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 2016  settembre 16 Venerdì calendario

DAL WEST VILLAGE ALL’EX ALPHABET CITY, I LUOGHI DELLA GRANDE MELA DOVE SI È FATTA UNA STORIA DELLA MUSICA. VIAGGIO NELLA MANHATTAN DI HENDRIX, DYLAN E B.B. KING CELEBRATA DALLA SERIE TV CREATA DA SCORSESE E JAGGER


L’appartamentino di due camere da 60 dollari al mese dove un ragazzino squattrinato ma pieno di talento e di sogni arrivato da Duluth, Minnesota, si trasferì nel 1961, è al terzo piano di una casa di mattoni rossi di West 4th Street. Bob Dylan cominciò ad esibirsi al “Cafe Wha?”, un club musicale (tuttora attivo) a pochi metri di distanza, al 115 di McDougal Street: un localino nel quale è passata la storia del rock, da Jimi Hendrix a Bruce Springsteen, passando per Kool and the Gang e tanti altri.
Dylan entrò in una notte di pioggia gelata di gennaio chiedendo di poter cantare alcune canzoni di Woody Guthrie. Lì gli artisti erano pagati dal pubblico che metteva un’offerta in un cesto che passava tra i tavoli. Ma lui, subito acclamato dalla gente, andò dal proprietario, Manny Roth, chiedendo un compenso: ricevette un “cachet” di un dollaro e mezzo.
In una manciata di strade, nel West Village di New York, si incontrano le case e i locali frequentati da tanti musicisti, pittori, scrittori della “beat generation”: la Cedar Tavern di Jack Kerouac, Allen Ginsberg e Jackson Pollock, le case di Frank Zappa, Lou Reed e Guthrie. E quella, al 105 di Bank Street, nella quale abitarono John Lennon e Yoko Ono prima di trasferirsi “uptown”, nel Dakota Building.
Ancora qualche passo e si arriva agli “Electric Lady Studios” in West 8th Street, creati da Jimi Hendrix poco prima della sua morte per “overdose” a 27 anni (a Londra nel 1970) e poi divenuti un vero tempio del rock: qui hanno registrato brani musicali Led Zeppelin e i Rolling Stones, AC/DC e gli Aerosmith, B.B. King, John Lennon e tanti altri artisti celebri. Studi di registrazione tuttora attivissimi: qui Jovanotti ha registrato vari brani nel suo periodo “americano”, compreso, qualche mese fa, “Ragazza Magica”.
New York è un museo a cielo aperto del cinema, pieno di angoli nei quali sono stati girati film celebri. E’ un museo della “street art” con i “murales” di Soho e di Brooklyn, da Bushwick a Williamsburg, ed è anche un’esposizione dell’arte, del cibo e dell’artigianato delle oltre cento entnie che popolano la città. Ma è pure un museo del “rock”, soprattutto quello degli Anni Settanta. Non solo mostri sacri della musica, ma anche l’emergere della cultura “punk”, di tanti artisti scatenati, da Alice Cooper, ai New York Dolls e ai Velvet Underground.
Per trovare le tracce di questa musica più estrema bisogna andare un miglio più a est, tra East Village e Alphabet City. Qui ci sono luoghi di culto come i grandi, curatissimi “murales” dedicati a Joey Ramone e a Joe Strummer, il leader dei Mascaleros. Ma se ci si affida alla guida di personaggi che sono i curatori di questo museo a cielo aperto come Bobby Pinn, si può scoprire che un edificio apparentemente anonimo di St. Marks Place, cinque piani di mattoni ingrigiti e scale antincendio arrugginite, è la facciata raffigurata sulla “cover” di Physical Graffiti, celebre album doppio dei Led Zeppelin.
Bobby è un ragazzo di sessant’anni di Pittsburgh, arrivato a New York a metà degli anni Settanta trascinato dal suo amore per la musica. Ha lavorato nell’industria discografica. Poi, quando internet l’ha travolta, si è dato allo “streaming”: «Mi piaceva, ma non ti dava da vivere. Me ne occupo ancora, ma oggi il lunario lo sbarco scrivendo libri e portando in giro chi ama quell’epoca e la sua musica».
È l’eta spensierata, eccessiva e maledetta raccontata da “Vinyl”, lo sceneggiato televisivo prodotto dalla Hbo nato da un progetto di Mick Jagger e Martin Scorsese che è stato anche il regista delle prime puntate. La storia di Richie Finestra, il capo di una casa discografica chiamata, nella fiction, American Century, sempre in bilico tra la scoperta di nuovi talenti e fallimenti clamorosi, in una città vitale e violenta, in un business fatto di creatività, talento, droga, sesso e infiltrazioni mafiose.

Una ragazza ambiziosa. Bobby Pinn, che in realtà si chiama Ron Colinear ma si è scelto, come i suoi idoli Iggy Pop e Joey Ramone, un “nom de plume” quando è arrivato a New York, se li ricorda bene quegli anni: «Oggi l’East Village è gentrificato, sicuro, quasi asettico. Ormai i professionisti di Wall Street sono arrivati anche qui. Ma io ricordo ancora quando Alphabet City (il quartiere con le “avenue” denominate con lettere dell’alfabeto, anziché coi numeri) era “off limits”. Ci potevi entrare solo con l’elmetto e io avevo ribattezzato le sue strade con nomi come Assault, Battery e Crime and Death».
È il quartiere nel quale nel 1977 arrivò dal Michigan una ragazza ambiziosa: Louise Ciccone, Madonna. «Arrivò con una borsa e 30 dollari», ricorda Pinn. «Chiese al tassista di lasciarla dove c’era più vita e lui la portò a Times Square. Lei si spostò subito ad Alphabet City, al 234 di East 4th Street: una zona piena di povertà, droga, violenza, dominata dalle gang, ma anche casa di molti artisti e con gli affitti più a buon mercato della città».
New York cambia in fretta: quartieri restaurati, palazzi di povera gente o artisti squattrinati diventati condomini di lusso. Ma anche i locali di un’epoca irripetibile, sfrenata – anni di grande libertà nel periodo dopo la rivoluzione sessuale e prima dell’Aids – dei quali rimane ormai soltanto il ricordo. Sparito il Club 54 a “midtown”, dove persino Donald Trump ha raccontato di aver assistito a orge incredibili (argomento accantonato da quando, candidato alla Casa Bianca, si è messo a caccia dei voti della destra religiosa). Sparito anche il “Palladium” (ora è una struttura della New York University). Mentre il “Limelight”, una chiesa gotica sconsacrata, chiuso per droga e poi riaperto qualche anno dopo con un nuovo nome, “Avalon”, adesso è diventato una galleria di piccole boutique.
È andata anche peggio al “Fillmore East”. Fin dall’inizio del Novecento grande teatro del Lower East Side, sulla Seconda Avenue, con 2.700 posti, riaprì nella primavera del 1968 come magnete della “beat generation” e della musica rock. Inaugurato con un concerto di Janis Joplin, divenne poi la sede di innumerevoli esibizioni dei Doors, dei Beach Boys, di Neil Young, Frank Zappa, Jimi Hendrix, i Grateful Dead. Qui gli Who presentarono per la prima volta “Tommy”, la loro opera rock. Memorabile l’esordio dei Led Zeppelin, nel gennaio del ‘69. Erano stati scritturati per fare da “spalla” a un concerto degli Iron Butterfly. Ma da apripista si trasformarono in protagonisti: il pubblico chiese loro un’infinita serie di “bis” e il manager degli Iron, infuriato, ritirò il suo gruppo.
Fallito negli anni Settanta, il Fillmore East è diventato prima un “dance club” per gay, poi una banca: una filiale della Apple Bank che, riconoscendo il valore storico dell’edificio, ha tappezzato le pareti con le foto storiche dei grandi concerti tenuti qui.
Sparito anche Max’s Kansas City su Park Avenue South che fu il punto d’incontro di musicisti, stelle del cinema, da Jane Fonda a Faye Dunaway e maestri della “pop art” come Salvador Dalì e Andy Warhol che aveva creato qui vicino la sua celebre “Factory”. L’ultimo a cadere, dieci anni fa, è stato il celebre CBGB. Aperto nel 1973 in una zona malfamata, sulla Bowery all’angolo di Bleecker Street, con l’idea di farne, come dicono le sue iniziali, un tempio “low cost” della musica “country”, “blue grass” e “blues”. Nei suoi 33 anni di attività, prima di chiudere con un concerto di Patti Smith e dei Red Hot Chili Peppers (il padrone aveva alzato troppo l’affitto), sul palco del CBGB sono passate ben 33 mila band musicali.
Oggi il locale è diventato una “boutique” di John Varvatos. Lo stilista ha lasciato intatte alcune pareti del vecchio locale con tanto di graffiti e manifesti. Il tour della nostalgia si può chiudere a “midtown”, tra la Carnegie Hall, grande teatro della musica classica che ha, però, ospitato anche molti concerti rock a partire dall’esibizione dei Beatles nel loro tour americano di 52 anni fa. Un evento immortalato nel museo del teatro dove sono esposte le foto del concerto e anche una celebre locandina con un errore imperdonabile: Paul McCartney presentato al pubblico come John McCartney.

Tutti al Chelsea Hotel. Ma, appunto, di musei stiamo parlando, al chiuso o a cielo aperto. Alla fine ti rimane l’amaro in bocca non solo per i luoghi spariti, ma soprattutto per la sensazione che tutta questa storia del rock è ormai roba da museo. Chi vuole provare ad assaporare gli ultimi brandelli dell’atmosfera nella quale a metà del secolo scorso si incontrarono scrittori, artisti e musicisti che hanno trasformato la cultura americana, può provare ad affacciarsi nella hall del Chelsea Hotel sulla Ventitreesima strada (ora riconvertito in gran parte in condominio di appartamenti). Qui vissero Tennessee Williams e Arthur Miller, Charles Bukowski e Gore Vidal, prima ancora che arrivasse il popolo della Andy Warhol Factory, e anche Patti Smith, Jimi Hendrix, Lou Reed, Dee Dee Ramone e tanti altri. O può andare a prendersi un cocktail nella penombra del bar di “El Quijote”, il ristorante spagnolo del Chelsea Hotel.
O ancora, tornando nel Village, può andare a sentire musica in uno dei pochi locali sopravvissuti di quell’era – dal “Cafe Wha?” al “Bitter End” – o sedersi in qualche vecchio bar come il Caffè Reggio in McDougal Street. Ci puoi andare per il brivido di sederti ai tavoli un tempo usati quotidianamente da Bob Dylan, Jimi Hendrix e Bruce Springsteen, perchè qui sono state girate scene di film entrati nella storia del cinema come Il Padrino 2 e Serpico. O, semplicemente, per verificare, in questo bar aperto nel 1927 che si vanta di aver portato per la prima volta il cappuccino “Italian style” negli Usa, quanto sia italiano il suo cavallo di battaglia: il Double Espresso Romano with Amaretto.