Andrea Schianchi, La Gazzetta dello Sport 25/9/2016, 25 settembre 2016
VI RICORDATE IL SARRIA’?
Non è rimasto nulla. Nemmeno un cippo, una targa, una scritta, un segno. Lo zero assoluto, come quando si distrugge l’hard disk di un computer e tutti i «files», le «cartelle», le «gallerie» spariscono. Così, senza un luogo, senza una cattedrale nella quale andare a recitare le nostre laiche preghiere, spaesati e disorientati, ci chiediamo: ma tutto quello che ricordiamo è accaduto veramente? Non è che se lo sia inventato la nostra fantasia? E’ successo davvero che il 5 luglio del 1982 l’Italia ha battuto 3-2 il Brasile, ha conquistato la semifinale e poi ha infilzato prima la Polonia e poi la Germania Ovest? Perché, stando alle immagini di oggi, di quel posto non c’è traccia: se l’è portato via un quintale di tritolo, in un giorno di settembre del 1997, e i gol di Paolo «Pablito» Rossi sono spariti per sempre sotto le macerie. Adesso, dove noi ci siamo presi la gloria e dove abbiamo scoperto che gli eroi esistono davvero, c’è un parco, circondato da eleganti palazzi con le piscine sui tetti; ci sono due bambini che giocano a pallone senza sapere nulla di ciò che avvenne; c’è un signore che porta a spasso il cane mentre digita qualcosa sullo smartphone; e ci sono un ragazzo e una ragazza che si abbracciano, seduti sulla panchina, proprio come fecero tutti gli italiani, in quel tardo pomeriggio di trentacinque anni fa.
CALDO TORRIDO Zona alta di Barcellona, stadio Sarrià. Qui è cominciata la leggenda, e non importa che l’abbiano demolito, che abbiano venduto il terreno in nome di una speculazione edilizia, che non ci sia una targa «in ricordo». Non importa perché quel luogo è dentro di noi, è una memoria collettiva, appartiene al Paese intero, e ne parlano anche quelli che non hanno vissuto «dal vivo» quelle emozioni. Lo stadio Sarrià, per gli italiani, non è mai stato abbattuto, perché non si abbattono le case dei sogni. Lì, in mezzo al verde di quel parco, tra i vialetti, c’è ancora Pablito che guarda verso sinistra, il cross di Cabrini è perfetto e lui incorna nell’angolino della porta di Valdir Peres. 1-0! E’ presto, siamo al 5’ del primo tempo: la partita è lunga, molto lunga; il Brasile è forte, molto forte; e dentro questo catino del Sarrià fa caldo, molto caldo. Però ci siamo, i ragazzi di Bearzot ci sono: dobbiamo vincere a tutti i costi, non ci sono alternative, alla Seleçao invece va bene anche il pareggio. Ma i brasiliani mica ci pensano al pareggio, loro giocano sempre per divertirsi, per divertire e per vincere. E allora che vengano avanti, in mezzo a questi palazzi con le piscine sopra i tetti: li aspettiamo, guardinghi e rocciosi, Gentile si aggrappa alla maglia di Zico, ma stavolta non lo tiene, un passaggio che è una rasoiata, taglia in mezzo la difesa azzurra e Socrates si presenta davanti a Zoff. Il tiro, sul primo palo, non è irresistibile, però finisce in rete. 1-1! Tutto da rifare al 12’ del primo tempo. La temperatura sale, Bearzot mastica il bocchino della pipa, agita le mani. Accanto a lui, Cesare Maldini: elegante in giacca chiara e cravatta. Bruno Conti è un funambolo, lo trovi a destra, poi a sinistra, sempre con il pallone incollato ai piedi. Abbiamo battuto l’Argentina, possiamo farcela anche contro il Brasile nonostante tutti ci diano per spacciati. Quello del Sarrià lo hanno definito il Gruppo della Morte: noi, l’Argentina e il Brasile.
TUTTO VEROEcco, adesso Cerezo sbaglia il passaggio, Junior non interviene e Pablito, ancora lui, se ne va dritto in porta: tiro, gol! 2-1! Dai palazzi che circondano i Jardins del Campo de Sarrià si sentono ancora oggi le grida di stupore della gente: l’Italia sta battendo il Brasile? Non prendermi in giro, non ci credo... Credeteci, invece: è tutto vero. Si va all’intervallo sul risultato di 2-1 per noi, e adesso sì che ci vuole una birra ghiacciata. Mentre Bearzot parla ai suoi ragazzi nello spogliatoio, noi guardiamo fuori dallo stadio. Ci sono comitive di studenti italiani portati qui dai loro professori. Ogni giorno fanno la fila davanti ai portoni di queste case e ogni giorno chiedono se è davvero questo il posto dove... Sì, è proprio qui: questo è lo stadio Sarrià. E ora si sta giocando il secondo tempo, il Brasile attacca e noi ci difendiamo con i denti. I minuti non passano mai, Gentile ringhia, Oriali pure, Bergomi, che è appena entrato al posto di Collovati e ha soltanto diciotto anni, sembra un veterano. Però sono fantastici, Zico e Falcao, Socrates e Cerezo, Eder e Junior: il pallone canta nei loro piedi. E quando arriva a Falcao, ecco che tutti i nostri si spostano e lui piazza un tiro che fa secco Zoff. 2-2! I tifosi brasiliani esultano, si sentono le urla provenire dalle strade, la grande paura è svanita. Invece non è finito un bel niente, Pablito è ancora lì in agguato e piazza il colpo: 3-2! Siamo al 29’ del secondo tempo. Ora non resta che sperano che l’orologio dell’arbitro Klein corra veloce. Ormai ci siamo, Zoff blocca sulla linea un colpo di testa di Oscar, Bearzot si dimena in panchina, è finita, è finita! Siamo in semifinale. Sulle tribune i giornalisti battono furiosamente sui tasti delle macchine da scrivere, e pazienza se dovranno recitare il «mea culpa» perché non hanno mai creduto in questa squadra e l’hanno sempre criticata, ai limiti dell’offesa. Oggi racconteranno un’altra storia, diranno quant’è bello essere italiani, quant’è bravo Rossi, quant’è saggio Bearzot, e via così: è la stampa, bellezza. Il tramonto cala sul Sarrià, le ombre si allungano sui vialetti dei giardini. Riapriamo gli occhi. Ci sono ancora i bambini che giocano a pallone, e c’è il signore che digita sullo smartphone. Sta mandando un sms a un amico: gli sta scrivendo che oggi ha visto una partita meravigliosa, Italia-Brasile 3-2.