Eva Cantarella, Sette 16/9/2016, 16 settembre 2016
SE LA DONNA MATURA AMA UN GIOVANETTO
TUTTI S’INDIGNANO–
Fedra, quella che conosciamo, quella alla quale questo nome ci fa pensare, è una donna perdutamente innamorata del figliastro Ippolito, nato da una precedente relazione del marito Teseo con un’amazzone. A farla innamorare è stata Afrodite, la dea dell’amore, che vuole così vendicarsi di Ippolito che, fedele alla dea vergine Artemide, rifiuta sprezzantemente le nozze. L’amore di Fedra è incolpevole, dunque, ma lei, moglie e madre perfetta, pur di non cedere alla tentazione si lascia morire.
Questa, la Fedra nota grazie all’Ippolito di Euripide, racconta il precipitare della tragedia: la nutrice di Fedra, credendo di aiutarla, svela a Ippolito il suo segreto, ovvero che Fedra lo ama. Inorridito, Ippolito si abbandona a una terribile, celebre invettiva contro le donne. Fedra è disperata, la voce del suo colpevole amore potrebbe spargersi, la sua fama di donna onesta potrebbe essere messa in dubbio, la reputazione dei suoi figli rovinata. Unica possibile soluzione, il suicidio. Ma, prima di mettere in pratica il suo progetto impiccandosi, traccia su un biglietto, che si lega al polso, una terribile accusa: Ippolito ha approfittato di lei. Il finale, superfluo a dirsi, è altamente drammatico. Teseo maledice il figlio, scacciandolo dalla reggia e dalla città e chiedendo a Poseidone di dargli la morte. Ippolito prende la via dell’esilio e muore travolto dai suoi cavalli imbizzarriti. Nel frattempo, Artemide svela a Teseo la verità, ma è troppo tardi. Riportato a Palazzo, Ippolito muore tra le braccia del padre, quasi fuori di senno per il dolore e il senso di colpa.
Questa, la storia resa celebre dall’Ippolito, ma non è l’unica storia di Fedra che Euripide mise in scena. Alcuni anni prima dell’Ippolito coronato (questo il titolo completo della tragedia andata in scena nel 428 a.C.), Euripide aveva presentato agli ateniesi un Ippolito velato, di cui sono rimasti pochi frammenti, peraltro sufficienti a farci capire che, a differenza della seconda, la prima Fedra non intendeva affatto rinunciare al suo amore. Al contrario, tentava di convincere Ippolito a ricambiarla. Era una donna inconsueta, diversa, ardita, che scandalizzò i benpensanti ateniesi. Era una Fedra la cui storia seguiva un modello di racconto che – con delle varianti – si ritrova in India, in Cina e nelle Sacre Scritture: una donna matura ed esperta s’innamora di un giovane uomo onesto e virtuoso, che respinge il suo amore. Quando questo accade, la donna provoca o cerca di provocare la morte del giovane. Nella Genesi, lo schema torna nella storia di Giuseppe e la moglie di Putifarre: Giuseppe, schiavo di Putifarre e oggetto delle avance della moglie di questi, per rispetto verso il padrone, che ama come un figlio, rifiuta le insistenze della donna. Per vendicarsi, questa lo accusa di avere insidiato la sua virtù, e Putifarre fa arrestare e imprigionare Giuseppe (che peraltro viene salvato da Jahvé).
Ma gli ateniesi non ammettevano che le loro donne si comportassero in quel modo, neppure sulla scena. La Fedra descritta nel primo Ippolito suscitò scandalo e riprovazione, era troppo diversa dal modello cui le donne ateniesi erano tenute a conformarsi, era una donna che prendeva iniziative in campo sentimentale e sessuale... Per gli ateniesi era una svergognata, per non dire una prostituta. A definirla tale, esplicitamente e più di una volta, è Aristofane, che quando parla di lei non usa mezzi termini: nelle Rane (405 a.C.), nella famosa scena in cui descrive una gara tra Eschilo ed Euripide, nel corso della quale ciascuno dei due tragici espone i propri meriti (che ciascuno di essi ritiene superiori a quelli dell’altro), Eschilo, tra i propri, cita il fatto di non aver mai messo in scena una prostituta come Fedra.
Così vedeva la prima Fedra non solo Aristofane, ma anche la gran parte degli ateniesi. E anche delle ateniesi, che Aristofane, nelle Tesmoforiazuse, immagina così indignate dall’offesa alla loro reputazione (sempre per colpa di Fedra) da decidere di mettere a morte Euripide.
Senza diritto di scegliere. A questo punto sono evidenti le ragioni per le quali Euripide, a seguito delle reazioni suscitate dalla prima Fedra, ne presentò una seconda, così diversa. Fu per questo che nel secondo Ippolito raccontò una Fedra pronta a morire pur di non cedere a un colpevole amore. Una Fedra assai meno celebre della seconda, ma destinata a non essere dimenticata: a farla rivivere, infatti, sono state molte, belle e celebri rivisitazioni. È alla prima Fedra, infatti, che sono state ispirate, nei secoli, quella di Ovidio (nelle Eroine), quella di Seneca (finalmente protagonista della tragedia, anche nel titolo), che muore dopo Ippolito, uccidendosi alla vista del cadavere di lui, dopo averlo scagionato confessando la propria menzogna. E poi, ancora, quella di Racine (1677), e all’inizio del XX secolo (nel 1903) una Fedra violenta e selvaggia, tipicamente dannunziana, a volte addirittura sanguinaria, ma sempre, come nelle versioni precedenti, il vero personaggio tragico, la cui statura si erge, altissima, in contrapposizione alla pochezza del debole, insicuro Ippolito. Sono molte le considerazioni che vengono alla mente pensando alle due Fedre euripidee e riguardano sia il passato sia il presente. La prima domanda che vien fatto di porsi è la seguente: in che modo le donne ateniesi percepivano le norme che regolavano la loro vita? In mancanza di qualunque voce femminile in proposito, bisogna accontentarsi delle supposizioni legittimate dalla seconda Fedra e dalle ragioni che spinsero Euripide a scriverla, e queste inducono a riflettere sulla forza cogente che – anche allora – avevano i modelli di comportamento mediaticamente diffusi (ovviamente, dai media dell’epoca, e il teatro era uno di questi, per non dire il più rilevante di essi). Evidentemente, accanto alla forza normativa delle regole giuridiche, esisteva – non meno potente – quella delle sanzioni sociali, qual era in primo luogo la vergogna. Era il timore della perdita di immagine – forse più ancora delle rigide regole giuridiche – quello che rendeva le donne greche complici degli uomini che le avevano relegate a un ruolo funzionale ai loro bisogni, ai loro interessi e al loro piacere. La storia di Fedra fa pensare all’ingiustizia di un destino “di genere” che negava alle donne greche il diritto di scegliere l’uomo da amare e quello di vivere quell’amore, del quale purtroppo sono vittime ancora oggi tante donne, in altre parti del mondo. La storia antica, come spesso accade, insegna cose su cui è ancora importante riflettere.