Marco Travaglio, Il Fatto Quotidiano 21/9/2016, 21 settembre 2016
TIRITIRITU?
L’unica cosa chiara dell’accrocco Italicum-riforma costituzionale è che non si capisce nulla. Tant’è che partiti e giornali si dividono sull’interpretazione del rinvio della Consulta sull’Italicum: per alcuni è un favore a Renzi, per altri un dispetto. Il bello è che non lo sa neanche Renzi, il quale si sta dibattendo tra le due opposte letture: “Sarà meglio o peggio per me?”. Ha preso così tante posizioni sulla legge elettorale che il Kamasutra, al confronto, pare la bibbia del Family Day. E non sa più che pesci pigliare. Fino a un paio di mesi fa, l’Italicum era la linea del Piave, l’ultima trincea, la più bella legge elettorale del mondo, quella che tutti gli altri, poveretti, ci invidiavano. Poi qualcuno che ci capisce (uno a caso: Napolitano, o chi per esso) lo ha preso da parte e gli ha spiegato una cosetta: se la partita delle prossime elezioni si chiude col ballottaggio tra il primo e il secondo partito, come prevede l’Italicum, e cioè tra Pd e 5Stelle, vincono i 5Stelle. Come in tutti i ballottaggi col Pd alle ultime Amministrative. Motivo: tra gli elettori del centrodestra esclusi dal secondo turno e intenzionati a votare comunque, prevale la voglia di punire lui e dunque di premiare il M5S. Ecco il nobile motivo ideale che ha convinto i padroni del vapore e i sottostanti giornaloni a scoprire di botto che l’Italicum non è più la panacea di tutti i mali, ma un mostro antidemocratico.
Era la panacea quando fu inventato nell’ultima versione, all’indomani delle Europee del 2014, quelle del Pd al 40,8%. E lì, guarda un po’, nacque l’idea della soglia del 40% per aggiudicarsi il premio di maggioranza: così il Pd, che Renzi già vedeva veleggiare verso il 50% dei voti, avrebbe vinto al primo turno, incassando l’intera posta senza il rischio di un ballottaggio che avrebbe consentito ai 5Stelle (ridotti allora al 22%) o al centrodestra (sul 25% tutto insieme) di incamerare i voti del terzo escluso. Poi però, anziché volare verso il 50%, Renzi ha trascinato il Pd nel gorgo delle sue bugie: ora i sondaggi lo danno sul 30, alla pari del M5S e delle destre (sempreché si presentino compatte in un listone elettorale da sciogliere l’indomani). A quel punto le elezioni si risolverebbero al ballottaggio e si ripeterebbe lo schema delle ultime Comunali: il Pd magari vince il primo turno, ma ben lontano dal 40%, dunque deve affrontare i “grillini” al secondo, e lì resta fermo dov’è, mentre quelli imbarcano voti dai due fronti esclusi: destra e sinistra radicale. E vincono. Perciò Renzi annuncia, con l’aria magnanima di chi si vuole rovinare per il bene altrui, che è pronto a modificare l’Italicum.
Ma l’annuncio scalda i cuori soltanto di mezzo centrodestra (che vuole il premio alla coalizione, non al partito) e della sinistra Pd, che se non cambia l’Italicum vota No al referendum costituzionale. E i 5Stelle stanno a guardare, in attesa che il Pd si trasformi nel solito mattatoio. Tantopiù che in Parlamento una maggioranza contro l’Italicum oggi c’è (Pd più centrodestra), ma una maggioranza concorde sulla nuova legge che dovrebbe sostituirlo non esiste: ciascuno ha in mente la sua, la più comoda per il proprio orticello. Quindi Renzi vorrebbe cambiare l’Italicum, ma non sa come né con chi. E finché non lo sa, non può aprire il vaso di Pandora, data la certezza che non riuscirebbe più a richiuderlo. Ieri poi i 5Stelle ne han fatta una giusta: lui sperava che seguissero l’interesse di bottega e difendessero l’Italicum dopo averne detto peste e corna; invece hanno ribadito che, anche se conviene a loro, è antidemocratico e proposto la legge elettorale più democratica che ci sia: il proporzionale con le preferenze. Al povero Matteo non è rimasto che buttare la palla nel campo del centrodestra, chiedendo a B.&C. come la vedono loro, visto che come la vede lui non lo sa nemmeno lui. E nel Pd convivono una dozzina di leggi diverse, che diventano una ventina contando gli ascari di Ncd, Udc e Ala. La fine della pantomima è già nota: l’Italicum resterà per mancanza di un’alternativa fornita di una maggioranza pronta a votarla.
L’ultima speranza per Renzi era che la Consulta glielo bocciasse, per costringere tutti a riaprire i giochi. Anche a costo di murare viva in un sottoscala la Boschi, che sull’Italicum era andata a chiedere la fiducia alle Camere e ora non ha più una faccia da spendere in pubblico (Napolitano, ammesso e non concesso che ne abbia una, dall’Italicum s’è già sfilato da un pezzo, fingendo di non averlo mai visto né conosciuto). Invece, pensando di far cosa gradita al premier, gli italianissimi giudici costituzionali hanno rinviato il verdetto “a nuovo ruolo”, cioè senza neppure comunicare la nuova data: aspettano di conoscere quella del referendum che Renzi dovrebbe annunciare lunedì, per decidere di conseguenza all’indomani (del referendum, non dell’annuncio della data). Forse, da Palazzo Chigi, si erano scordati di modificare le regole d’ingaggio: cioè che l’ultima speme di Renzi era che glielo bocciassero subito, l’Italicum. Invece, col rinvio, resta tutto fermo fin dopo il referendum. E la sinistra del Pd, che aspettava un segnale sulla legge elettorale per dire Sì alla “riforma” costituzionale, voterà e farà votare No: un bel guaio, per il Sì, visto che Bersani e persino D’Alema, almeno sugli iscritti e i militanti, hanno ancora una certa presa (vedi feste dell’Unità). Risultato: Renzi non potrà contare neppure su tutti i voti del suo partito, oltre ad avere contro i tre blocchi di opposizione (M5S, destre e sinistra). A questo punto la domanda non è più se Renzi si dimetterà dopo l’eventuale No al referendum. Ma se per caso, impigliato com’è nella rete dei suoi intrighi e giravolte, non gli convenga andarsene prima.