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 2016  settembre 23 Venerdì calendario

ANDREA DORIA LE VERITÀ RIEMERSE


Pierette Domenica Simpson la notte del 25 luglio 1956 era una bambina di 9 anni, si chiamava Piera, viaggiava in compagnia dei nonni materni a bordo dell’Andrea Doria, il transatlantico conosciuto come «la nave più bella del mondo». Alle 23.10, al largo dell’isolotto di Nantucket, 190 miglia dal porto di New York dove era atteso la mattina del 26, il liner italiano venne speronato dalla nave svedese Stockholm che procedeva in direzione opposta, verso Göteborg. Le rotte delle due navi si erano incrociate fino all’urto fatale, mentre l’orchestra di bordo del Doria suonava Arrivederci Roma.
La notte era tranquilla, il mare calmo, ma la nebbia fittissima stava per giocare il suo tiro mortale. Dall’inchiesta italiana – resa nota soltanto dopo mezzo secolo – emergeranno gli errori commessi sulla plancia dello Stockholm dal terzo ufficiale, Johan Ernst Carstens-Johannsen, un giovane di appena 24 anni. Sbagliò a leggere le indicazioni del radar e fece compiere alla sua nave una imprevedibile accostata a sinistra che la condusse a speronare il Doria con un angolo di quasi 90 gradi. La prua, rinforzata per rompere i ghiacci, aprì uno squarcio enorme nello scafo del liner italiano. La collisione provocò 52 vittime, 46 a bordo del Doria e 6 sullo Stockholm. Tutti gli altri, 1.660 persone tra passeggeri e equipaggi, furono tratti in salvo.
Piera si trovava con la nonna nel salone della nave e stava ballando. Il nonno si era ritirato in cabina. Ricorda perfettamente le urla dei passeggeri atterriti, la corsa verso le scialuppe di salvataggio, gli uomini dell’equipaggio che la calavano in mare, la lancia che la condusse sotto la murata dell’Île de France, il transatlantico francese accorso con altre unità in aiuto del Doria. «La cosa più difficile» racconta Pierette, «fu risalire a bordo dell’Île de France arrampicandosi sulle biscagline di corda calate sulla fiancata. Venimmo soccorse e ristorate. La mattina dopo arrivammo a New York. Trovammo ad attenderci il mio patrigno e la mia prozia. Volammo in aereo a Detroit e riabbracciai mia madre, Vivian, partita anni prima per gli Stati Uniti, lasciandomi con i nonni a Pranzalito». Il Doria colò a picco undici ore dopo la collisione.
Le inchieste seguite al disastro avevano addossato la colpa al comandante del Doria, Piero Calamai, 59 anni, genovese, veterano del mare e pluridecorato di guerra. Nel 2006 Pierette Simpson ha scritto un libro, L’ultima notte dell’Andrea Doria (Sperling & Kupfer), in cui prese le difese di Calamai e dei marinai italiani. Nel sessantesimo anniversario del naufragio, ha finanziato un docufilm, proiettato a Genova il 25 luglio scorso, che racconta la sua storia di bambina emigrante, figlia di una ragazza-madre, scampata alla morte in mare. E riabilita la memoria di Calamai e la reputazione dei marinai della nave italiana che la campagna di stampa sui giornali americani, abilmente orchestrata dagli armatori svedesi dello Stockholm, aveva addirittura accusato di codardia. Calamai era in plancia al momento dell’urto, mentre il collega svedese, il capitano Nordenson, dormiva nella sua cabina. Calamai impartì ordini appropriati e soltanto per pochi secondi il Doria non riuscì a evitare la collisione. Avrebbe voluto affondare con la sua nave, le insistenze del suo stato maggiore lo convinsero ad abbandonarla un attimo prima che colasse a picco. L’equipaggio si prodigò, con pochissime eccezioni, con perizia, coraggio e senso del dovere per mettere in salvo i passeggeri. E ci riuscì: 1.088 passeggeri e 571 membri dell’equipaggio raggiunsero sani e salvi il porto di New York. Fu la più grande e meglio condotta operazione di salvataggio in mare dei tempi moderni.
Nel volume documentatissimo Assolvete l’Andrea Doria (Longanesi, 2006), il giornalista Fabio Pozzo svela le conclusioni dell’inchiesta italiana, tenute segrete per 50 anni: l’urto «non può essere attribuibile a caso fortuito o di forza maggiore», ed è stato essenzialmente determinato «dalla condotta del terzo ufficiale dello Stockholm, Ernst Carstens-Johannsen». «Date le circostanze si può dire che nella gravità del momento lo stato maggiore del Doria, sia pure con iniziative che avrebbero potuto essere coordinate in modo migliore, ha fatto del suo meglio nel tentativo di salvare la nave».
«È tempo che si conosca la verità dei fatti» dice dalla sua casa di Detroit Pierette Simpson. «Credo che sia un mio preciso dovere riabilitare la figura del comandante Calamai, un gentiluomo che pagò per colpe non sue. Il docu-film è anche un atto di giustizia verso i marinai del Doria. Ero a bordo e posso attestarlo con certezza: fecero il proprio dovere per salvarci». Calamai ebbe la carriera stroncata e non ricevette più alcun comando. Venne messo in pensione e dimenticato. Morì nel 1972.
A difenderne la memoria sono rimaste le figlie, Silvia e Marina, e le nipoti. E ora il docufilm Andrea Doria. I passeggeri sono in salvo?. Il titolo, evocativo, riprende le parole che il comandante Calamai rivolse ai suoi ufficiali. Lo ha girato il regista salernitano Luca Guardabascio, con un cast internazionale e una folta rappresentanza di abitanti del borgo di Pranzalito, nel Canavese, dove Piera-Pierette visse la sua prima infanzia. L’attore Fabio Mazzari (l’Alfio Gherardi di Vivere) interpreta Calamai, Lucia Bendia (Un posto al sole) è Pierette a trent’anni, Francesca Cimieri Piera bambina.
Dopo l’anteprima genovese, il 29 settembre il docufilm sarà proiettato ad Eboli e inaugurerà il Salerno Film Festival. Negli Usa sarà invece presentato il 6 ottobre al Detroit Institute of Arts e successivamente in altre sedici città.
Guadabascio è però già al lavoro per girare un film sull’Andrea Doria, coprodotto con gli Stati Uniti, dove il ricordo del liner italiano è ancora vivo. Andrea Doria, la verità nascosta (questo il titolo) dovrebbe entrare in produzione nell’estate del 2017 e sarà girato tra Italia e America. Con la sceneggiatura scritta da Guardabascio e da Pierette Simpson, il film ricostruisce la vicenda del Doria partendo dalla protagonista, professoressa di italiano alla Detroit High School. Rimasta vedova, Pierette incontra un’altra superstite del naufragio, Germaine Strobel, con la quale si getta alla ricerca della verità. «Il budget previsto si aggira sui 20milioni di dollari» dice il regista, «e contiamo anche di ricavarne una miniserie tv da vendere alle reti americane». Il cast? «Alcuni nomi sono già sicuri: Iaia Forte, Enzo De Caro, Lidia Vitale, Francesco Apolloni, Giordano Petri, Lucia Bendia, Valerio Massimo Manfredi, Fabio Testi, Jerry Calà, Eva Evola, Fabio Mazzari e, spero, Corrado Tedeschi. Gli attori americani saranno Vincent Spano, Don Most e Paul Sorvino. Mi piacerebbe avere Stanley Tucci, David Strathairn o George Clooney nel ruolo del protagonista, il capitano Calamai, che vedo come un eroe shakespeariano in lotta contro i propri fantasmi. E Susan Sarandon è il mio sogno per il ruolo di Vivian, la madre di Pierette».
La leggenda del Doria non si è spenta neppure in Italia. A ottobre il Mu.Ma Galata Museo del mare di Genova gli dedicherà una mostra dal titolo T/n Andrea Doria. La nave più bella del mondo. Il transatlantico era veramente splendido con la sua linea filante e elegantissima, ed era inoltre un museo galleggiante che ospitava opere di artisti come Salvatore Fiume, Lucio Fontana, Emanuele Luzzati.
Spiega il direttore di Mu.Ma e Galata Museo del mare, Pierangelo Campodonico (suo padre Giuseppe era di vedetta sul transatlantico la notte dell’affondamento): «Esporremo il modellino restaurato della nave e documenti, fotografie, filmati tratti dal Fondo Scotto e dalla Fondazione Ansaldo. Chiediamo a chiunque possegga reperti legati all’Andrea Doria di prestarceli. Stiamo organizzando un incontro fra il ministro Calenda, in rappresentanza dello Stato, e i superstiti. Una stretta di mano sarà il modo per ringraziare quei marinai ingiustamente accusati, i quali compirono anche atti di eroismo».
Lo Stockholm invece naviga ancora. Ribattezzato Astoria, è diventato una piccola nave da crociera che a settembre ha fatto scalo a Genova, ormeggiando a Ponte dei Mille, proprio dove salpò l’Andrea Doria per il suo ultimo viaggio.
Renzo Parodi