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 2016  settembre 24 Sabato calendario

«NASCONDETE LA BOSCHI»

Adesso che l’Italicum non ha più padri, tutti scappati senza pudore, sul campo resta tristemente solo la madre della ripudiata legge elettorale. La mamma e la zia, per essere più precisi, rispettivamente la ministra Maria Elena Boschi e l’ex dalemiana di rango Anna Finocchiaro. In questi giorni di fervido, intenso, appassionante dibattito post-Italicum non c’è una riga delle due in merito, neanche una misera apparizione televisiva. Soprattutto della prima, l’ex Madonna del renzismo rampante.
Ormai, nel giglio magico nessuno fa più mistero della suprema direttiva di Palazzo Chigi: “Nascondete la Boschi”. Dove per Palazzo Chigi è da intendersi sia il premier, sia il suo factotum prediletto, Luca Lotti. Raccontano un paio di deputati del Pd: “Il problema è che anche Lotti, spietato killer del premier, non trova le parole giuste per dirlo a Maria Elena”. E così si argina, si tampona alla meno peggio. Magari mandando la ministra a fare la campagna per il Sì al referendum dall’altra parte del mondo, in Argentina lunedì prossimo, con la speranza che almeno laggiù, tra gli italiani che votano all’estero, nessuno conosca i risvolti imbarazzanti dello scandalo Etruria. Perché il crepuscolo precoce di “Maria Elena” è cominciato nel preciso momento in cui è esplosa la bomba delle banche, coinvolgendo l’amato padre Pier Luigi, già vicepresidente di Etruria. Al netto di inchieste e ispezioni, accuse e smentite, polemiche e veleni, ci sono scandali che marchiano a morte le carriere dei politici. Come successo per Fini e la casa di Montecarlo o per Scajola e l’appartamento a sua insaputa al Colosseo.
La parabola di Boschi nell’opinione pubblica è diventata discendente da allora, sancita pure dai sondaggi estivi sul gradimento dei ministri renziani: Boschi, titolare delle fatidiche Riforme, è ultima insieme alle colleghe Madia e Giannini, fra le più impopolari per non dire impresentabili. Il resto lo ha fatto il combinato disposto, è il caso di dire, con il referendum e l’Italicum. Da agosto a oggi, alle feste dell’Unità, la ministra è stata contestata ovunque: a Milano, a Bologna, in provincia di Pistoia. E un’altra manifestazione contro di lei è prevista domenica prossima a Laterina, il paesino dell’Aretino dove abita con la famiglia: ancora una volta i truffati di Etruria e non solo si raduneranno nel segno di quel decreto salva-banche diventato un giallo per l’assenza di Boschi al Consiglio dei ministri che lo varò, evidente ammissione di un lampante conflitto d’interessi.
Scrupolosi esegeti della comunicazione renziana fanno poi notare come contro Massimo D’Alema, in ben due occasioni, sono stati designati altri volti renziani: il ministro Paolo Gentiloni e Roberto Giachetti, candidato sindaco di Roma sconfitto da Virginia Raggi. In compenso, Boschi l’altra sera è stata a Viterbo per una rassicurante apparizione nel feudo di Beppe Fioroni. Ecco, a quello che doveva essere il fulgido volto principe della campagna per il Sì viene riservato un trattamento da seconda se non terza fila del Pd. Spiega un’altra fonte democrat: “La Boschi non può più reggere un confronto di primissima fascia, che succede se D’Alema o Travaglio, alfieri del No, tirano in mezzo il papà Pier Luigi?”.
Non solo. Tra gli effetti collaterali della scelta della Consulta di rinviare a dopo il referendum la sentenza sull’Italicum, ce n’è uno che riguarda proprio la Boschi. Questo, secondo un costituzionalista alla convention dalemiana del 5 settembre: “Una sentenza di bocciatura durante la campagna referendaria avrebbe implicato le dimissioni di chi ha messo nome e fiducia sulla legge elettorale”. Ossia, la povera Boschi. Il suo nome, a vari livelli, è sempre più sinonimo di crisi. Con un’avvertenza, dicono dal Nazareno: “Matteo non si può sbarazzare di lei come ha fatto con Reggi o la Bonafè”. Appunto.