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 2016  settembre 17 Sabato calendario

ARTICOLI SU PARISI E IL CENTRODESTRA PER IL FOGLIO ROSA – GIOVANNI ORSINA PER LA STAMPA 17/9 –  Il momento attuale è il più propizio al centro destra che si sia presentato da almeno due anni a questa parte

ARTICOLI SU PARISI E IL CENTRODESTRA PER IL FOGLIO ROSA – GIOVANNI ORSINA PER LA STAMPA 17/9 –  Il momento attuale è il più propizio al centro destra che si sia presentato da almeno due anni a questa parte. Mai l’azione di governo di Renzi era apparsa così appannata, né mai il Movimento 5 stelle s’era dedicato così intensamente, e con così straordinario successo, all’autolesionismo. L’interesse per il convegno organizzato da Stefano Parisi a Milano, che è cominciato ieri e terminerà oggi, mi pare dipenda anche da questo. Chi osserva la politica italiana vede bene che l’assenza di un’alternativa seria e credibile al governo attuale sta rendendo ancor più debole il già fragile sistema politico italiano. La questione del centro destra, per altro, è importante sia che al referendum costituzionale vincano i no, sia che vincano i sì. Nella prima eventualità, o si riscrive la legge elettorale, o il sistema assumerà un assetto proporzionalistico – ma in entrambi i casi l’asse portante del sistema sarà quello che corre fra il Partito democratico e i moderati. Nella seconda eventualità, si aprirà la questione di chi, e come, sfiderà Renzi. Il fatto che in contemporanea con l’iniziativa di Parisi si svolga il tradizionale raduno leghista di Pontida evidenzia per l’ennesima volta come al centro destra si sia ormai affiancata una vera e propria destra di peso elettorale comparabile. Conseguenza, questo dualismo, da un lato della mutazione storica visibile ovunque in Occidente, dall’altro della crisi della leadership berlusconiana, che per due decenni ha saputo magistralmente combinare gli accenti populisti con un profilo moderato. Ancor più della concomitanza fra le due iniziative, tuttavia, colpisce il contrasto fra la decisione di Parisi di mettersi alla ricerca di soluzioni realistiche e ragionate per l’Italia da un lato, e la dichiarazione di Salvini su Ciampi dall’altro. La sparata di Salvini è tanto significativa quanto stomachevole. Significativa perché, ricorrendo a una categoria etica e non politica come quella del tradimento, ha mostrato a quale livello di barbarie sia giunto – ma non certo da oggi – il dibattito pubblico italiano. E stomachevole per le stesse identiche ragioni. Proprio perché barbara, d’altra parte, l’uscita di Salvini ha funzionato come meglio non avrebbe potuto: s’è guadagnata grande rilievo su tutti i siti di informazione, e ha attirato su di sé condanne tanto sacrosante quanto improvvide – improvvide perché, com’è ovvio, hanno contribuito a dar visibilità al leader leghista, e quindi hanno fatto il suo gioco. Questo meccanismo – ben noto e sperimentato, basti pensare a Donald Trump – crea un’asimmetria comunicativa evidente fra il centro destra responsabile e moderato alla cui costruzione vuol lavorare Parisi e il populismo leghista. Un’asimmetria destinata a durare, per altro, visto che i mass media non pare diano segno di voler modificare il loro modo di trattare le notizie, né gli italiani di voler punire nelle urne quelli che urlano troppo. Al contempo, l’uso intensivo del «metodo Salvini» allarga la frattura fra destra e centro destra ben al di là delle loro reali divergenze programmatiche, e rende quindi più difficile un’alleanza che, soprattutto se al referendum dovesse vincere il sì, sarebbe comunque inevitabile. Questo ragionamento, in conclusione, porta a tre domande. La prima a Salvini: fin dove intende spingersi lungo una strada che per molti mesi, è vero, ha pagato in termini elettorali, ma da qualche tempo ha pure smesso di pagare, e potrebbe in futuro condurlo all’isolamento o alla sconfitta? La seconda a Parisi, ma più in generale a chiunque dovesse proporsi di rilanciare il centro destra: come intende superare l’handicap comunicativo nei confronti della Lega, e più in generale rivolgersi in maniera efficace ma non barbara a un elettorato frammentato, distratto e ombroso com’è sempre stato quello di centro destra? C’è poi un ultimo interrogativo che va rivolto a entrambi. Una delle ragioni per le quali la crescita elettorale della Lega s’è fermata, è che il partito resta confinato all’Italia centro-settentrionale. Parisi, per parte sua, non soltanto ha organizzato il suo convegno a Milano, ma si è rivolto a componenti della società civile molto presenti e forti in Lombardia. È vero che, con qualche rara eccezione, e di certo negli ultimi decenni, l’innovazione politica in Italia è sempre partita dal settentrione. Prima o poi, però, a destra bisognerà anche porsi il problema del Mezzogiorno. Le cui regioni oggi sono governate tutte dal Pd. *** BARBARA FIAMMERI PER IL SOLE 24 ORE 17/9 –  Anche la scelta della location non è casuale. Una vecchia fabbrica degli anni ’70 appena ristrutturata è la coreografia scelta da Stefano Parisi per lanciare quella che definisce la «nuova comunità politica» del centrodestra. Una comunità che per l’ex ad di Fastweb deve (ri)partire anzitutto dalla società civile, da quelle «Energie nuove» - questo il titolo della convention al centro Megawatt, con tanto di lampadine tricolori - per costruire una credibile alternativa di governo al centrosinistra di Matteo Renzi. Per riuscirci però bisogna anzitutto recuperare i «delusi» del centrodestra, quei 10 milioni di elettori a cui bisogna offrire la possibilità «di votare per qualcosa e non solo contro qualcuno». Le prime parole di Mr Chili, visibilmente emozionato mentre sale sul palco, sono dedicate alla scomparsa di Carlo Azeglio Ciampi. Ad accompagnarle la standing ovation della platea. Nessun accenno, nonostante le sollecitazioni dei giornalisti, alla dichiarazione di Salvini contro l’ex capo dello Stato. Non ce n’è bisogno. La distanza è nei fatti. Parisi non ritiene che l’attuale centrodestra trainato dal Carroccio possa essere, così come il M5S di Grillo, un’alternativa credibile. Parisi non nomina mai Silvio Berlusconi. E anche in questo caso non si può certo pensare a una casualità. È probabile che sia stata una scelta concordata con lo stesso Cavaliere (qualcuno lascia filtrare che ci sia stata ieri tra i due una telefonata), che prima dell’estate ha benedetto la discesa in campo del manager affidandogli la due diligence di Fi. E del resto il leader di Fi per il momento preferisce rimanere alla finestra per verificare “l’effetto che fa”. Nessuna sorpresa invece per la mancata partecipazione dello stato maggiore di Fi. Che Toti (impegnato ieri nel vertice con i governatori della Lega Maroni e Zaia), Romani, Brunetta e Gasparri guardino con occhio non particolarmente benevolo l’iniziativa di Parisi (e soprattutto l’endorsement di Berlusconi) non è un mistero. Unica eccezione Maria Stella Gelmini che ci tiene a far sapere che «Fi è da sempre aperta al contributo della società civile». Nulla di più però. Decisamente più entusiasti gli ex ministri Gianfranco Micciché e Claudio Scajola («Parisi è stata la scelta migliore degli ultimi anni»). Ma ad attirare l’attenzione sono stati soprattutto gli ex forzisti, a partire dall’attuale capogruppo di Ncd alla Camera Maurizio Lupi, già tra i principali sponsor della candidatura di Parisi a sindaco per il centrodestra e che, assieme a Roberto Formigoni e Maurizio Sacconi (entrambi presenti) spinge per un ritorno in tempi rapidi nei ranghi del centrodestra. «Qualora ci fosse una riaggregazione dell’area moderata, l’unico interlocutore sarebbe Berlusconi non Parisi», avverte però il leader di Ncd e ministro dell’Interno, Angelino Alfano. Una frecciata che si aggiunge a quelle di Toti («Vorrei vedere una chiara alternativa a Renzi, senza inciuci»), che da governatore della Liguria guida il cosiddetto asse del Nord per rinsaldare il rapporto con la Lega e Fdi. Sulla stessa lunghezza d’onda anche l’ex azzurro, oggi leader di Cor, Raffaele Fitto che stigmatizza la presenza «di tanti centristi pro-Renzi» alla convention milanese. Sul palco del Megawatt intanto si susseguono gli interventi: da Massimo Gandolfini, portavoce del family day, al big di Cl Giancarlo Cesana, a Maryan Ismail, l’antropologa somala che alle ultime elezioni comunali era candidata del Pd. A strappare i maggiori applausi è stata però?suor Anna Monia Alfieri quando esordisce dicendo che ormai non ha senso parlare di destra e sinistra perchè «chi era di destra è diventato di sinistra e chi era di sinistra è diventato di destra». Applausi anche a Gandolfini che si autodefinisce «portavoce delle famiglie che si sentono “figlie bastarde” della politica». In platea si aggira Franco Debenedetti con appuntata ben in vista una spilletta a favore del Sì al prossimo referendum costituzionale ma che vanta con Parisi un’amicizia di lunga data. Ma Mr Chili non cambia idea, anzi invita Renzi a non rinunciare alla coerenza: «Se vincerà il no dovrebbe dimettersi come ha detto», ribadisce, rispondendo indirettamente alla domanda provocatoria di Giorgia Meloni che proprio nel giorno in cui ha dato alla luce la sua primogenita chiedeva se il premier, in caso di sconfitta, dovesse o meno dimettersi. Barbara Fiammeri *** PAOLO POMBENI PER IL SOLE 24 ORE – Nasce il nuovo centrodestra che ragiona in termini alternativi, ma senza scomuniche, nei riguardi del centrosinistra? Stefano Parisi ha decisamente puntato a questo obiettivo organizzando la sua convention: niente «partitini», ma percorsi per arrivare l’anno prossimo ad una «piattaforma di governo». Come dire che innanzitutto bisogna darsi l’obiettivo di ridare un’identità a una platea che ormai non può più essere raccolta sotto l’antica bandiera berlusconiana che aveva come ragione impedire che la sinistra alternativa agli anni dell’egemonia democristiana ( i “comunisti” nel vecchio linguaggio immaginifico) stabilisse un nuovo lungo periodo di egemonia marginalizzando le classi dirigenti e i ceti cresciuti nel contesto ormai in macerie. Oggi il panorama è del tutto diverso. In parte perché Berlusconi ha vinto quella scommessa impedendo che tutto il potere andasse alla “gioiosa macchina da guerra” di Occhetto e compagni, per cui c’è stato un turbolento ventennio di alternanze con il limite che ciascuno cercava poi di fare il minor numero di prigionieri possibile. In parte perché il mondo è cambiato un bel po’ e né quella vecchia sinistra, né il confuso liberalismo superficiale di Berlusconi sono stati in grado di governare la crisi economica in atto ormai da più di un decennio. E con la crisi economica ce n’è una sociale che ha prodotto i suoi “mostri”: nel senso specifico della parola, cioè i suoi fenomeni inattesi e incongruenti con i vecchi parametri. Dunque è di una nuova narrazione che ha bisogno la parte “moderata” del Paese se non si vuol lasciare campo libero a chi, come Renzi, ha capito da tempo che si tratta di una componente che può essere attratta nel campo del nuovo progressismo. Gli steccati ideologici sono cose del tempo che fu. Perciò Parisi parla di creare una «comunità politica nuova», cioè prima che un raggruppamento di votanti, un corpo che si riconosce in un certo contesto interpretativo circa i mali del presente e le angosce per il futuro. In questa fase la narrazione si mantiene ancora sul generico, perché quando si vuole coagulare bisogna lasciar spazio alle idee di quelli che si vogliono raccogliere sotto le proprie bandiere. Annunciando di mettere in piedi una formazione dominata non dall’ossessione di “votare contro”, ma dall’ambizione di “votare per”, chiarisce la sua distanza dalle due anime che cercano di monopolizzare l’area del tradizionale centrodestra. Da un lato il Salvini che punta a monumentalizzare le paure, che insulta la memoria di Ciampi, che crede alla radicalizzazione dello scontro sociale come strumento per blindare e allargare il suo consenso. Dall’altro lato la nomenclatura di Forza Italia che scommette sull’eterna illusione che il potere sia sufficiente a tenere insieme il consenso: se oggi è in declino, tutti quelli che non trovano posto presso il nuovo vincitore prima o poi torneranno sotto le vecchie bandiere. Per questo Parisi chiarisce di non voler promuovere «élite calate dall’alto» (il fallimento dei tanti movimenti di questo tipo ne mostra la scarsa efficacia), ma di cercare «energie nuove e persone affidabili». Ovvia su questo terreno la competizione con gli arruolamenti (mettiamola così) che stanno avendo luogo nell’area del nuovo centrosinistra (anche qui con gli alti lai delle dirigenze espresse dalle filiere tradizionali). Riuscirà Parisi nell’impresa? Solo il tempo può rispondere. Quel che oggi si può registrare è che la sua iniziativa suscita speranze e attenzioni. La speranza è l’avvento di un sistema competitivo fra due orientamenti politici entrambi affidabili che consenta mobilità nelle scelte delle classi dirigenti e degli elettori, il che è la miglior garanzia per una democrazia in cui nessuno sia padrone troppo a lungo e senza rischi delle posizioni di potere che si conquista. Paolo Pombeni *** ANDREA MONTANARI, LA REPUBBLICA 17/9 – Nasce la “cosa” di Stefano Parisi ed è subito gelo con la Lega e i colonnelli di Forza Italia. Nella prima giornata della sua convention milanese “Energie per l’Italia” allo spazio Megawatt, l’ex candidato sindaco di Milano del centrodestra, incaricato da Silvio Berlusconi di riorganizzare Forza Italia, ignora Matteo Salvini e non gradisce le parole del leader del Carroccio che definisce «traditore» l’ex Capo dello Stato Carlo Azeglio Ciampi scomparso ieri. «Sono parole che si commentano da sole - taglia corto Parisi che ricorda dal palco il presidente della Repubblica emerito ricevendo la standing ovation della platea -Ciampi è stato un personaggio molto importante che salvò l’Italia da un grave rischio finanziario. Questi esempi sono importanti come quello del presidente Mattarella. Dobbiamo fare in modo che le istituzioni riacquistino la fiducia dei cittadini ». Da Pontida, dove ieri c’era anche il forzista Giovanni Toti e domani è in programma l’annuale raduno della Lega, Salvini replica: «Sbaglia, meglio soli che con gente come quella presente alla sua convention. Non chiamatelo più centrodestra, è una parola che mi fa venire l’orticaria». Con lui anche i leghisti Maroni e Zaia Quanto basta a descrivere l’attuale distanza siderale tra le posizioni dei due principali protagonisti del centrodestra. Del resto, che la convention di Parisi sia stata costruita anche in chiave antileghista lo si capisce dalla scaletta degli interventi. Molti esponenti della società civile sono di area ciellina o a difesa dell’accoglienza dei profughi. «Noi siamo dentro il Ppe e stiamo dentro l’Europa - spiega Parisi, che non cita mai Berlusconi – Oggi nasce una comunità politica. Siamo qui per costruire una piattaforma nuova. Vogliamo cambiare il clima, vogliamo che la gente non voti più contro, ma per qualcosa. Vogliamo portare idee, programmi, iniziative». Chiarisce che «quello di oggi è un seme, un primo passo. Per far vivere una vera alternativa a Renzi». A suo dire «l’unica risposta che può salvare l’Italia». Un messaggio rivolto anche ai mercati e alla comunità finanziaria. Promette che «nel giro di qualche mese presenterà un vero programma di governo. Fatto da persone che pensano che in Italia ci possa essere un’alternativa liberale e popolare, e non solo Renzi o il caos». Ribadisce che l’attuale premier si dovrà dimettere se vince il no al referendum. «Lo ha detto lui stesso, deve essere coerente». Ad ascoltarlo, però, c’è solo qualche esponente della vecchia guardia di Forza Italia, Mariastella Gelmini, Gianfranco Miccichè e diversi alfaniani. *** CARMELO LOPAPA, LA REPUBBLICA 17/9 –  Il “Per” campeggia cubitale e azzurro fra i tre maxi schermi che fanno da quinta al palco montato nell’ex capannone industriale molto trandy. Qualcuno sostiene possa essere perfino il nome del nuovo soggetto politico. Di certo, Stefano Parisi inaugurando la kermesse ne fa la sua cifra distintiva (“Per e non contro”). La “cosa” moderata prende mosse e forma con la convention di due giorni, già distinta e distante da Salvini e da tutti i “populisti” che da Pontida sparano a pallettoni su di lui, sui moderati che affollano l’anfiteatro del Megawatt di Milano (poco più di mille) e perfino sulla memoria dell’ex presidente Ciampi. Non è un caso se Mr Chili apre i lavori con un ricordo dell’ex presidente del Consiglio che fa scattare gli scroscianti applausi dei 1.600 che occupano quasi tutte le sedie (le adesioni via web erano state oltre 4 mila). Location pretenzioza, da grandi numeri, voluta dal manager per celebrare il suo ingresso vero in politica. Anita Friedman, figura minuta, zainetto in spalla, moglie e madre delle loro due figlie, è in piedi, assai defilata, low profile ma dicono sia il vero manager di famiglia. Di origini israeliane, ha rinunciato per l’occasione alla camicia coi colori bianco e celeste della bandiera sempre portata in campagna elettorale. «Non ci aspettavamo tanta gente in un venerdì, che emozione, oggi però camicia bianca, si cambia, magari stavolta avremo più fortuna» ironizza. La platea è la più composita e variegata che sia stata messa insieme negli ultimi anni. Ne viene fuori un ibrido, un po’ Leopolda di destra, un po’ salotto meneghino zona via Magenta e tanta Comunione e Liberazione in cerca di casa. Una “succursale del Meeting di Rimini” lamentano sotto voce i laici più insofferenti. Eccoli Roberto Formigoni, Mario Mauro, Giancarlo Cesana, ex presidente del Policlinico ed ex responsabile Cl, e Luigi Amicone, che si aggira per il salone e si sente a casa. «Avete sentito l’intervento della suora? È la nostra pasdaran», dice soddisfatto ai conoscenti dopo l’intervento della motivatissima religiosa e docente Anna Monia Alfieri. Standing ovation alla fine giusto per lei, dopo una sequenza di ricercatrici, imprenditori, giovani che scaldano pochino la platea. Ci prova e ci riesce solo in parte Massimo Gandolfini, tra i vip della prima giornata, presidente del Family day del famoso milione in piazza a Roma: «Con Stefano speriamo in una grande ripartenza », dice di essere qui «come portavoce di milioni di famiglie che si sentono ormai figlie bastarde della politica». Penultima fila ed ecco Gianfranco Polillo, ex sottosegretario all’Economia del governo Monti, scettico e curioso. «Diciamo che ci sono le basi, ancora pochi contenuti, zero progetti, però io ho fiducia in Stefano, lo conosco, ha le carte in regola per la leadership», spiega. Siede invece in seconda fila, proprio sotto il palco, un altro ex di quel governo, Antonio Catricalà. «Amico di Stefano, sono qui da curioso » minimizza il già presidente dell’Antitrust. Tra le prime file pure Franco Debenedetti, vistosa spilla “Io voto Sì” al bavero della giacca. «Stefano è un mio personale amico e apprezzo il programma liberale che sta emergendo dalle proposte. Loro votano invece no al referendum? Non lo so, comunque spero che cambino idea». Altro che Salvini, sul palco sale Maryan Ismail, antropologa di origini somale, candidata pd al Comune di Milano, si parla di integrazione. Davvero tanti gli “ex” qualcosa. Claudio Scajola solca la sala tronfio: «Questo ragazzo ha bisogno di una mano» va ripetendo ai conoscenti, quelli almeno che non fingono di non riconoscerlo. «Sono qui per far notare che un pezzo della storia vera di Forza Italia si riconosce nel progetto liberale di Parisi, lui è la scelta migliore fatta da Berlusconi negli ultimi anni». Dell’ex ministro della casa al Colosseo qualche amico di Parisi confessa che ne avrebbe fatto a meno: «Eccolo, il bacio della morte». Gianfranco Micciché, che a differenza di Scajola è tornato in servizio effettivo - è coordinatore siciliano - dice di esserci perchè «Parisi lo conosco da vent’anni e credo in lui, soprattutto ci crede Berlusconi, checché ne dicano gli altri. Io rivoglio Forza Italia e lui è il migliore per rilanciarla». Gli Ncd di Alfano sono perfino più numerosi dei forzisti. Maurizio Lupi, Gabriele Albertini e Maurizio Sacconi. Per Fi giusto Mariastella Gelmini («Ci sono da delegata del presidente e da coordinatrice lombarda, noi abbiamo sempre ascoltato la società civile» dice ma va via presto) e il senatore Francesco Giro. E Berlusconi? Prepara il “gran ritorno” nella sua convention di ottobre a Roma. Però ha chiamato Parisi prima dei lavori, incoraggiandolo, congratulandosi. «È già un successo, parlano tutti di te, vai avanti», gli avrebbe detto. Ma di lui, del vecchio leader, al Megawatt non parla più nessuno. *** STEFANO FOLLI, LA REPUBBLICA 16/9 – Stefano Parisi può cerchiare la data sul calendario perché oggi comincia la sua missione politica. Finora ha svolto un certo lavoro preparatorio, ma adesso le suggestioni non sono più sufficienti. E si capisce perché. L’elenco delle priorità per l’uomo nuovo della destra moderata è così lungo da apparire sotto vari aspetti contraddittorio. In pratica si tratta di recuperare alcuni milioni di elettori smarriti; costruire un rapporto non subordinato con la Lega; evitare di infilarsi in una guerriglia permanente con quel che resta della “nomenklatura” di Forza Italia. E soprattutto convincere gli italiani che il centrodestra sta definendo una rinnovata e autentica leadership, non solo la prosecuzione del berlusconismo con un altro nome (ma il vecchio leader dietro le quinte in questa fase è essenziale). Ognuno di questi punti richiede tempo, freschezza ideale e una buona organizzazione. Sono note le qualità di Parisi, un “manager” che conosce la politica e le sue regole. Ma lui è il primo a sapere che non siamo più nel 1994, quando il crollo del sistema permise a un abile imprenditore delle televisioni di presentarsi come il leader liberale che in realtà non vorrà né saprà mai essere. Il buon senso e il pragmatismo di Parisi sono doti preziose, ma oggi rimettere in piedi un’area politica distrutta è un compito immane. Non basta avere qualche buona idea in politica interna e internazionale. Bisogna avere la tempra per fare e vincere una serie di battaglie realmente liberali, senza paura di scontentare — quando è il caso — intere categorie di elettori e di intaccare sacche di privilegio consolidato. Nessuno infatti può credere che quei dieci milioni di voti che Parisi vuole ritrovare siano tutti di liberali delusi. Ed è meglio non illudersi che la futura alleanza con Salvini, a cui offrire magari un rilancio del federalismo, sia un affare semplice, al di là dell’opportunismo. In fondo Berlusconi ha sempre giustificato il proprio fallimento accusando le resistenze di vari soggetti: i suoi stessi alleati, in primo luogo, poi le istituzioni e la cultura post-comunista diffusa. Oggi gli alibi sono finiti da un pezzo e Parisi dovrà percorrere una strada diversa. Non potrà essere l’interprete di una spinta anti-sistema poiché lo spazio è già occupato dai Cinque Stelle. E anche perché non sarebbe la sua parte, essendo egli un uomo dell’establishment, votato a restituire credibilità al centrodestra agli occhi dell’opinione pubblica, sì, ma anche rispetto ai centri economici e alle cancellerie occidentali. Non a caso i suoi nemici interni — non sono pochi — lo hanno criticato perché nelle scorse settimane si è ben guardato dal criticare Angela Merkel ed è rifuggito dai soliti schemi anti-Unione. Invece ha detto che i problemi del Paese dipendono dagli italiani e non dalle congiure tedesche. Sarebbe strano se avesse fatto il contrario, visto che Forza Italia è parte integrante del Partito popolare europeo e Parisi, avversario del populismo, vuole irrobustire, non indebolire questa presenza. Di qui derivano una serie di conseguenze. Ad esempio, è chiaro che nella nuova, possibile alleanza sarà assegnato alla Lega un ruolo di fatto gregario. E Salvini dovrà riflettere a fondo prima di rifiutare, considerato che gli ultimi sondaggi indicano un regresso leghista: circa due o tre punti al di sotto del massimo storico. Ma la prova più ardua che attende a breve termine Parisi riguarda, come è ovvio, il rapporto con Renzi e quindi la posizione sul referendum e la legge elettorale. Ora il No è stato affermato con una certa decisione, dopo varie titubanze, ma resta da capire se il leader designato riuscirà a mettere ordine nel caos del centrodestra dove solo pochi (Brunetta fra tutti) si sono battuti fin qui contro la riforma renziana. Anche sulla legge elettorale Parisi dovrà prendere una linea, anziché limitarsi a lasciare la palla nel campo di Renzi per vedere come se la cava. Non basta dire che non si faranno accordi sottobanco con il presidente del Consiglio. Dopo il referendum il quadro cambierà in modo radicale a seconda che il premier esca vittorioso o sconfitto dalle urne. *** ALBERTO MATTIOLI PER LA STAMPA 17/9 – A parte «buongiorno», la prima frase che pronuncia Stefano Parisi è un omaggio a Carlo Azeglio Ciampi. Anzi due: uno politico, ricordando quell’accordo sulla scala mobile «che salvò l’Italia dal tracollo», e l’altro personale, «perché è stato un personaggio importante nella mia vita professionale». E il solco già larghissimo con l’altra metà del centrodestra, quella leghista, diventa subito una voragine. Poche ore prima, da Pontida, a cadavere ancora caldo, Matteo Salvini aveva tacciato di «traditore» il Presidente emerito. E qui c’è già tutta la differenza, politica, di stile e perfino antropologica fra le due destre che giocano a distanza il loro derby, fra la «piattaforma nuova» di Parisi al MegaWatt di Milano e la Lega tutta di lotta e niente di governo di Salvini, trincerato nella casa madre di Pontida. Tutta la giornata è così. Da Milano arrivano proposte per un centrodestra più di centro che di destra, da Pontida rimbalzano proteste molto di destra e per nulla di centro. Tattica, certo: Parisi e Salvini sono due galli nello stesso pollaio politico. Però quel che colpisce, in questo ex capannone industriale milanese (ma meno fighetto della Leopolda, popolar-periferico, perfino un po’ disagiato), è la platea, quanto di più sideralmente distante si possa immaginare dalla folla lepenizzata attesa domani sul prato verde Lega di Pontida. Al MegaWatt non c’è una bandiera né uno striscione, per cominciare, perché non è un evento targato Forza Italia. E non c’è nemmeno un vero entusiasmo, perché non è un comizio ma una conferenza programmatica dove per tre ore e mezzo esperti vari ribadiscono le vecchie care ricette di un liberalismo di buonsenso. Alla lunga, noiosetto anzichenò, e infatti un paio di volte Parisi deve richiamare la platea al silenzio con stile da maestro deamicisiano severo ma giusto. E’ un pubblico di reduci. Si sa, in Italia siamo tutti ex qualcosa. Ma questi sembrano proprio degli azzurri prima maniera, moderati doc, piuttosto che gli attuali pasdaran italoforzuti alla Brunetta. Mai vista, negli ultimi convulsi anni italiani, una folla (folla, oddìo: diciamo duemila, massimo duemila e 500 persone, di certo non le 4 mila annunciate) meno «contro». Del resto, sul palco c’è un grande «PER»: «Dobbiamo uscire dal muro contro muro, dal clima che porta gli italiani a votare “contro”», dice Parisi. Il suo pubblico, è chiaro, il governo di scopo con Renzi lo farebbe subito. Si nota con sollievo l’assenza delle abituali bombastiche ragazzotte dei comizi di Berlusconi, con interesse la forte componente cattolica, specie CL e dintorni, sia fra i soliti noti (Lupi, Formigoni, Mauro, Amicone, e Cesana fra i relatori) sia nei militi ignoti della platea: «Sembra il meeting di Rimini in miniatura», chiosa un Anonimo lombardo di area mentre dal palco suor Anna Monia Alfieri martella sulla libertà di educazione. Riemergono pezzi ex grossi della FI che fu, Sacconi, Micciché, Scajola, o addirittura del pentapartito, come l’ex sindaco Pillitteri: «Parisi? Per il centrodestra è l’ultima spiaggia». E con la Lega che si fa? In assenza di risposte dal palco, ecco per quel che vale un sondaggio fai-da-te. Su dieci «parisiani», chiamiamoli così, cinque sono per decidere un programma e poi trattare con Salvini su quello, tre per mettersi d’accordo subito e due, gli estremisti della moderazione, per non mettersi d’accordo affatto e andare alle urne separati. Altro grande assente, Berlusconi. Viene nominato per la prima volta a due ore abbondanti dall’inizio, e non da un relatore dal palco ma da uno spettatore in platea. Qui si aggira il senatore azzurro Francesco Giro tenendo in mano come una reliquia «L’Italia che ho in mente», indimenticato libro programmatico post-discesa in campo. Sulla copertina c’è un Silvio vintage (aveva ancora un po’ di capelli, e soprattutto erano suoi) ma è l’unica immaginetta del caro leader che abbiamo visto in tutta la giornata. Intanto continuano a rimbombare dalla Bergamasca le sparate di Salvini: «Tratti di strada con la gente che c’è oggi da Parisi, no», anzi basta perfino con il centrodestra, «una parola che mi fa venire l’orticaria». Gran finale: «Parisi si è messo sul marciapiede sbagliato». E chissà le invettive domani, davanti ai leghisti puri e duri, quelli con l’elmo con le corna in testa e le ruspe giocattolo in mano. Di certo, però, il centrodestra senza la Lega non può vincere (anche se forse con la Lega può perdere). Prima o poi, da un marciapiede all’altro, bisognerà pure ricominciare a parlarsi. *** MARCELLO SORGI PER LA STAMPA 17/9 – Prima ancora di esordire, ieri, all’assemblea di Milano in cui ha dato forma e volti al suo progetto di ricostruzione dell’impegno politico dei moderati, del centrodestra e di Forza Italia (che forse cambierà nuovamente nome), Stefano Parisi ha collezionato due curiosi e contrapposti record: ha molti, perfino troppi, avversari, più o meno espliciti, posizionati dalla sua parte; e ha ricevuto un numero imprevedibile di incoraggiamenti bipartisan, segno che nell’Italia dominata dall’incubo populista è crescente la voglia di un centrodestra «normale», in grado di contrapporsi all’attuale centrosinistra e di ristabilire l’equilibrio bipolare di cui c’è in giro un’esagerata (almeno pensando a come in realtà funzionava) nostalgia. Parisi è certo il primo ad essere consapevole delle difficoltà cui andrà incontro. Che sono essenzialmente due: la prima è lo stretto mercato, politicamente parlando, delle idee moderate e riformiste, rispetto a quelle radicali e gridaiole. Ne sa qualcosa Renzi, che vede il suo destino dipendere dal referendum, che solo formalmente riguarda la parziale riscrittura della Carta, ma giorno dopo giorno si va trasformando in una specie di giudizio di Dio sull’intera stagione del suo governo e sul complesso delle innovazioni introdotte. La seconda difficoltà è legata al fatto che se il centrodestra non tornerà certo a vincere con le posizioni di Salvini e di Meloni (che infatti alle ultime elezioni sono stati battuti), non si può dire che in passato abbia vinto perché fosse moderato, o perché fosse in grado di diluire in un brodo moderato gli estremismi che albergavano al suo interno. Il centrodestra berlusconiano che Parisi dovrebbe rilanciare aveva la singolare caratteristica di conquistare tutti o quasi i voti di elettori democristiani che tali erano rimasti anche dopo la caduta della Prima Repubblica, ma con toni e argomenti non moderati. E tutto ciò perché Berlusconi non è mai stato sinceramente e convintamente moderato: si pensi al tono viscerale e carico di recriminazioni con cui dispiegava la sua campagna anticomunista, agli insulti riservati ai magistrati (contro il cui accanimento aveva sicuramente motivo di reagire), alle superficialità e alle improbabili semplificazioni storiche sul fascismo (corrette solo tardivamente, mentre Fini aveva da tempo compiuto il percorso opposto), al do ut des con gli ambienti cattolici, spregiudicato quanto inconcludente, alle gaffes in politica estera, dalle corna ai vertici internazionali, a Obama «abbronzato» Così Berlusconi ha vinto tre volte e ha sfiorato la vittoria una quarta. E soprattutto - Parisi non se ne dimentichi - così, per vent’anni, prima dell’implosione, è riuscito a tenere unito il centrodestra. *** MAURIZIO GIANNATTASIO, CORRIERE DELLA SERA 17/9 – «Nel giro di quattro mesi avremo un programma di governo da offrire ai cittadini. Qui a Milano è nata una nuova comunità politica. Noi siamo la vera alternativa al centrosinistra. I grillini? Dove governano fanno confusione». Mostra grande ottimismo Stefano Parisi nella veste di «rigeneratore» del centrodestra. Il gran giorno della «conferenza programmatica» è arrivato. La sera prima era arrivata invece la telefonata di Silvio Berlusconi che gli ha augurato il suo in bocca al lupo. Negli spazi post industriali del Megawatt si radunano circa 2000 persone sui 4000 iscritti: tre maxischermi rimandano le immagini dei relatori. Più Meeting di Rimini che Leopolda. Più impronta cattolica che lib-pop. Ma è solo il primo assaggio, perché il clou è previsto per questa mattina. Sul palco il primo a parlare è Parisi. Lo fa rendendo omaggio a Carlo Azeglio Ciampi. La platea si alza in piedi e applaude a lungo. Un controcanto alle parole pronunciate poche ore prima da Salvini a cui non replica: «Oggi è una giornata di lutto». Via alla «conferenza». Relatori rigorosamente della società civile (Berlusconi non viene mai menzionato se non alla fine quando a parlare del futuro del centrodestra sono il direttore del Corriere della Sera , Luciano Fontana, della Stampa , Maurizio Molinari, della neonata Verità , Maurizio Belpietro e dell’ Huffington Post , Lucia Annunziata) in platea un mix di esponenti delle professioni e una pattuglia ridotta di politici se non fosse per la presenza robusta dei centristi: Maurizio Lupi, Maurizio Sacconi, Roberto Formigoni, Gabriele Albertini. Assente Angelino Alfano che però non le manda a dire: «L’unico mio interlocutore per una riaggregazione dei moderati sarebbe Berlusconi e non Parisi». Latita, ma questo era scontato, Forza Italia. Almeno per quanto riguarda i big perché molti amministratori locali hanno «trasgredito» l’invito a non partecipare. Le presenze più significative sono quelle di Maria Stella Gelmini, qui nella veste di coordinatrice regionale lombarda degli azzurri e di Gianfranco Micciché. Oltre a quella scontata di Francesco Giro. La parola d’ordine è un prudente «ascolto»: «FI ha nel suo dna l’apertura alla società civile — dice Gelmini —. È sbagliato chiuderci e mi sembra giusto essere qui ad ascoltare». All’appuntamento si presentano anche Elisabetta Gardini e Lara Comi. «Toti e Brunetta? — risponde Parisi ai cronisti —. Sono tutti invitati, chi vuol venire viene. Se vogliono stare a casa, per me non è un problema». La sorpresa è l’arrivo di Claudio Scajola. Grande abbraccio con Tiziana Maiolo. «Nessun ritorno a ruoli attivi. Sono qui per ascoltare. Anche con la presenza in ultima fila Parisi merita un appoggio». Più interessante capire chi della società civile ha risposto all’appello di Parisi. Si nota la presenza dell’economista Veronica de Romanis, moglie di Lorenzo Bini Smaghi. A lungo si è parlato di lei come una degli esperti voluti dal premier Renzi per mettere a punto la linea economica del Paese. C’è anche Mario Dal Co che nel corso della sua lunga carriera economica è stato anche consigliere dell’allora ministro dell’Innovazione, Renato Brunetta, il più acerrimo rivale di Parisi. Le relazioni si susseguono a ritmi serrati. Si passa da Massimo Gandolfini, portavoce del family Day a Giancarlo Cesana big di Cl, da Maryan Ismail, l’antropologa che alle ultime elezioni comunali era candidata con il Pd a suor Anna Monia Alfieri a cui è stato tributato l’applauso più caloroso della giornata. In platea non passa inosservato Franco Debenedetti, fratello di Carlo. Sulla giacca verde ha appuntato una spilla con la scritta «Io voto sì». «Sono amico personale di Parisi. Bene il suo progetto». C’è il notaio Piergaetano Marchetti, presidente della Fondazione del «Corriere»: «Pur non aderendo al progetto di Parisi credo che la proposta possa essere utile per il Paese anche per arginare gli estremismi della destra. Sono qui perché mi interessa il dibattito culturale e il confronto è sempre un’opportunità». Sfila l’ex sottosegretario, Antonio Catricalà. In platea siede Lella Golfo, fondatrice e presidente della Fondazione Marisa Bellisario. Il richiamo di Parisi ha incuriosito. Oggi la chiusura con le conclusioni. Le scommesse sono aperte. Maurizio Giannattasio *** FILIPPO FACCI, LIBERO 17/9 – Ci sono centoventi giornalisti accreditati, venticinque telecamere di cui una decina fisse, infiniti fotografi, duecento volontari in maglietta gialla, due poliziotti in divisa più altri in borghese, tre ambulanze, dieci cessi, in tutto quattromila accreditati ufficiali anche se qualche maligno dice che sono milletrecento: dove siamo, chi c’è? Siamo in culo ai lupi, per cominciare: per la sua prima convention politica “Megawatt - Energie per l’Italia” Stefano Parisi ha scelto un postaccio nella più bigia periferia milanese (via Watt, a Famagosta) che non è bello e neanche abbastanza alternativo, è il classico spazio industriale recuperato che potevano anche non recuperare: ma forse Parisi ha fatto apposta anche in questo. È lo schema dei disvalori assunti a valori: rovesciare ogni cascame berlusconiano. Boh, forse. Comunque l’impatto c’è, niente da dire. Anche la grafica e i colori scelti per l’occasione (già li definimmo poverelli) hanno una dignitosa aria da Pds pre-veltroniano, ma anche qui:è sicuramente per sottolineare che a contare è solo la sostanza.Chi c’è, dunque? La decifrazione della fauna è l’aspetto più complicato. Si cerca l’ombra berlusconiana, ma non c’è. L’organizzazione sicuramente non è sua. La logistica e la regia audio e video non sono made in Mediaset (c’è un service) anche se Parisi si è rivolto a un giornalista e a un regista che lavorano a Cologno, ma non c’è nessun link. La moderazione, o meglio “accompagnamento” degli ospiti sul palco, è a opera di un giovane vicedirettore del Giornale, ma anche qui, conoscendolo, è tutto volontariato. I fedelissimi di Parisi sono persone che dicono poco al grande pubblico: Bruno Dapei, Raffaella Della Bianca, Cinzia Messori, Andrea Orsini. C’è l’ex assessore Andrea Mascaretti. Anche una bella truppa siciliana guidata da Gianfranco Miccicché, in generale c’è molto Sud. Alcuni vengono dalla provincia di Foggia. Ecco l’ex sindaco Gabriele Albertini. Ed ecco pure Mariastella Gelmini,attorniata da microfoni e telecamere in mancanza d’altro. Di Forza Italia, comunque, pochi, di Publitalia pure. Leghisti nessuno, solo qualche avanzo di oratorio coi calzini bianchi corti. Nessuna minigonna. Nessuna scosciata, neanche quelle che sembrano scosciate anche in pantaloni. Ecco Maurizio Lupi con Luigi Amicone,e anche il presidente del consiglio regionale Raffaele Cattaneo, l’assessore del Pirellone Luca Del Gobbo, tutti di Ncd. In effetti in sala è piena di ciellini, e non solo perché tra i presenti c’è anche Roberto Formigoni: loro in fondo ci sono sempre. Daccapo: come decifrare l’indecifrabile? Come capire chi compone il pubblico, senza pregiudizi? Esteticamente sembra una Forza Italia dell’est, ma sia detto per contrasto con quella sin troppo luccicante dell’ovest. C’è un sacco di gente normale, anche giovane. Per qualche ragione, nessuno è abbronzato.Parisi, intanto,alle 15 spaccate, ha cominciato a parlare. Prima un doveroso omaggio a Carlo Azeglio Ciampi, col quale ebbe a collaborare, poi una serie di cose ineccepibili, generiche, già sentite (da lui e non solo da lui) le quali purtroppo non mutano lo stato dell’arte: per ora manca il contenuto e anche il contenitore, che poi è un po’ quello che lamentano tutti, quello che i giornalisti vorrebbero tradurre in qualche notizia. Niente da fare, il mistero continua. E Parisi pure, bissando quanto già detto nella pre-convention di inizio mese al Teatro San Carlo. Dopodiché, dal punto di vista di quello che i giornalisti intendono per notizia, è già finito tutto. Parisi doveva parlare dieci minuti:ne ha parlati nove. Segue una carrellata di interventi decisamente disparati (tra questi uno del figlio di Renato Mannheiner, Giacomo, che parla della Zambia, e poi di una suora economista, Anna Monia Alfieri) che magari sono molto interessanti, ma non aiutano a capire il quadro d’insieme. Forse non c’è niente da capire: èun magma politico, fine, prima o poi sarà materia solida. Così, nell’attesa, ciascuno spara la sua. «Forza Italia», mormora sottovoce una vecchia volpe del giornalismo militante, «era nata liberale e cattolica, ora qui è diventata ultraliberista e ipercattolica». Si riferisce alla presenza dei liberisti dell’Istituto Bruno Leoni e poi al primo oratore che ha parlato dopo Parisi, il neorologo Massimo Gandolfini, aderente al Cammino Neocatecumenale ma soprattutto fervido organizzatore del Family Day. Beh, in effetti. Si era letto che dovesse intervenire anche Eugenia Roccella. Ci sono anche tanti ex socialisti, gente varia, persino l’ex segretario di Gianni De Michelis.«La seconda Repubblica »,maligna sottovoce l’ex portavoce di un ministro, «era fatta dalle seconde file della Prima: e queste che scalpitano, qui, sono le terze». Troppo cinismo. «Nel giro di qualche mese presenteremo un vero programma di governo »,ha detto Parisi. Uhm. Ma nel giro di qualche mese, forse, si capirà pure chi sarà a presentarlo. «Le cose che dice Parisi le diceva Passera tre anni fa» dice un dinamico ragazzo dell’ormai ex Italia Futura; «Poi ho letto che parlerà anche Nicola Rossi: ma venne a parlare già da noi, e, prima ancora, era andato a parlare da Enrico Letta. Ma altri economisti?».Boh. Forse quest’ansia da decrittazione è uno stupido riflesso giornalistico: il profilo più difficile da catturare, a ben pensarci, potrebbe essere proprio quello della normalità: il celebre Paese normale di centrodestra, anzi, il Paese normale e basta. Quello che votava Berlusconi e che ora vota Renzi, ma che era, più o meno, lo stesso Paese. Difficile intrappolarlo nell’urna, difficile intrappolarlo qui,difficile credere che sia solo un jingle berlusconiano, o un circolo del buongoverno, o un club di Forza Italia, o una militanza da Family Day, o un destrismo da borgatari, o un Ulivo di centrodestra. Difficile sapere o capire quanto sia qui, questo pomeriggio, in culo ai lupi, a Famagosta. Ma c’è. Stefano Parisi lo evoca e il mistero continua.