di Luca Gualtieri, MilanoFinanza 17/9/2016, 17 settembre 2016
CINQUE MESI PER FARCELA
Il tour de force di Marco Morelli al Monte dei Paschi inizierà martedì 20 settembre, quando saluterà i dipendenti per poi incontrare i sindacati interni. Da quel giorno il banchiere avrà cinque mesi di tempo per ripulire la banca senese e raccogliere gli ingenti capitali necessari per metterla in sicurezza. Mentre gli stakeholder sono al lavoro per individuare il nuovo presidente (che potrebbe essere il numero uno di Société Générale, Lorenzo Bini Smaghi, o l’attuale vice presidente Roberto Isolani), il cantiere sul piano ripartirà speditamente e molto presto advisor, banche del consorzio e Quaestio sgr faranno il punto sul percorso di risanamento. Le prime conference call congiunte sono attese nell’arco del week end, ma la sensazione diffusa tra i banker coinvolti è che lo schema generale dell’operazione resterà quello oggi sul tavolo. Non tanto perché i margini di manovra concessi dalla Bce siano limitati (per dismettere le sofferenze c’è tempo infatti fino al 2018), ma perché nelle scorse settimane i numerosi attori coinvolti hanno trovato un’intesa di massima sul piano di Jp Morgan e Mediobanca.
Il primo punto fermo è naturalmente la cessione di tutte le sofferenze. Mentre procede la due diligence sul portafoglio da deconsolidare (processo fondamentale per definire il prezzo dello stock da 27 miliardi lordi), sarebbe iniziato proprio in questi giorni il lavoro sul prestito ponte da sei miliardi. Il finanziamento servirà per l’acquisto delle senior notes, compensando così i lunghi tempi autorizzativi della Gacs, attesa entro la prima metà del 2017. In tempi rapidi sarà predisposto anche il veicolo di cartolarizzazione (la cosiddetta Sec.Co) finanziato attraverso sei miliardi di senior notes da collocare sul mercato, 1,6 miliardi di mezzanine notes destinate al fondo Atlante e 1,6 miliardi di junior tranche da assegnare agli azionisti di Mps. Questa parte del piano dovrebbe insomma andare in porto senza grossi problemi anche se, come gli altri tasselli, slitterà in avanti di almeno un mese rispetto alla tabella di marcia iniziale. Se quindi la cartolarizzazione era inizialmente attesa entro ottobre, adesso è ragionevole attendersela tra novembre e dicembre. Del resto non c’è motivo di avere eccessiva fretta visto che la Bce ha chiesto di completare lo smaltimento delle sofferenze entro il 2018.
Conclusa la fase di deconsolidamento, si aprirà il secondo e ben più impegnativo capitolo del piano, cioè il rafforzamento patrimoniale. Su questo fronte le variabili in gioco sono molte di più e non si può escludere che la versione finale si discosti parecchio da quanto annunciato finora. Già all’inizio di settembre peraltro gli advisor hanno apportato modifiche significative allo schema presentato nel giorno degli stress test, probabilmente perché giudicato troppo ambizioso. Il maxi aumento da cinque miliardi è stato quindi rimpiazzato con un mix di interventi, per molti aspetti simili a quelli proposti da Corrado Passera. In primo luogo c’è l’individuazione degli anchor investor. L’idea sarebbe quella di aprire il capitale a due-tre grandi investitori internazionali (private equity o fondi sovrani) prima del varo della ricapitalizzazione. Questi soggetti potrebbero apportare una cifra compresa tra 1,5 e 2 miliardi che potrebbe rivelarsi decisiva ai fini del rafforzamento patrimoniale della banca. È ancora presto per fare nomi, ma è chiaro che una circostanza di questo genere darebbe un segnale molto forte al mercato e fungerebbe da volano per l’aumento di capitale. Che l’interesse ci sia comunque è testimoniato proprio da quel piano Passera proposto nel luglio scorso alla banca senese. In quell’occasione l’ex amministratore delegato di Intesa Sanpaolo aveva ventilato l’intervento di alcuni fondi americani proprio per ridurre l’importo dell’aumento di capitale. Oggi gli advisor Jp Morgan e Mediobanca si muovono nella stessa direzione e l’esito potrebbe essere positivo. La seconda colonna del piano, sostanzialmente contestuale all’aumento, dovrebbe essere la conversione volontaria dei bond subordinati. Al momento il quadro non è molto chiaro visto che, se il progetto iniziale prevedeva soltanto il coinvolgimento degli investitori istituzionali (che oggi hanno in mano note per circa tre miliardi), non si può escludere che tempi più lunghi consentano di coinvolgere il retail. I bond verrebbero insomma trattati come mandatory tout court, evitando una disparità di trattamento che potrebbe innescare controversie. Come ha osservato Equita, il bondholder si vedrebbe infatti assegnare azioni in base al valore nominale dell’obbligazione, che invece tratta sotto la pari, e questo andrebbe a detrimento dei sottoscrittori dell’aumento. Naturalmente però se la conversione venisse estesa a tutti gli obbligazionisti subordinati, l’attenzione della Consob sarebbe altissima e la preparazione della reportistica potrebbe richiedere un certo lasso di tempo.
Infine, tra gennaio e febbraio e forse dopo l’approvazione del bilancio, è atteso l’aumento di capitale. L’importo dipenderà naturalmente dall’esito delle altre azioni, anche se l’assemblea straordinaria di fine ottobre dovrebbe fissare un tetto massimo. Fonti finanziarie suggeriscono che la ricapitalizzazione potrebbe essere senza diritto d’opzione proprio perché subordinata alle tappe precedenti del piano di risanamento. Dal mix di interventi dovrebbe uscire una banca profondamente diversa da quella di oggi. Non solo in termini di profilo di rischio e di dotazione patrimoniale, ma anche di assetti proprietari. È molto probabile ad esempio che il nuovo Monte dei Paschi abbandoni la struttura da public company per tornare a un azionariato più stabile, magari armonizzato da un patto di sindacato. Se i prossimi cinque mesi saranno decisivi per il futuro della banca senese, chi conosce Morelli assicura che la sua sarà un’ottica di medio-lungo periodo. La doppia anima di investment banker e retail banker permetteranno ad esempio all’ad di dipanare una strategia molto attenta alla rete commerciale. Se una delle prime mosse sarà la nomina del successore di Marco Bragadin (direttore del retail banking e distribuzione), il banco di prova decisivo sarò il piano industriale atteso entro fine ottobre. Morelli metterà certamente mano alle strategie elaborate finora da McKinsey e punterà a valorizzare quello che oggi è uno dei punti di forza di Mps, la sua rete distributiva.
di Luca Gualtieri, MilanoFinanza 17/9/2016