Valeria Robecco, Panorama 15/9/2016, 15 settembre 2016
SOSTITUIRE HILLARY? MAGARI CONVIENE
Meno di un mese fa Hillary Clinton navigava con il vento in poppa nei ultimi sondaggi, con il rivale Donald Trump in crisi, ora invece l’ex first lady si trova ad affrontare il momento più difficile da quando è scesa in campo per la corsa alla Casa Bianca. E, in questi giorni, c’è anche chi avanza lo spettro di una sua clamorosa uscita di scena dalla gara elettorale.
A mettere nei guai la Clinton è la salute, ma il problema vero è politico oltre che medico. Dopo il mancamento avuto durante la cerimonia per il 15esimo anniversario dell’11 settembre (le era stata diagnosticata una polmonite, tenuta nascosta), il malore in mondovisione ha trasformato le supposizioni sul suo stato di salute da teoria complottista a tema centrale della campagna elettorale.
La malattia in sé, però, si può curare con normali antibiotici e una persona in buone condizioni in genere guarisce nel giro di una settimana; ciò che la sta mettendo nei guai è il modo in cui ha gestito la situazione, e la verità tenuta a lungo nascosta. A calmare le acque non sono bastate le rassicurazioni dell’ex first lady, che ha tentato di giustificare la mancata trasparenza affermando che «non pensava che la sua polmonite fosse un grosso problema». Buona parte dell’opinione pubblica americana, e persino la stampa amica, si mostra sempre più perplessa verso una figura che ha dimostrato in varie occasioni di non essere sincera e di nascondere fatti rilevanti.
Ancora non è chiaro quali saranno le conseguenze sull’opinione degli elettori,
ma l’episodio rischia di complicare
non poco la situazione a meno di due mesi all’election day. E gli analisti iniziano a interrogarsi su che cosa potrebbe succedere da oggi all’8 novembre.
Il malore della Clinton potrebbe rappresentare un assist importante per il rivale repubblicano, che ora deve però prestare attenzione a come approfittare al meglio dell’improvviso vantaggio. Il tycoon ha augurato all’avversaria una pronta guarigione, ma non ha perso l’occasione di affermare che «l’unica cosa onesta che dovrebbe fare verso i cittadini sarebbe ritirarsi dalla corsa».
A una uscita di scena della candidata repubblicana ha ammesso di non credere molto nemmeno lui. Va detto che una sostituzione in extremis è un’ipotesi difficile, ma non impossibile; sarebbe un fatto mai successo nelle candidature presidenziali, ma lo statuto del partito non lo esclude. Non è possibile costringere un nominato a farsi da parte, ma in caso di ritiro (o decesso) è necessaria la convocazione dei delegati del Comitato nazionale democratico (Dnc) per votare un nuovo candidato. Non si tratta solo di fantapolitica: secondo alcuni media americani, il Dnc si prepara a riunirsi per valutare tale possibilità.
Intanto è già partito il toto nomi: tra i papabili c’è Bernie Sanders, senatore socialdemocratico del Vermont arrivato secondo alle primarie, che ha dato battaglia alla Clinton sino alla fine conquistando l’ala più progressista del partito, e che nonostante i suoi 75 anni ha fatto breccia soprattutto tra i giovanissimi.
Ma soprattutto ci sono il segretario di stato John Kerry, che ha raccolto il testimone proprio da Hillary alla guida della diplomazia americana, e il vice presidente Joe Biden, considerati da più parti coloro che avrebbero le chance maggiori di fronteggiare Trump. Specialmente Biden è appoggiato dall’establishment democratico, e lui stesso ha a lungo meditato di candidarsi (decidendo però di fare un passo indietro dopo la tragica morte del figlio Beau per un cancro al cervello).
Infine c’è Tim Kaine, senatore ed ex governatore della Virginia di sangue scozzeseirlandese, scelto da Hillary come aspirante vice presidente. Non è in pole position, non essendo mai stato valutato dagli elettori, ma secondo David Lublin, professore presso l’American University, Kaine sarebbe una scelta logica, seguito da Sanders e dal più popolare Biden.
Gli esperti vicini al partito ammoniscono che un abbandono di Hillary non sarebbe auspicabile: metterebbe ancora più in pericolo l’esito del voto, visto che il nuovo candidato avrebbe poco tempo per fare campagna elettorale. Jeanne Zaino, docente di scienze politiche all’Iona College di New York, sostiene che «il partito si mantiene volutamente vago riguardo al procedimento per un’eventuale sostituzione proprio per avere la possibilità di fare la scelta migliore, piuttosto che essere costretti a optare per un candidato debole». Secondo altri analisti, però, chi sarebbe chiamato a sostituire la Clinton avrebbe forse più opportunità di sconfiggere il re del mattone di quante non ne abbia lei in questo momento. Soprattutto se il prescelto sarà Biden, la figura che volevano in tanti nel partito e che gode di grande popolarità tra i cittadini americani.
Quel che è certo è che nella infuocata campagna elettorale americana tornerà a scendere in campo la popolarissima first lady Michelle Obama, cui spetta il non facile compito di far risalire le quotazioni della Clinton nel momento più nero da quando ha iniziato a sognare di diventare la prima donna Commander in Chief degli Stati Uniti.