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 2016  settembre 23 Venerdì calendario

NEL FAR WEST DEL NIGER I DISPERATI CERCANO L’ORO


Niger settentrionale, oltre Agadez, oltre lo spettacolare massiccio dell’Aïr, centinaia di chilometri ancora più a nord, in pieno Sahara. In questa terra fuori dal mondo si arriva soltanto accodandosi a saltuari convogli militari che proteggono da eventuali incursioni jihadiste, o quasi per sbaglio, a bordo di camion gremiti all’inverosimile di migranti in rotta verso il Mediterraneo. Eppure proprio qui, dove l’acqua è un sogno e le oasi troppo distanti per offrire sollievo, circa due anni fa sono sorte le città dell’oro.
Un paio di vasti insediamenti, nell’altopiano di Djado e attorno all’antico sito di Tshibara Katene, il primo verso il confine con la Libia, l’altro quasi sulla frontiera con l’Algeria, estesi per decine di chilometri come meteore frastagliate di un’umanità che ha scelto il nomadismo, e l’avventura estrema, per inseguire la sua prospettiva di benessere. Uomini di varie nazionalità africane, tra cui molti touareg, hanno lasciato metropoli e villaggi, partiti alla rincorsa del prezioso metallo. Per questo oro non esistono concessioni regolari. Ognuno sbarca e occupa liberamente un lembo di deserto. Setacciare sabbia è un processo lento, laborioso, frutta poco; se ne vendono interi sacchi a basso costo. Meglio, per la maggior parte di questi cercatori di fortuna, scavare in profondità, sperando prima o poi d’imbattersi in una vena aurifera, che arricchisce in fretta, o almeno in qualche grossa, isolata pepita.
Intanto trascorrono settimane, mesi, a volte anni lontani da abitudini civili e dalle famiglie, dalla cucina di una madre o di una moglie, e soprattutto dall’acqua, che giunge da molto lontano in bidoni venduti a caro prezzo, e viene consumata a gocce. Per dormire si montano tende o si scavano semplici buche, simili a tombe. È la soluzione più pratica e sbrigativa contro il freddo e il vento: uomini coriacei come arbusti stagionati alle intemperie vi si stendono dentro, coi loro volti coperti di sabbia, le teste avvolte in voluminosi turbanti. In queste città non esiste un centro; l’unico spazio condiviso sono le baracche improvvisate del mercato dove procurarsi lo stretto necessario, ma anche, sorprendentemente, qualche lusso, ammesso che si disponga del metallo per pagarli. La moneta corrente, infatti, qui è scomparsa. Polvere, come tutto il resto. Si compra direttamente in oro. Una virgola, come si dice, vale un pacchetto di sigarette. Con un chilo e mezzo si può acquistare una Toyota nuova di zecca, 4x4.
Il governo nigerino tollera. Esigere dazi o regolamentare in qualche modo il flusso spontaneo verso gli insediamenti comporterebbe il rischio di disordini. Quel che è già accaduto con l’uranio, cioè la vendita di gigantesche concessioni al colosso francese Areva con una distribuzione pressoché nulla dei proventi tra la popolazione locale e un pesante inquinamento ambientale, è un precedente la cui replica non sarebbe facilmente sopportata. Fomenterebbe una rivolta, specie tra i fieri e irascibili touareg. Una via di fuga, una speranza di guadagno, per quanto ardue e a costi umani altissimi, servono a conservare al potere una casta di leader che ingrassa in mezzo a una popolazione disperatamente immiserita.