Andrea Scanzi, Il Fatto Quotidiano 20/9/2016, 20 settembre 2016
ALEX ZANARDI, PIÙ NE PARLI E PIÙ TI SORPRENDE
Cinquant’anni tra pochi giorni, per l’esattezza il 23 ottobre, Alex Zanardi ha di nuovo vinto tre medaglie ai Giochi Paralimpici di Rio de Janeiro. Proprio come quattro anni fa a Londra. Sempre due ori e un argento. Qualcuno, nel pieno del trasporto, ha proposto di farlo senatore a vita. Sarebbe forse un’esagerazione, ma di sicuro si rivelerebbe un senatore molto più degno di un Gasparri o un Barani (vero: ci vuol poco).
In ogni caso non glielo auguriamo: se passasse il “sì”, essere senatore a vita diverrebbe ancor più svilente e frustrante. Zanardi è il caso più manifesto di rinascita nella storia recente dello sport. Ogni volta che lo guardi, ti domandi non solo come abbia fatto a sopravvivere a quell’incidente al Lausitzring, in un circuito oltremodo maledetto dove quello stesso anno erano morti Michele Alboreto e un commissario di pista, ma – e forse più ancora – come abbia fatto a trarre addirittura forza da quello smisurato trauma.
Era il 15 settembre 2001 e nessuno di noi, probabilmente, stava guardando quella gara in diretta. La Formula CART non è esattamente la specialità che più ci sta a cuore e, per giunta, quattro giorni dopo il crollo delle Torri gemelle non avevamo tutta questa voglia di sport. Zanardi era già stato due volte campione di Formula CART: era poi tornato in Formula 1, ma non aveva funzionato. Si era ritirato, poi ci aveva ripensato. Non una grande stagione, la 2001. Brutta macchina, poca fortuna. Poi, proprio quel 15 settembre, Zanardi è di nuovo primo. A 13 giri dal termine. Entra nei box, riparte e quando sta per tornare in pista perde il controllo dell’auto, che attraversa la pista nel punto esatto in cui si raggiunge la velocità massima.
La vettura di Alex Tagliani lo centra in pieno, tranciando la parte anteriore e quindi le sue gambe all’altezza del ginocchio. Il capo dello staff medico, disperatamente, prova a fermare il sangue che esce a fiotti con le mani. Il cappellano gli dà l’estrema unzione. Arriva l’elicottero e lo porta all’ospedale di Berlino, ma per tutti è finita. Per tutti, tranne che per lui e per il famoso nonché filosofeggiante dottor Costa: sì, proprio lui, il noto “ripara-motociclisti”. Quando lo vede sul letto d’ospedale, dopo tre giorni di coma e 15 operazioni, Costa dice: “Questo uomo tornerà a fare tutto quello che faceva prima. Camminare, guidare, sciare e soprattutto portare in spalla suo figlio”.
Aveva ragione. Neanche tre mesi dopo l’incidente, Zanardi si alzò in piedi dalla sedia a rotelle durante la premiazione dei Caschi d’oro. Due anni dopo, volle percorrere al Lausitzring i 13 giri che mancavano per terminare quel gran premio: stessa vettura, stesso circuito. Registrò tempi incredibili, che gli sarebbero valsi il quinto posto due anni prima. Da allora è stata una continua meraviglia. Una continua ripartenza. Senza mai perdere il gusto per la battuta: “Non è poi così male. Se mi infortunerò di nuovo alle gambe, per risolvere tutto basterà una chiave a brugola”.