Antonio Carlucci, il venerdì di Repubblica 16/9/2016, 16 settembre 2016
GIUDARE IN VIETNAM
È un’esperienza indimenticabile guidare sulle strade della capitale del Vietnam. Un’auto come una motocicletta. Percorrere la via Yen Phu, che collega il centro di Hanoi con la zona residenziale di West Lake, imboccare il ponte Cau Chuong Duong che attraversa il Fiume Rosso, penetrare nelle stradine della Old City di Hanoi dà sempre una sensazione che poche città al mondo offrono. Ti senti avvolto e travolto da un fiume in piena di motociclette, motorini, vespe, ciclomotori di ogni forma, colore e cilindrata. Mezzi carichi spesso all’inverosimile, di esseri umani come di oggetti che si muovono con regole tutte loro tra automobili, camion e autobus piccoli e grandi.
Solo ad Hanoi mi è accaduto di rimanere imbottigliato quasi due ore a un incrocio tra due vie che corrono parallele lungo un canale e sono attraversate ogni 200-300 metri da un ponte di collegamento e scoprire che tale era il nodo intricato di lamiere che neppure i mezzi a due ruote riuscivano più ad andare un solo centimetro avanti o indietro, a destra o sinistra. Tutti bloccati, fermi, incapaci di inventare qualcosa per districarsi. Esperienza unica, pur avendo guidato per le strade di città sempre sull’orlo della paralisi come Mumbai, Shanghai o Beirut.
Ad Hanoi, ogni giorno è peggio, e il futuro può trasformarsi in un incubo. Circolano quasi 5 milioni e 500 mila veicoli a due ruote (la nazione con i suoi 90 milioni di abitanti ne ha oltre 46 milioni, uno ogni due vietnamiti). Alcune statistiche indicano che la strada verso il precipizio chiamato paralisi potrebbe essere vicina: gli studi raccontano che l’80 per cento degli spostamenti all’interno di Hanoi sono effettuati a bordo di un motoveicolo, e solo il 9 percento con mezzi pubblici. Questo dato non può che peggiorare perché il Paese sta crescendo economicamente e uno degli effetti dello sviluppo è la corsa a possedere un mezzo a due e a quattro ruote.
Ecco allora che dirigenti, amministratori della città e dirigenti locali del Partito comunista del Vietnam hanno pensato che la soluzione sia vietare il traffico nel centro di Hanoi a tutti i motoveicoli, anche se da queste parti il centro è un’area difficile da identificare con precisione se si esclude la Old City, decisamente piccola. A che cosa si riferiscono gli ideatori? All’area ad alta densità governativa che gravita intorno al palazzo presidenziale e al mausoleo del padre della patria Ho Chi Minh? 0 a quella molto più vasta che può avere come vertici a nord e a sud i laghi HoThai e Ho Bay Mau? Per adesso non si sa.
Ovviamente la misura dell’interdizione della circolazione ai motoveicoli è lontana nel tempo. È fissata per il 2025 e legata direttamente ai progetti di realizzazione di sei linee della metropolitana e tre di autobus veloci e su corsie riservate per collegare le periferie al centro. Il progetto è già avviato ma i problemi sono stati più numerosi del previsto: ce ne sono stati tra i sub appaltatori del progetto, tutte imprese di nazionalità diversa che fanno capo alla China Railway; e poi tra il governo cinese, grande sponsor e finanziatore del progetto, e quello vietnamita, che è arrivato a bloccare i lavori per garantire la sicurezza delle condizioni di lavoro nei cantieri. Risultato? La conclusione dell’opera è stata spostata sempre più in avanti. Adesso, tra molti dubbi, è previsto il primo viaggio perla fine del 2016, ma solo sui 13,5 chilometri che corrono allo scoperto collegando il centro con le periferie.
Il resto del sistema di trasporto pubblico dovrebbe vedere la luce per il 2025. Cosi, la notizia della chiusura di una parte della capitale ai motoveicoli sembra più appartenere all’inizio di una campagna di educazione stradale che il governo sta conducendo su diversi fronti e con una evidente difficoltà sia per i costi che comporterebbe, sia per la vastità della platea cui si riferisce, e per la evidente arretratezza della cultura stradale dei vietnamiti. Come in qualsiasi Paese che improvvisamente accede a moto e auto, le regole rischiano sempre di essere all’ultimo posto, perché al primo c’è possedere un mezzo di locomozione privato e avventurarsi per le strade. Chi guida ad Hanoi si accorge subito come sia assolutamente normale che un’intera famiglia di 4 o 5 persone, bambini piccoli inclusi, viaggi a bordo di uno scooter. Così come un incrocio regolato da un semaforo non garantisce la sicurezza: il segnale rosso viene considerato con una frequenza impressionante non un obbligo a fermarsi, ma semplicemente una macchia di colore nel paesaggio cittadino. Lo stesso vale nel rapporto auto e moto con i pedoni. I primi considerano regolarmente le strisce pedonali non un obbligo a lasciare passare chi è a piedi, ma una fastidiosa macchia di vernice sull’asfalto. Se poi si guida fuori città, sulle autostrade che stanno mese dopo mese collegando in modo più moderno il Paese, l’uso sconsiderato della corsia di emergenza da parte di auto, camion e autobus per correre e sorpassare è considerato il normale modo di condurre il proprio mezzo.
Naturalmente, al primo posto di questa educazione stradale a colpi di divieto di circolazione ci sono i motoveicoli, visto che stiamo parlando di decine di milioni di mezzi che corrono sulle strade del Paese. Ben sapendo che il blocco della circolazione annunciato con così grande anticipo e per una data lontana nove anni non viene tenuto in gran conto, le autorità di Hanoi (e quelle di Ho Chi Minh city) hanno messo sul tavolo delle restrizioni al traffico anche il controllo dei gas di scarico delle moto. A cominciare dal 2017, e all’inizio solo per quelli di cilindrata superiore ai 175 cc. Che l’inquinamento da traffico sia un problema molto serio è evidente guardando i conducenti delle moto quasi sempre con una mascherina sul viso. Adesso, poi, si è messa di mezzo pure l’ambasciata americana ad Hanoi, la cui centralina atmosferica ha segnalato che i dati sui fumi di scarico sono arrivati ad essere sette volte superiori ai limiti consentiti dall’Organizzazione mondiale per la salute.