Francesco Novelli, Come 9/1996, 15 settembre 2016
FENOMENOLOGIA DEL PETO
[box alla fine]
Come, settembre
Bologna. Cena rotariana. Signori in blu, dame ingioiellate. Improvvisamente a M. C., ingegnere assai noto in città, sfugge un peto. Rumoroso. La signora alla sua sinistra lo guarda sdegnata. Serafico e perfido, senza tradire alcun imbarazzo, il professionista rispolvera con prontezza la vecchia battuta: «Signora non si preoccupi. Dirò a tutti che sono stato io». Encomiabile rapidità di riflessi o collaudata consuetudine con un inconveniente che, di norma, suscita disagio e imbarazzo?
È bene chiarire subito che la formazione di gas, entro certi limiti, è fenomeno tanto normale che chi non ne produce affatto dovrebbe addirittura preoccuparsi: probabilmente ha problemi legati alla flora batterica intestinale. Tale flora metabolizza tutto quanto di non digerito (o non digeribile, come le fibre) arriva nel colon trasformandolo in prodotti volatili. Sembra che la digestione di un pasto relativamente pesante, ricco di carboidrati, possa generare addirittura fino a 15 litri di gas.
Una buona parte di questa ricca elaborazione, fortunatamente, viene riassorbita dal sangue, entra in circolo e poi viene innocuamente espirata attraverso i polmoni. Ma una certa quantità può creare problemi più o meno tumultuosi.
Problemi che sono soprattutto di carattere psicologico. Già, perché l’equilibrio dei soggetti gioca un ruolo di grande rilievo. Sembra quasi si svolga un dialogo costante tra stato d’animo e viscere: finché il tono rimane pacato e disteso tutto fila via liscio, ma non appena il ritmo accelera e diventa sincopato possono cominciare, come è logico, le incomprensioni. In altre parole l’intestino risponde male, irritato appunto, alle sollecitazioni che gli vengono dall’alto, cioè dalla testa.
Come sostiene Paolo Bianchi, cattedratico all’Università di Milano e presidente della Società italiana di gastroenterologia, quello dell’intestino è un pianeta ancora tutto da scoprire. «Sappiamo che ha un sistema nervoso interno» afferma «una specie di computer che regola tutti i movimenti e le funzioni. C’è una fase digestiva in cui deve muoversi in un certo modo, poi ce n’è un’altra in cui, per così dire, si lava, si pulisce di tutte le scorie prima di cominciare un altro pasto. Sono programmi che si innestano automaticamente, come quelli di una lavatrice» spiega Bianchi «regolati da cellule nervose che pesano quanto quelle del cervello umano».
Ma allora, come cautelarsi contro l’imbarazzante scatenamento degli elementi? Ecco i suggerimenti utili.
La prima cosa, ovvia, consiste nel combattere o, meglio ancora, nell’evitare lo stress. Mica facile. Non deve quindi sorprendere più di tanto che il gastroenterologo, nei casi più ostinati e irriducibili, chieda sostegno e conforto allo psichiatra. Ma non è solo quello psicologico che può causare un’“iperventilazione”. Anche lo stress fisico è da evitare. E quindi si consiglia vita non proprio abitudinaria, ma senz’altro il più possibile ordinata e disciplinata. Come seconda cosa è opportuno sorvegliare l’alimentazione. Una dieta molto ricca di fibre, ma anche una troppo raffinata, è potenzialmente pericolosa. Certi legumi, come gli squisiti ma fatali fagioli, o le lenticchie, i cavoli in tutte le loro varianti, i carciofi sono una manna per la flora batterica che non aspetta altro per dare il meglio di sé: questo lo sanno tutti. Ma forse è meno noto che altri elementi sono ugualmente a rischio: i succhi di frutta, per esempio, i quali normalmente contengono un additivo edulcorante, il sorbitolo, che è anche un purgante.
Salvo casi abbastanza rari l’emissione di gas, come si è visto, è un fatto squisitamente funzionale. È però possibile che sia il campanello d’allarme che segnala l’insorgere di alcune malattie organiche serie, come la pancreatite, soprattutto se accompagnato da altri sintomi come dimagrimento improvviso. Le persone a rischio sono quelle sopra i cinquant’anni che non hanno mai avuto problemi con il proprio intestino.
Per farla breve, chi ha un ritmo di vita scandito da profonde emissioni di gas non ha motivo di preoccuparsi più di tanto: un celeberrimo banchiere milanese pare attraversi i suoi ottant’anni tra una scarica e l’altra in perfetta serenità. E neppure deve preoccupare l’odore: ne è responsabile, oltre al cibo, la flora batterica che si può cambiare, ma che dopo pochi mesi torna a essere quella di sempre. Il perché di questo fenomeno è ancora sconosciuto, ma la tendenza a produrre un gas piuttosto che un altro è accertata, è una sorta di imprinting. E a poco valgono, in genere, i farmaci sul mercato: nel migliore dei casi sono poco più che palliativi e hanno un effetto assai limitato nel tempo.
In attesa che la medicina trovi risposte adeguate a questo problema, non resta che scherzarci su. Come faceva Wolfgang Amadeus Mozart scrivendo alla sorella sui suoi “rumorini”. O come Vittorio Emanuele II che bonariamente invitava Camillo Benso conte di Cavour (il quale quando non ne poteva più si precipitava fuori dallo studio del sovrano per liberarsi e rientrava immediatamente) a far pure il rumore nella stanza ma a lasciare l’odore fuori dalla porta.
Francesco Novelli
Numeri
Media emissioni: 15 al giorno.
Volume giornaliero delle emissioni: tra un minimo di 0,2 e un massimo di 2,1 litri.
Velocità d’emissione: tra 0,1 e 1,1 metri al secondo.
Volume medio di una emissione: 40 millilitri.
Composizione media: 60% azoto, 20% idrogeno, 15% anidride carbonica, 5% idrogeno solforato. In un terzo delle emissioni si trovano tracce di metano
(Dati ricavati da una ricerca di “Der Spiegel”).
Rimedi
I medicinali più noti e diffusi contro la flatulenza non sono molto efficaci. Per un semplice motivo: combattono i sintomi ma non affrontano alla radice la sindrome dell’intestino irritabile: hanno effetto molto modesto (e a volte neppure quello) solamente nel breve periodo.
Si possono dividere in due grandi famiglie e hanno un minimo comun denominatore: vengono commercializzati sotto forma di compresse.
La prima è quella dei medicinali che dovrebbero assorbire i gas (e in parte lo fanno), un po’ come la spugna con l’acqua, e sono a base di carbone, talora arricchito di fermenti lattici.
La seconda famiglia è quella degli antischiuma, cioè di quei medicinali che dovrebbero rompere la bolla d’aria che si forma nel colon. Ma se al posto di un’unica bolla se ne formano cinque o sei più piccole il sollievo è solo apparente. In altre parole c’è il rischio dell’“effetto cacciatore”: invece di dedicarsi alla caccia grossa e sparare un unico proiettile di grosso calibro, il cacciatore partecipa a una battuta al fagiano e scarica rose di pallini...
Parole
Nel linguaggio medico l’emissione di gas intestinali viene detta flatulenza, ma nel vocabolario quotidiano questa parola è sostituita da altra, altrettanto dotta ma più gentile: peto. Peto discende dal latino peditum (Catullo l’ha immortalata nei suoi carmi) ed è arrivata all’italiano probabilmente attraverso il francese antico pet. La voce latina è in qualche modo sopravvissuta nei dialetti meridionali nelle forme piditu e piritu.
Il sostantivo latino deriva dal verbo pedere (che significa spetezzare) e, nel XIII secolo, in Italia venne sostituito dall’iterativo peditare che nelle forme dialettali è diventato petar nel Veneto e nel Mantovano, petà nel resto della Lombardia, ptà nel Piacentino e così via.
Per estensione, il provenzale petadou e il catalano petador significano deretano che in piemontese è diventato petandun.
Le voci popolari che indicano gli imbarazzanti zefiri sono infinite: tra le più comuni coreggia, in diverse varianti, e loffa. Esiste peraltro una sorta di scala Mercalli del peto, in qualche modo orrendamente onomatopeica, che delizia le popolazioni studentesche, soprattutto centromeridionali, ormai da generazioni. Eccola:
Loffa: peto silenzioso, appena un sussurro, spesso accompagnato da odore più o meno pungente.
Piloffa: come un sibilo di camera d’aria bucata, odore evidente.
Pirisanguigna: lascia traccia più o meno marcata nella biancheria intima.
Botta a muro: emissione secca,violenta, improvvisa.
Sgarralenzuolo: emissione insistita, di lunghezza variabile, con rumore di tela lacerata.