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 2016  settembre 19 Lunedì calendario

«MI PARAGONANO A SVEVO. MA NESSUNO SA CHI

SONo» –
Se accetti di vivere circondato dalla bellezza senza poterla possedere – pur alimentandola – allora questo è un lavoro da consigliare. Altrimenti è un suicidio”. Alessandro – lo chiameremo così – è uno “scrivente” (“Non posso definirmi uno scrittore”): gli scaffali delle librerie sono pieni dei suoi libri, ma il suo nome non compare da nessuna parte. Alessandro fa il ghostwriter, lo “scrittore fantasma”, colui che scrive per conto di altri. Lo chiamano gli “altri”, o le case editrici, gli danno un tema e lui si mette al computer – tempo medio tre mesi – e sforna un best seller: “Sono stato paragonato a Svevo. Ho scritto libri che hanno venduto decine di migliaia di copie”. Quindi è diventato ricco? “Tremila euro lordi per tre mesi di lavoro”. Infatti Alessandro nella vita ne fa anche un altro, di lavoro, per permettersi l’affitto e la possibilità di far studiare all’estero i suoi figli.
Ma andiamo con ordine. “Sono figlio di un politologo. Negli anni Settanta a casa mia transitavano nomi grossi delle istituzioni. Mio padre dava consigli, preparava discorsi, discuteva. Poi ogni tanto mi diceva: ‘Questo fallo tu’. Avevamo una biblioteca piena dei testi fondamentali della letteratura e della saggistica: dove prendevi, prendevi bene. Ho iniziato a leggere da bambino e non ho più smesso: leggo 60 libri l’anno, tolti i saggi e i giornali. Quando poi ho iniziato a scrivere, mio padre prendeva i miei testi e mi diceva: ‘Tutto qua?’. È stata una palestra formidabile. La scrittura è diventata la mia vita”. Tanto che Alessandro, nel 1977, ha pensato di diventare scrittore: “Mandai ad alcune case editrici i miei racconti brevi. Alcune mi risposero con un prestampato, altre con commenti e annotazioni di apprezzamento. Ma ci fu l’unanimità: grazie, no. Non pubblicavano racconti o avevano il catalogo già pieno. Conservo ancora tutte quelle risposte. Sono gli stessi che adesso mi cercano per farmi scrivere conto terzi”.
Dieci anni dopo, il primo pezzo scritto come giornalista, dal 2000 l’attività di editor e ghostwriter. “Da allora ho scritto una trentina di libri. Ce li ho tutti qui in e-book – racconta mostrando un portatile – così evito di scrivere le stesse cose per autori diversi”. Una delle difficoltà è riuscire a esprimersi in modo differente a seconda dell’autore cui prestare le parole: “Ho scritto due libri per un’autrice donna. Un giorno è venuta una mia amica da me e mi ha detto: ‘Ho letto due libri fantastici, scritti con la sensibilità che solo una donna può avere’. In effetti, ho un po’ di tette anch’io…”.
Nessuno, se non pochi familiari, conosce la vera attività di Alessandro. È un po’ come uno 007, vive le vite degli altri ma non lo può raccontare. “Ci sono autori che mi amano e altri che mi odiano, perché vorrebbero saper scrivere e invece non lo sanno fare. Una volta mi ha contattato un imprenditore molto affermato che scrive libri ‘spirituali’. Vende milioni di copie in tutto il mondo. Mi ha mandato un capitolo che aveva scritto lui per chiedermi cosa ne pensassi. Era impubblicabile. L’ho portato in libreria, ho comprato dieci libri – da Calvino a Dickens – e glieli ho regalati. ‘Leggili’, gli ho detto, ‘poi ne riparliamo’. Dopo qualche tempo mi ha richiamato: ‘Ho capito cosa volevi dire, ma il libro lo faccio lo stesso come dico io’. È diventato un best seller”. Il problema, secondo Alessandro, è la qualità di ciò che viene pubblicato: “Siamo figli del nostro tempo e schiavi della tv: come una volta ci affezionavamo a Lea Massari che aveva le sembianze di Anna Karenina, oggi ci affezioniamo a quello che vediamo. Cioè il nulla. E quindi le case editrici pubblicano solo se c’è un grande nome dietro: quello fa vendere. Io non potrei mai scrivere col mio nome, eppure se il mio testo viene pubblicato per un volto noto, vende migliaia di copie. Quando un noto critico ti paragona a Svevo, ti butteresti dalla finestra”.
Un lavoro da artigiano, in cui se non si ha il dono dell’umiltà si finisce con l’impazzire. “Si è costretti a subire l’esame di chiunque. Ciò che scrivo, dopo essere stato approvato dal mio committente, passa per le mani di un editor”. A volte capita anche che lo stesso scrittore non ricordi ciò che – in teoria – dovrebbe aver scritto: “Durante un’intervista radiofonica, a un autore che aveva appena pubblicato il libro che gli avevo scritto io, chiesero se era vera un’affermazione riportata nel volume. Lui cadde dalle nuvole: ‘Veramente ho scritto così? Deve esserci un ventriloquo’. Ecco, io mi sento un ventriloquo, presto la lingua e le parole a un volto”.
Fare il ghostwriter è un’attività a tempo pieno, per quanto poco apprezzata e poco remunerata: “Dieci ore al giorno per scrivere cinque pagine; ogni pagina richiede due ore di tempo. Per cui, più o meno, impiego tre mesi per scrivere un libro. Compenso lordo: tremila euro. E se anche me lo fanno rifare tre volte, alla fine i soldi sono sempre quelli”. Il processo di scrittura, ovviamente, è analogo: “C’è una pars costruens, per cui butto giù tutto in una sorta di stream of consciousness. Penso camminando, scrivo seduto e i dialoghi mi vengono in mente di notte. Ovviamente non inizio a scrivere dalla prima pagina, ma da quello che mi viene in mente. Lo lascio lì per un po’, poi lo riprendo e, come se fosse quello di un altro, lo massacro. Faccio l’editor di me stesso. È la pars destruens. La sintesi tra queste due fasi è un prodotto che nelle presentazioni viene applaudito”.
Alessandro, però, qualche soddisfazione se la toglie: dissemina i libri degli altri di indizi personali, di ricordi della sua vita. Come Pollicino, lascia dietro di sè briciole di parole. Lo capisci quando ti tende un libricino, firmato realmente con il suo nome e cognome, e sulla quarta di copertina leggi i versi di una famosa canzone.
di Silvia D’Onghia, il Fatto Quotidiano 19/9/2016