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 2016  settembre 18 Domenica calendario

SAN SIRO 90 ANNI FA. QUANDO L’INTER UMILIO’ IL MILAN PADRONE DI CASA

San Siro non è uno stadio, ma una cattedrale laica. Ci si entra con un sentimento di riverenza, quasi di timore, proprio come quando i bambini mettono piede in chiesa e si fanno il segno della croce. Non è soltanto il luogo dove si gioca a pallone, si dribbla, si tira, si esulta. No, qui dentro accade qualcosa di speciale, di unico: il mito si fa realtà e, che si stia al primo, al secondo o al terzo anello, quel mito trasfigurato in sembianze di calciatore lo vedi, lo senti, quasi lo tocchi. E, logica conseguenza, diventi tu stesso come lui, per i novanta minuti della partita appartieni a un’altra vita, a un’altra esistenza. Questo è il potere magico di San Siro. Potranno costruire tantissimi altri «stadium», belli, confortevoli, funzionali, magari con i cinema e i supermercati all’interno, dotati di tutte le più moderne tecnologie, ma nessuno, perlomeno in Italia, avrà mai il fascino di questo «gran catino», come lo definiva il poeta Vittorio Sereni che abitava lì vicino, in via Paravia, e ne respirava la storia.

CONTROTENDENZASan Siro fa novant’anni, ma non li dimostra. Per forza, con tutti i lifting cui lo hanno sottoposto ci mancherebbe pure che il tempo abbia partita vinta. Oggi è un inno alla grandezza, con quelle torri di cemento a sorreggere l’intera struttura. Quando lo pensò Piero Pirelli, presidente del Milan dal 1909, doveva essere semplicemente uno stadio «all’inglese». Diede precise disposizioni agli ingegneri incaricati del progetto, Alberto Cugini e Ulisse Stacchini: niente pista di atletica, soltanto un campo e le tribune tutt’attorno. Si doveva vedere bene, da vicino, e percepire immediatamente il senso di ciò che si vedeva. La pista di atletica era una distrazione, qualcosa che allontanava e faceva perdere la concentrazione. Invece l’attenzione della gente, per novanta minuti, doveva essere lì, sui giocatori e su quello che facevano con il pallone tra i piedi, come se quello fosse un palcoscenico sul quale ventidue attori si alternavano nelle parti fino a comporre una commedia popolare. In questo modo il pubblico partecipava, diventava esso stesso un personaggio della recita. L’idea era affascinante, ma in controtendenza con i tempi. Si era a metà degli anni Venti, il fascismo dominava e il Duce non era un amante del calcio: preferiva altre discipline. Per questo motivo molti stadi che vennero costruiti in quel periodo furono progettati con la pista d’atletica. Tuttavia il regime accettò che San Siro fosse costruito soltanto per il calcio, perché il Grande Capo, che aveva fiuto e capiva al volo gli umori del popolo, si era reso conto che proprio il pallone avrebbe rappresentato lo strumento ideale per coinvolgere le masse.

ESORDIO Piero Pirelli, quando decise di investire 5 milioni di lire per regalare un gioiello ai tifosi milanisti, ragionava da mecenate e da imprenditore illuminato. I lavori vennero affidati alle Imprese Riunite Fratelli Fadini, che utilizzarono 120 operai, e durarono un anno. La prima pietra fu posata il 25 agosto del 1925, l’inaugurazione dello stadio avvenne domenica 19 settembre 1926. Partita «di cartello»: un derby amichevole tra Milan e Inter che, come raccontò il Corriere della Sera a pagina 2, «ha avuto inizio verso le 17, agli ordini dell’arbitro Tulliani». Altri dettagli, sempre dal quotidiano di via Solferino: «La cerimonia ufficiale è stata compiuta dal Duca di Bergamo, il quale, dopo gli squilli “dell’attenti” ed al suono della marcia reale, ha tagliato il nastro tricolore teso all’ingresso del rettangolo di gioco. Dalla tribuna d’onore assistevano numerose autorità civili, militari e sportive: nelle tribune e negli spalti il pubblico era numeroso, ma non adeguato alla vastità dell’ambiente». Traducendo il linguaggio filtrato dalla censura fascista, ciò significa che per quel debutto non ci furono molti spettatori e che l’avvenimento non ebbe quel risalto che tutti si aspettavano. Lo stadio, che aveva quattro tribune di cui una (quella centrale) parzialmente coperta, poteva contenere, secondo i calcoli fatti dai progettisti, 26 mila posti a sedere e 9 mila in piedi. Ma quella domenica l’attenzione degli sportivi era tutta rivolta al il Gran Premio motociclistico delle Nazioni. All’autodromo di Monza, Achille Varzi vinse nella categoria 500 cmc., mentre Tazio Nuvolari s’impose nella 350 cmc. I 9 gol del derby d’esordio di San Siro finirono in quarta colonna. L’Inter s’impose 6-3, ma la prima rete nella nuova cattedrale fu segnata da un milanista: Giuseppe Santagostino, detto Pin, un’aletta destra che sfruttò il passaggio del compagno Ostromann.

COABITAZIONESan Siro restò la casa esclusiva del Milan, che ne era proprietario. Nel 1935 venne ceduto al Comune di Milano che iniziò una prima, fondamentale, ristrutturazione: a unire le tribune furono costruite quattro curve e così la capienza arrivò a 55 mila. L’Inter, che prima disputava le partite interne all’Arena, cominciò a giocare a San Siro nel 1947, anche se lì aveva vinto lo scudetto del 1940, pochi giorni prima che l’Italia entrasse in guerra, al termine di una memorabile sfida contro il Bologna. Se lo stadio di oggi, con il terzo anello e la parziale copertura, è figlio dei rifacimenti compiuti per il Mondiale del 1990, non va dimenticato che il secondo anello, cioè quello che lo fece assomigliare al «gran catino» di cui parlava il poeta Sereni, venne aggiunto a metà degli anni Cinquanta. In quel caso la capienza toccò gli 80 mila posti (60 mila a sedere). Ma non sono, e non saranno mai, i numeri, i progetti e le ristrutturazioni a spiegare questo stadio. San Siro è il luogo dei sogni, e basta.