Vito Tartamella, Focus 10/2016, 23 settembre 2016
FOGNE D’ORO
Quando azioniamo lo sciacquone, facciamo la doccia o laviamo il bucato, non ci facciamo nemmeno caso. Quei liquami (ne produciamo 200 l al giorno a testa) spariscono negli scarichi e non ce ne preoccupiamo più. Eppure, dovremmo essere grati alle fogne, una tecnologia a torto sminuita: ci ha regalato 5 dei 35 anni di vita in più guadagnati nell’ultimo secolo grazie ai progressi scientifici. E ora, dopo aver tolto fanghi, puzza ed epidemie dalle città, le fogne sono pronte a una nuova rivoluzione: controlleranno le malattie, e ci forniranno materiali preziosi come biocarburanti, fertilizzanti e cellulosa. Insomma, dopo aver causato per millenni morti e malattie, ora le acque nere diventano una miniera di risorse.
CHECK-UP IN DIRETTA. I sistemi di scarico – un mondo intricato e repellente che sta 2 metri sotto l’asfalto – hanno un fascino ambiguo. Tanto che il tour guidato nelle fogne di Parigi, il Musée des Egouts, attira oltre 100mila visitatori l’anno. Uno di questi è lo statunitense Steve Duncan, che ne ha esplorate una dozzina, da New York a Mosca, Roma e Napoli. Perché? «Ispirano un rispetto profondo: fanno capire come funziona una città». Anzi, ne rivelano i segreti: per esempio, il consumo di droga. Dal 2005 i ricercatori dell’Istituto Mario Negri di Milano hanno escogitato un sistema per monitorare l’uso di stupefacenti: identificarne la presenza nei residui metabolici (espulsi con le urine) usando un dispositivo elettronico, lo spettrometro di massa, nelle acque reflue. Ora la tecnica è stata estesa a 19 città europee e 17 italiane. Risultato: Finlandia e Norvegia hanno il più alto consumo di amfetamine; Paesi Bassi e Belgio hanno i record di consumi di tutte le altre droghe (eroina, cocaina, marijuana). In Italia, Roma è in testa per tutte le droghe; Napoli primeggia per cocaina, Merano per cannabis, Perugia per eroina e per amfetamine, insieme a Milano.
Nel frattempo Carlo Ratti, direttore del Senseable City Lab al Mit di Boston, ha deciso di allargare il check-up ideando “Underworlds”, una piattaforma di analisi biochimica delle fogne: potrà monitorare il diffondersi di malattie in tempo reale. Il progetto è stato finanziato con 4 milioni di dollari dalla Fondazione scientifica del Kuwait.
Del resto, già dagli anni ’40 l’Oms controlla i focolai di poliomielite studiando le acque nere in India, Brasile e Israele.
CLOACA MASSIMA. Per arrivare a questi risultati, il cammino è stato però lungo e tortuoso. «Il più antico sistema di drenaggio delle acque reflue risale al Neolitico», racconta Giovanni De Feo, docente di Ecologia industriale all’Università di Salerno. «L’insediamento di El Kown, in Siria (6500 a.C.), era già dotato di canali per allontanare le acque di scarico. Sistemi analoghi sono stati trovati in Iraq, Scozia, Cina. Nel palazzo di Cnosso a Creta è stato trovato il primo wc con sciacquone della storia».
Ma la svolta fu a Roma: la prima metropoli di tutti i tempi (1 milione di abitanti) era collegata a 11 acquedotti, che garantivano a ogni cittadino 1.000 litri di acqua al giorno, quasi il quadruplo di oggi. Merito delle pendenze dei colli romani e soprattutto dei km di tunnel, gallerie, sifoni che trasportavano l’acqua ovunque. Dando vita a un gioiello d’ingegneria attivo ancor oggi: la Cloaca Massima, nata come canale di drenaggio delle acque paludose alimentate dalle piene del Tevere, e poi divenuto il collettore delle acque di scarico. Così, osserva Lorenzo Pinna in Autoritratto dell’immondizia (Boringhieri), «a differenza di altre civiltà, i Romani costruirono prima le fogne e poi gli acquedotti, mentre le altre consideravano le fogne superflue. Uno dei segreti del loro successo fu anche questo: erano più protetti dalle epidemie».
URINA IN TINTORIA. L’allacciamento alle fogne, però, era un lusso per ricchi. Tutti gli altri dovevano andare nelle latrine pubbliche o usare un vaso da notte, il cui contenuto veniva svuotato nella fogna più vicina (o gettato dalla finestra) e raccolto dagli stercorarii, che lo rivendevano come concime. Mentre le tintorie tenevano all’ingresso gli orci per l’urina, usata per sgrassare gli abiti. Per secoli, il sistema fognario è rimasto così: le strade delle città avevano canali di scolo a cielo aperto, dove finivano le acque piovane e il sangue degli animali macellati. Galline, cani, gatti facevano i loro bisogni ovunque, e si camminava nella melma.
E ancora oggi, denuncia l’Unicef, 2,4 miliardi di persone (un terzo dei terrestri) non hanno servizi igienico-sanitari adeguati: defecano all’aperto, e usano latrine comuni o non hanno fogne, soprattutto nel Sud-est Asiatico e in Africa. Risultato: ogni 3 minuti un bambino muore per diarrea dovuta ad acqua contaminata.
L’ACQUA DI GATES. Ecco perché la Fondazione Bill & Melinda Gates ha messo in palio 370 milioni di dollari a quanti inventeranno un sistema fognario a basso costo per i Paesi in via di sviluppo: oggi, costruire 1 km di fognature costa da 200mila a 2 milioni di euro. L’anno scorso Gates si è fatto fotografare soddisfatto mentre beveva un bicchiere d’acqua depurata da “Omniprocessor”, un mini impianto (creato da una società di Seattle) che in 5 minuti trasforma le feci in energia elettrica e acqua potabile.
E se l’emergenza malattie stimola oggi la ricerca per i Paesi poveri, dobbiamo invece alla... puzza i progressi nella depurazione, avvenuti negli ultimi 150 anni. Nell’800, le capitali europee erano cresciute per l’immigrazione dovuta alla rivoluzione industriale. E la mancanza di una rete fognaria aveva fatto strage a Londra, dov’era arrivato il colera. Le autorità si mossero solo nell’estate 1858, quando un’ondata di caldo trasformò il Tamigi in una fogna a cielo aperto. A Westminster, nelle aule del Parlamento, il fetore era tale che i deputati approvarono in pochi giorni il piano di bonifica preparato dall’ingegnere Joseph Bazalgette. Prevedeva di convogliare i liquami di Londra in condutture stagne per portarli lontano dalla città eliminandone il tanfo. All’epoca, infatti, si credeva che il contagio avvenisse per via aerea, tramite “particelle appiccicose” prodotte dalle puzze. I lavori durarono quasi 20 anni. E subito la imitò Parigi, dove Napoleone III fece costruire, sotto nuovi viali larghi e ariosi, un sistema fognario progettato da Eugène Belgrand.
ITALIA NERA. E sarebbe potuta migliorare anche Napoli, che nel 1885 re Umberto I, preoccupato dal colera, decise di risanare: ma fra corruzione, materiali scadenti e lavori coordinati da incompetenti, il progetto naufragò. E ancora oggi se ne pagano le conseguenze: l’Italia, infatti, depura solo il 79% delle acque fognarie; il resto, soprattutto al Sud, finisce a mare. Un boomerang per un Paese che potrebbe vivere di turismo balneare, e che in più rischia di pagare 250 milioni di € l’anno in sanzioni europee. Le città non a norma sono oltre un migliaio e la metà è in Sicilia. Ma anche regioni insospettabili (Lombardia, Friuli, Liguria) sono nella lista nera. Fra i Comuni fuorilegge, denuncia Utilitalia, ci sono Imperia, Napoli, Reggio Calabria, Agrigento, Messina, Santa Margherita Ligure, Capri, Ischia, Cefalù. Eppure, 3,2 miliardi di € sono stati stanziati per quasi 900 opere, ma le gare non sono state nemmeno avviate: i sindaci non vogliono aumentare le tariffe dell’acqua (peraltro fra le più basse d’Europa) per cofinanziare i lavori.
ALLAGAMENTI. Ma i problemi del nostro Paese, aggiunge Alessandro Paoletti (già presidente del Centro studi di idraulica urbana al Politecnico di Milano), non finiscono qui: «Oltre agli impianti mancanti, quelli esistenti hanno manutenzione carente. E poi c’è il capitolo delle acque piovane: l’edificazione selvaggia, in zone alluvionali, unita al cambio climatico che produce precipitazioni forti e concentrate, provoca allagamenti in molte città, da Milano a Genova. Perché fogne e depuratori non riescono a trattare tutte queste acque. Occorrerebbe costruire vasche di prima pioggia, dove stivare l’acqua in eccesso, per poi mandarla ai depuratori. Ma sono opere costose».
RIMINI ALLA RISCOSSA. In questo panorama fa eccezione Rimini. Per decenni scaricava a mare le acque nere che, in caso di pioggia, il depuratore non riusciva a trattare. Ora il Comune e il gruppo Hera hanno avviato i lavori per potenziare il depuratore e costruire 45 km di nuove condotte fognarie. Un investimento da 154 milioni di euro, che terminerà nel 2020 con zero scarichi a mare e la soddisfazione dei bagnanti. Già ora gli impianti sono azionati da una centrale di telecontrollo a Forlì: davanti a un monitor di 60 m², simile alle centrali di controllo missione della Nasa, gli operatori possono aprire o chiudere tubature, paratie e vasche di 18.400 km di reti fognarie e 246 depuratori in tutta l’Emilia-Romagna con un semplice clic del mouse.
Il depuratore rinnovato di Rimini è ora l’impianto a membrane più grande d’Europa: «Le membrane», spiega Massimo Vienna, responsabile progetti di Hera, «funzionano come mini cannucce. Hanno fori dal diametro di 0,04 micron: sono 1.700 volte più sottili di un capello, e riescono a trattenere anche virus e diversi batteri. Sono più efficaci nel rimuovere gli inquinanti, occupano meno spazio e producono meno fanghi».
IL PESO DEI FARMACI. Per ripulire le acque nei depuratori, da un secolo si usano alcuni batteri che digeriscono gli inquinanti trasformandoli in fango, acqua e gas. Ma anche le più avanzate tecnologie non riescono a smaltire alcuni farmaci e cosmetici, che, quindi, finiscono nell’ambiente: solo nel Po si versano ogni anno 2,5 tonnellate di medicinali. L’allarme è lanciato dall’Istituto Mario Negri: «Nelle acque reflue finiscono scarti industriali come i perfluorinati, usati nelle vernici e nei cosmetici: sono cancerogeni», avverte Sara Castiglioni, capo dell’Unità biomarkers ambientali. «E alcune famiglie di antibiotici, come la ciprofloxacina e la claritromicina, restano nei fanghi dei depuratori e tornano in circolo attraverso i concimi: anche così aumenta la resistenza agli antibiotici. La soluzione? L’ozonazione è più efficace nel degradare queste sostanze, ma fa lievitare i costi dei trattamenti. Meglio educare le persone a non smaltire i farmaci negli scarichi di casa. E invitare i medici a prescrivere antibiotici con minore impatto ambientale».
Un’alternativa potrebbe essere iniziare la depurazione già nei condomini. L’Istituto svizzero di idrologia (Eawag) ha ideato un sistema di scarichi domestici diviso in 3 linee separate: urina, doccia e bucato, feci. Il 70% delle sostanze che vanno rimosse dai liquami arriva dalle urine, che rappresentano appena l’l% del volume delle acque reflue. Basterebbe separare l’urina a monte per consumare meno energia nei depuratori.
E proprio da un cambio di prospettiva potrebbe arrivare un’altra rivoluzione. «Perché spendere tempo e soldi per eliminare dalle acque reflue molte sostanze che potrebbero invece essere riutilizzate?», dice Willy Verstraete, microbiologo dell’Università di Gand (Belgio). «Tutti pensano che, siccome l’acqua ha avuto contatto con le feci, allora è da buttare. Invece i reflui sono pieni di risorse».
MINIERE. Così è nato un filone di ricerche culminate, quest’anno, nel progetto Smart-Plant: finanziato dall’Ue con 9,6 milioni di €, mira a recuperare, nei depuratori, 7 kg di cellulosa, 4 kg di biopolimeri o 13 m³ di metano, 1 kg di fosforo e 4 kg di azoto annui per ogni cittadino. In questo progetto l’Italia è capofila: il coordinatore è Francesco Fatone del dipartimento Biotecnologie dell’Università di Verona. «Nel depuratore di Carbonera (Tv), recupereremo fosforo e polimeri», dice. «Il segreto è aumentare, nelle vasche, i batteri capaci di sintetizzare queste sostanze. Il fosforo è un componente essenziale dei concimi e dei mangimi animali: per ottenerlo dobbiamo estrarlo da miniere che si stanno esaurendo. Ora invece potremo recuperarlo dalle fogne insieme alla plastica, senza dipendere dal petrolio. L’unico ostacolo è culturale: l’Italia riesce a estrarre il fosforo dai depuratori sotto forma di struvite (un cristallo) già dal 2004. Ma per mancanza di regolamenti nazionali, si era costretti a gettarla come rifiuto. Ora contiamo di validare questi processi su scala industriale entro il 2020». Insomma, nei riguardi delle fogne è arrivato il momento di passare dal ribrezzo al rispetto.
Vito Tartamella