Guido Rampoldi, Il Fatto Quotidiano 24/9/2016, 24 settembre 2016
ALTRO CHE VERITÀ SU REGENI: MEGLIO FROTTE DI TURISTI A SHARM
A otto mesi dalla sparizione di Giulio Regeni, adesso è chiaro che potevamo risparmiarci la commedia – le solenni promesse, le imperiose richieste, insomma la rumorosa pantomima dietro la quale un po’ tutti nascondevano la volontà di non pregiudicare le buone relazioni con al-Sisi. Garantivamo, Renzi in testa, che mai le preoccupazioni per i nostri affari ci avrebbero impedito di ‘pretendere’ (proprio quella la parola, ‘pretendere’) la verità; ed ecco il risultato: di verità neppure l’ombra, però in luglio l’italiana Saipem ha firmato un mega-contratto da 1.5 miliardi di dollari per lo sviluppo di Zohr, un gigantesco giacimento di gas in concessione a una joint-venture tra Eni e un’emanazione della giunta militare.
Ventilavamo ritorsioni pro-forma, quali inserire l’Egitto tra i Paesi a rischio nei quali la Farnesina sconsiglia il turismo; e invece è accaduto l’opposto: la settimana scorsa “Roma e Il Cairo hanno concordato 11 rotte aeree” tra le maggiori città italiane e Sharm-el- Sheikh (i voli cominciano in ottobre), come riportava il 21 settembre al-Ahram online, una voce ufficiale del regime, citando l’ambasciatore egiziano in Italia. Nel Sinai i vacanzieri italiani saranno i testimonial di al-Sisi, cui è necessario dimostrare al mondo di aver ripreso il controllo di quella penisola turbolenta e spento laggiù un terrorismo incline a massacrare turisti. Se poi non fosse vero, pazienza.
Ci mostravamo esigenti, inflessibili, adottavamo una mimica da media potenza al cospetto di uno staterello: macché, eravamo noi quelli che dovevano ballare alla musica altrui. Quando il Parlamento italiano decise una misura blanda, sospendere le forniture all’Egitto di pezzi di ricambio dei caccia F-35, il ministero degli Esteri egiziano subito ringhiò: “La collaborazione con l’Italia sulla situazione in Libia potrebbe vedere un declino considerevole”. E noi zitti, essendo probabilmente esatto quel che risulta a un osservatore egiziano, Abdul Sattar Hetieta: l’intelligence militare di al-Sisi ha un rapporto speciale con milizie e capi tribali in Libia, soprattutto nell’est, zona cruciale per la logistica Eni e per le partenze dei migranti verso l’Italia. Da qui le ‘pressioni’ esercitate dal Cairo su Roma.
Hetieta aggiunge che gli apparati egiziani intrattengono una relazione particolare con l’intelligence italiana. Se i nostri 007 hanno davvero tanta familiarità con gli spioni di al-Sisi, potrebbero conoscere da tempo i nomi di chi torturò e uccise Regeni. Ma forse non ci riteniamo abbastanza forti, o abbastanza coraggiosi, per permetterci la verità e mettere a rischio gli affari. Beninteso, non c’è da scandalizzarsi se le imprese italiane in Egitto, praticamente il gotha del capitalismo italiano, fingono di ignorare il profilo criminale del regime da cui ricevono appalti. Ma lo scandalo c’è se questo coacervo di interessi orienta il sistema dei media e, d’intesa con il governo, lo incarica di assecondare la normalizzazione dei rapporti con Il Cairo.
Per quanto impeccabile sia stata l’informazione prodotta da taluni cronisti giudiziari, taluni inviati, taluni media (per esempio Espresso e Manifesto) nel complesso il sistema è riuscito a rendere confusa una vicenda che nei tratti generali non lo è affatto, a mantenere in vita ipotesi convenienti e fantasiose sull’uccisione di Regeni, comunque a barricarsi dietro la madre di tutte le menzogne: il dogma per il quale al-Sisi sarà pure una carogna ma salva noi e l’Egitto dal terrorismo islamico (che equivale a sostenere che Assad è la salvezza della Siria). Se la ‘questione islamica’ fosse davvero il cuore della baraonda egiziana, Regeni sarebbe ancora vivo.
Invece ebbe la colpa di leggere quella crisi nei termini di un conflitto innanzitutto sociale, attraverso le categorie oggi indispensabili alla critica liberale e da tempo abbandonate dalla sinistra moderata. Quest’ultima le aveva praticate per decenni nella forma più ottusa: ma divenuta nel frattempo identitaria e républicaine, ora le considera una fonte di imbarazzo. Anche per questo la figura di Regeni disorienta. Per questo e per un’attenzione ai diritti umani che pare estranea al nostro Parlamento. Vale in proposito il silenzio dei partiti e del sistema televisivo sulle professioni di stima e di amicizia rivolte da Renzi ad al-Sisi quando l’egiziano era già noto per aver fatto massacrare 1150 dimostranti (uniche eccezioni, D’Alema ed Enrico Letta; e in tv, il programma di Riccardo Iacona). Eppure l’Italia non è solo questa miseria, c’è anche altro. C’è l’Italia di Giulio Regeni, sia pure sparsa. Forse da lì dovremmo ricominciare per fermare questo lento e mediocre precipitare.