tagliare i capelli e anche mia madre ci andava spesso, tanto più che si poteva ottenere una carta socio che assicurava prezzi scontati. I parrucchieri e gli assistenti di Wenfeng indossavano tutti la stessa uniforme, generalmente un completo color porpora o rosso scuro con un foulard in tinta. Alloggiavano in dormitori messi a disposizione dalla società, che si diceva fossero gestiti quasi come caserme. In realtà ci si riferiva principalmente alla disciplina: in Cina tutte le scuole che accolgono un gran numero di giovani sono imperniate su regole rigide, perché così si riducono enormemente i costi di gestione. Si veste, si alloggia, si mangia, ci si addestra tutti allo stesso modo. La catena di montaggio garantisce sempre un risparmio di tempo. Si potrebbe dire che Wenfeng ha stabilito una specie di tradizione per tutte le catene di saloni di parrucchiere che sarebbero venuti dopo, una tradizione che esaltava l’onore collettivo e una specie di adorazione per l’individuo che l’aveva fondata. Ogni mattina prima dell’apertura del negozio e ogni sera alle quattro o alle cinque, al momento del cambio dei turni di lavoro, tutti gli impiegati si mettevano in fila all’entrata: nei primi anni si limitavano per lo più a gridare slogan o a eseguire qualche semplice esercizio di allineamento in ranghi ordinati, mentre oggi, in un’epoca in cui parrucchieri e saloni di bellezza sono ormai in declino, il personale ha iniziato ad accennare anche qualche passo di danza. In realtà non solo i saloni di parrucchiere ma anche molti ristoranti hanno adottato questo modello di controllo collettivo.
Molto presto, tuttavia, Wenfeng entrò in crisi. Da un lato perché il modello organizzativo della catena è molto facile da copiare, perciò col tempo sono apparsi diversi concorrenti; dall’altro lato, perché i giovani hanno subìto l’influenza della moda e della cultura giapponese e coreana e quindi i parrucchieri che prendono a modello i famosi acconciatori giapponesi (a un certo punto gli hair stylist ventenni esibivano tutti una chioma afro mezza colorata) hanno iniziato a dominare il mercato. Naturalmente oggi quasi tutte le catene di parrucchieri dichiarano che i loro esperti supervisori vanno a specializzarsi ogni anno in Giappone, ma sarei curiosa di sapere se davvero là ci sono tante scuole di acconciatura e come funzionano.
A ogni modo già da molti anni io non mi servo più da Wenfeng e l’avevo quasi dimenticato. Fino a qualche anno fa mia madre ci andava ancora a farsi tingere i capelli, ma poi questi saloni, con la loro smania di promuovere le vendite a colpi di carte socio e sconti, hanno finito con l’esasperare la gente. Così perfino lei è tornata al negozietto di parrucchiere che serve i residenti della comunità locale. La comparsa di Wenfeng ha coinciso esattamente con il brusco inizio del processo di urbanizzazione dell’intera Cina dopo il Duemila; ricordo ancora le strade tranquille di Shanghai negli anni Novanta, ricordo quell’epoca in cui i miei nonni paterni non sapevano parlare mandarino e anche i miei genitori si esprimevano soprattutto in dialetto, viaggiavano poco e non sentivano una particolare urgenza di entrare in contatto con gente di fuori. Poi gli spostamenti fra città si sono fatti molto più comuni e dopo l’avvento di internet è diventato sempre più difficile per le aree rurali trattenere i giovani, cosicché un numero sempre maggiore di ragazzi scarsamente istruiti si è riversato nelle città.
Nel 2006 il ristorante Haidilao, specializzato in fonduta di carne, aprì la sua prima sala, diventando di colpo un successo. Poiché il servizio era eccellente, i tempi di attesa nelle ore di punta potevano superare le due ore e i clienti, mentre aspettavano un posto a sedere, si vedevano offrire computer, giochi di scacchi e carte, popcorn e perfino addetti pronti a fargli il manicure. L’intero staff aveva un atteggiamento estremamente cordiale e familiare. Tutti mostravano un grande, palpabile entusiasmo… ma lo provavano davvero? Haidilao ha fornito un nuovo sistema di motivazione, non più basato sulla disciplina collettiva (sebbene anche in questo caso i dipendenti alloggiassero nei dormitori, altrimenti, visti i prezzi delle case a Shanghai, non avrebbero certo potuto permettersi di pagare un affitto di un appartamento), ma piuttosto sulla concessione di ricompense. Per esempio i dipendenti che fornivano prestazioni eccellenti potevano essere promossi alla posizione di direttore di un ristorante affiliato e poi, dopo adeguata formazione, accedere al livello manageriale.
Guardando le cose da una prospettiva più ampia, potremmo dire che in quegli anni in Cina non aveva ancora preso forma il concetto di classe, che in precedenza le non esisteva (per la verità in teoria non dovrebbe esistere neppure oggi, anche se di fatto si è completamente affermato. Intorno al 2005, però, era ancora tutto confuso, le gerarchie non erano ancora consolidate, i giovani più spregiudicati nelle grandi città potevano trovare un canale di mobilità, oggi più ardua (la precedente vigilia della creazione di una gerarchia sociale fu la fine degli anni Ottanta, chissà quando sarà la prossima).
In queste circostanze la catena di ristoranti di Haidilao, come poco prima Wenfeng, ha rappresentato un esperimento di mobilità sociale in miniatura. Anch’io andavo a fare la fila a mezzanotte fuori dal locale e, nell’arco dei successivi cinque anni, Haidilao ha aperto in tutte le metropoli cinesi. Finché tre anni fa altri marchi di ristoranti di Chengdu e Chongqing, ugualmente specializzati nella preparazione di fonduta di carne, hanno aperto uno dopo l’altro filiali a Shanghai. E mi sa che lì davanti non ci sono più code.
La mobilità sociale dei giovani, intanto, ha imboccato altre strade. Intorno all’anno 2004 i prezzi delle case a Pechino, Shanghai e Guangzhou hanno avuto una prima grande impennata e poi non si sono più fermati, continuando a crescere ininterrottamente. Fra il 2008 e il 2010, con l’Esposizione Universale, il già enorme divario con le altre grandi città cinesi si è ulteriormente approfondito. Quando nel 2010 ho cambiato casa, ho conosciuto un tipo che lavorava in un’agenzia immobiliare e che, a bordo di uno scooter elettrico, mi ha aiutata a risolvere non pochi problemi. Chiacchierando, mi ha confidato il suo sogno: riuscire nel giro di un anno ad aprire la propria compagnia di intermediazione… Mi ha raccontato che un suo compaesano, nonché suo superiore, l’anno prima con la compravendita immobiliare aveva guadagnato, in dodici mesi, 400mila yuan, abbastanzaper aprire un’agenzia tutta sua. In seguito ho perso i contatti con lui, non so se ce l’abbia fatta, ma in questi anni ho traslocato tre volte e gli agenti immobiliari guidano ancora moto elettriche, però ora indossano completi neri e camicie bianche di scarsa qualità e si sono trasformati in una specie di esercito standardizzato. A gennaio di quest’anno un gruppo di intermediazione chiamato Lianjia ha inglobato diverse piccole catene di agenzie e in ogni angolo di Shanghai sono comparse le sue insegne verdi. I prezzi delle case a Shanghai sono nuovamente schizzati verso l’alto e quando esco a fare la spesa, mi capita di vedere annunci immobiliari a ogni incrocio e impiegati della compagnia che distribuiscono volantini. Questi giovani di vent’anni non studiano più acconciatura, non sognano più di assumere l’incarico di capo ristorante, sognano soldi. Non hanno più necessità di studiare una tecnica, né costi di formazione. Non hanno nemmeno la necessità di essere entusiasti: per le transazioni bastano astuzia e abilità nei contatti. C’è solo una cosa che in tutto questo tempo non è cambiata: alloggiano ancora nei dormitori o in appartamenti in affitto in condivisione.La catena Wenfeng comunque esiste ancora, anche se ha chiuso molte filiali. Ho dato un’occhiata sua pagina web, semplice e dozzinale. C’è scritto: «Volete essere sani? Volete essere belli? Volete vivere fino a 120 anni con la fortuna ogni giorno al vostro fianco? Vi parla il prodigioso Chen Hao: cliccate qui per ottenere il segreto della eterna giovinezza». Accanto, c’è ancora la foto del fondatore in una cornice dorata. Dovrebbe ormai avere quasi sessant’anni. Ora Wenfeng, oltre alla scuola di acconciatura, ha un parco tecnologico dove ha iniziato ricerche sulle biotecnologie e sul segreto della longevità. L’ultima illusione.
(Traduzione di Lucia Regola)