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 2016  settembre 17 Sabato calendario

LE LUCI E OMBRE DEL GRANDE PELLEGRINAGGIO SPIEGATE DALLA STORIA


Ho scoperto la Mecca molto tempo fa, in un’epoca in cui c’erano pochissimi alberghi e l’organizzazione del pellegrinaggio non era molto efficiente. Si alloggiava dietro compenso presso abitanti del luogo e non ci si preoccupava del comfort. Per il pellegrino, compiere questo rito è più importante di ogni altra cosa. Può farsi sfruttare da intermediari poco scrupolosi, farsi trattare male, l’importante è che faccia ciò che il Corano gli chiede.
Il pellegrinaggio alla Mecca è uno dei cinque pilastri dell’Islam. Ogni credente è tenuto a compierlo, a condizione di averne i mezzi materiali e di essere in buona salute. Se ha dei debiti, dovrà saldarli prima di intraprendere il viaggio. La buona salute fisica e morale è necessaria, perché il compimento di questo rito è lungo e faticoso. Gli anziani si fanno trasportare, ma, anche così, c’è sempre il timore che vengano spintonati e calpestati. Succede ogni anno: tre milioni di uomini e di donne seguono nello stesso momento lo stesso rituale, è normale che l’ordine non venga sempre rispettato. Il rito principale consiste nel girare intorno alla Kaaba, il cubo dov’è conservata la famosa pietra nera che porterebbe traccia del piede di Abramo. Prima dell’avvento dell’Islam, i meccani giravano intorno a questo edificio in senso antiorario. Fu Maometto a cambiare la direzione del pellegrinaggio e a dargli un significato spirituale fondamentale.
La Mecca è una città santa e sacra perché è qui che è nato il profeta Maometto. Nel Corano si parla di questo luogo, chiamato talvolta Bakka. Recita il versetto: «In verità, il primo Tempio che sia stato fondato per gli uomini è, certo, quello che è in Bakka, benedetto, e Guida per tutto il Creato» (3:96).
A 80 chilometri dal Mar Rosso, nell’Arabia Saudita occidentale, la Mecca è stato il centro fondamentale dell’Islam, il luogo dove il giovane messaggero di Dio cercò di diffondere la parola divina. Fu combattuto dalla tribù dei Quraysh e nel settembre 622 dovette emigrare a Medina, dove finì i suoi giorni. Da lì decorre il calendario dell’Ègira (hijra in arabo significa “emigrare”).
Girare intorno alla Kaaba, questo tempio ricoperto di drappi neri con calligrafie coraniche intessute in filo d’oro, è un modo per il credente di rendere omaggio ad Abramo e a Maometto.
L’idea del pellegrinaggio si congiunge a quella della purificazione. Il credente va alla Mecca e poi a Medina, dove si raccoglie sulla tomba del profeta, per «lavare i suoi peccati», pentirsi e impegnarsi a comportarsi secondo i valori e i principi di un islam sereno e pacifico. Divenire hajj significa acquisire una saggezza e una condizione di buon musulmano, lontano dal vizio e dal Male. Significa tendere verso una certa perfezione.
La Mecca è a mezz’ora di distanza da Gedda. Questo territorio sacro è interdetto ai non musulmani, e lo stesso vale per Mina e Medina. Un cartello scritto in varie lingue lo ricorda. In ogni caso, i consolati sauditi sono molto restrittivi nel rilascio dei visti: quando il pellegrino arriva, gli viene sequestrato il passaporto e può lasciare il territorio solo dopo aver ricevuto un visto di uscita.
Rispetto ai miei ricordi, oggi le cose sono molto cambiate: sono stati costruiti grandi alberghi, strade, spazi e circuiti. Da questo punto di vista gli sforzi turistici sono stati rilevanti. Al contempo, però, c’è lo hajj del ricco e lo hajj del povero: anche se compiono gli stessi rituali, non sono alloggiati nelle stesse condizioni.
Quest’efficiente organizzazione non garantisce sicurezza assoluta: ogni anno ci sono pellegrini che muoiono nella calca. L’anno scorso la caduta di una gru dell’imprenditore bin Laden ha fatto 1.949 morti. Certo, il pellegrino che muore su queste terre sante ha la garanzia, a quanto si dice, di andare in paradiso, ma l’incidente ha macchiato indelebilmente l’immagine dell’Arabia Saudita, che non ha garantito la sicurezza dei pellegrini. Gli incidenti più letali avvengono al ritorno da Mina, dopo aver sacrificato un agnello. Bisogna “lapidare Satana”: in teoria è un gesto simbolico, si devono gettare sette sassolini contro un monticello, ma la gente perde il controllo e lancia tutto ciò che trova; da qui il disordine e la calca in cui finiscono schiacciati deboli e anziani.
Prima di fare sette volte il giro della Kaaba pronunciando le preghiere appropriate, bisogna fare l’andirivieni tra Safa e Marwa, due poli che simboleggiano la pazienza. È un omaggio a Hagar, la sposa di Abramo, esiliata nel deserto. La sua storia è questa: Hagar, disperata, andava e veniva tra le colline di Safa e Marwa. D’improvviso le apparve l’angelo Gabriele che colpì il suolo col tallone e fece sgorgare una fonte d’acqua, nota come Zamzam. È acqua salmastra, l’acqua santa che i pellegrini sognano di bere. La fonte attirò molti uccelli, che attirarono a loro volta l’attenzione della tribù vicina, i Jurhum. Hagar permise loro di usare la fonte in cambio di protezione per lei e suo figlio: si dice che furono i primi abitanti della Mecca e sono considerati i «veri arabi».
Successivamente, ogni pellegrino è tenuto a spostarsi a Medina, dove è la tomba del profeta Maometto. Lì esegue per una settimana le preghiere quotidiane.
La Mecca resta l’orientamento della preghiera: in tutto il mondo i musulmani pregano in direzione di questo luogo mitico e sacro. Sul versante politico, l’Iran sciita contesta il diritto dell’Arabia Saudita di essere unica custode dei luoghi santi. Questa contrapposizione a volte assume dimensioni importanti, tanto che qualcuno è convinto che prima o poi scoppierà una guerra tra sunniti e sciiti sulla questione. Già ora la guerra che conduce Riad contro lo Yemen s’inquadra in questo contesto.