Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  settembre 24 Sabato calendario

Il messaggio lasciato filtrare venerdì 23 attraverso Reuters è chiaro, anche se decisamente irrituale nella diplomazia europea: Banca Mps prenda in considerazione un piano di riserva per rassicurare mercato e regolatori sul processo di ristrutturazione in corso

Il messaggio lasciato filtrare venerdì 23 attraverso Reuters è chiaro, anche se decisamente irrituale nella diplomazia europea: Banca Mps prenda in considerazione un piano di riserva per rassicurare mercato e regolatori sul processo di ristrutturazione in corso. Non solo perché l’operazione di mercato orchestrata dagli advisor JP Morgan e Mediobanca è in ritardo sulla tabella di marcia e sconta un rischio di esecuzione tutt’altro che teorico ma anche perché, come riportato dall’agenzia MF DowJones, la Bce avrebbe accolto con perplessità il recente interventismo del governo sulle vicende senesi. E questo non per dubbi nei confronti del neo amministratore delegato Marco Morelli, che anzi ha incassato il placet del regolatore, quanto perché un’istituzione molto attenta al protocollo avrebbe letto l’improvviso cambio al vertice come un’interferenza dell’azionista pubblico. Da qui l’invito a prendere in considerazioni piani alternativi rispetto a quello oggi sul tavolo e formalmente già condiviso con l’Eurotower. «C’è chiaramente un rischio di esecuzione nell’aumento di capitale», spiegava a Reuters un funzionario europeo, aggiungendo che «una ricapitalizzazione cautelativa dello stato italiano» sarebbe probabilmente messa in opera una volta che i tentativi di raccogliere denaro fresco dal mercato si saranno conclusi. Se le dichiarazioni di fonti anonime lasciano il tempo che trovano, è indicativo che una chiara allusione al sostegno pubblico sia arrivata dal presidente dell’Eba, Andrea Enria: «Se gli aiuti di Stato possono essere parte della soluzione, se ne faccia uso. Le regole europee garantiscono un certo grado di flessibilità». Da Roma non è arrivato alcun commento ufficiale, anche se il governo sembra intenzionato a blindare per il momento la soluzione di mercato. Non solo per coerenza con le dichiarazioni rese negli ultimi mesi, ma anche perché l’annuncio di strategie di riserva depotenzierebbe agli occhi del mercato il piano oggi sul tavolo. Quel che è certo però è che oggi a Bruxelles una trattativa sugli aiuti di Stato potrebbe essere meno impegnativa rispetto a qualche mese fa. Se infatti la direttiva Brrd consente interventi pubblici nel settore bancario senza avviare la risoluzione, il problema finora è stato costituito dai veti dell’antitrust europeo. Nel luglio scorso, ad esempio, il confronto tra Roma e Bruxelles si arenò sul tema della ripartizione degli oneri (burden sharing), cioè sulla possibilità di scaricare i costi dell’operazione sugli obbligazionisti subordinati. Evidentemente in quell’occasione l’esecutivo valutò troppo rischiosa una manovra che, di fatto, riproponeva lo schema già applicato alle quattro banche. Oggi, però, il piano di conversione volontaria delle obbligazioni subordinare potrebbe capovolgere la situazione. Se infatti la conversione avvenisse al di sotto della pari, e dunque di fatto esprimesse già una perdita per i bondholder, il meccanismo potrebbe passare per una forma di burden sharing. Non è detto che una soluzione del genere sblocchi la trattativa con Bruxelles, ma fonti qualificate si dicono fiduciose in tal senso. In attesa che il governo decida se impegnarsi attivamente su una strategia di riserva, ferve il lavoro attorno al piano privato. Nei suoi primi giorni da amministratore delegato Morelli ha focalizzato l’attenzione su due temi: la definizione del piano industriale al quale ha già messo mano nel corso degli incontri con gli advisor e l’individuazione dei due o tre anchor investor da coinvolgere nel capitale nella banca. Le due operazioni dovrebbero procedere in parallelo proprio perché le nuove strategie saranno un elemento decisivo nella trattativa con i potenziali investitori, che chiederanno garanzie sul processo di ristrutturazione del Monte. Di certo l’auspicio della banca e degli advisor Jp Morgan e Mediobanca è che gli anchor investor possano coprire una quota consistente del deficit patrimoniale che emergerà con il deconsolidamento degli npl, presumibilmente tra 1,5 e 2 miliardi. Visto l’attuale assetto azionario del Monte e la difficoltà di individuare venditori, l’opzione più plausibile è che il deal si concretizzi attraverso un aumento di capitale riservato. Parallelamente procede la due diligence sui 27 miliardi di sofferenze lorde che la banca dovrà consolidare, mentre è iniziato proprio in queste settimane il lavoro sul prestito ponte da 6 miliardi. Il finanziamento servirà per l’acquisto delle senior notes, compensando così i lunghi tempi autorizzativi della Gacs, attesa entro la prima metà del 2017. In tempi rapidi sarà predisposto anche il veicolo di cartolarizzazione (la cosiddetta Sec.Co) finanziato attraverso 6 miliardi di senior notes da collocare sul mercato. Proprio per il forte legame che intercorre tra le due tappe, fonti finanziarie suggeriscono che cartolarizzazione e aumento potrebbero slittare entrambi all’inizio del 2016. Luca Gualtieri