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 2016  settembre 15 Giovedì calendario

ARTICOLI SULLA SALUTE DI HILLARY CLINTON – FEDERICO RAMPINI, LA REPUBBLICA 13/9 – La polmonite di Hillary Clinton può decidere la corsa alla Casa Bianca? È una novità imprevista, apre scenari nuovi

ARTICOLI SULLA SALUTE DI HILLARY CLINTON – FEDERICO RAMPINI, LA REPUBBLICA 13/9 – La polmonite di Hillary Clinton può decidere la corsa alla Casa Bianca? È una novità imprevista, apre scenari nuovi. Tanto più che accade dopo alcune settimane in cui la Clinton calava nei sondaggi e Donald Trump stava risalendo. La rimonta del repubblicano ha rimesso in gioco Stati-chiave come la Florida, che torna ad essere in bilico tra i due. Come incide l’improvvisa malattia? Che accade nello scenario più estremo di un ritiro? LE ACCUSE Da tempo Trump e i social media di destra agitavano sospetti su problemi di salute di Hillary. Partendo da un precedente, il malore che la colse al termine del mandato come segretario di Stato. Il marito Bill Clinton all’epoca creò allarme quando parlò di «sei mesi necessari per la guarigione». Adesso Trump sceglie di non infierire e fa il gentleman con auguri di pronto recupero alla rivale. Ma la destra esulta: ecco la prova che Hillary è una bugiarda. Perfino tra i democratici e la stampa liberal è un diluvio di critiche allo staff di Hillary per aver tardato ad ammettere la polmonite. Il tema della disonestà torna a perseguitare la candidata democratica. CHI LA SOSTITUISCE IN CAMPAGNA? Questa potrebbe trasformarsi in una buona notizia. Fino alla piena guarigione Hillary cancella diversi comizi elettorali o li sostituisce con video- collegamenti. Anche in seguito dovrà alleggerire i programmi massacranti di tournée nei vari Stati. Significa che al suo posto gli elettori vedranno più spesso la popolarissima Michelle Obama, di gran lunga la più efficace “sostituta” per galvanizzare donne e neri; nonché Bernie Sanders, Joe Biden, e naturalmente Barack Obama in persona. Un loro coinvolgimento più corale nella campagna può bilanciare il deficit di carisma di Hillary. CHE ACCADE AL DUELLO IN TV? Il primo dibattito televisivo è fissato il 26 settembre. Se davvero Hillary ha una semplice polmonite la cura di antibiotici dovrebbe guarirla prima. Altrimenti il dibattito si può spostare ma sarebbe un segnale inquietante sulla salute. Quando i due si affronteranno c’è il rischio che gli elettori facciano più attenzione alle occhiaie o ai colpi di tosse di Hillary, che alla sua competenza sui dossier? Trump infilerà qualche allusione cattiva al fatto che lei non «è in grado di guidare la nazione», come fece in passato? Il tema della malattia comunque aleggerà sull’incontro in tv. LA SALUTE SPOSTA VOTI? Anzitutto, i voti si stavano già muovendo. Il massimo del suo vantaggio nei sondaggi, Hillary lo conquistò dopo la convention democratica di Philadelphia a fine luglio. Nelle ultime settimane la forbice ha cominciato a restringersi, in alcuni sondaggi Trump è alla pari o perfino leggermente in testa. Lo scandalo della Fondazione Clinton ha pesato, con le rivelazioni sull’accesso privilegiato al Dipartimento di Stato per i grossi donatori a quella istituzione filantropica (inclusi governi stranieri). È all’interno di questa dinamica che s’innesta l’impatto della malattia. Prevarrà la sfiducia sulla salute di Hillary? O un moto di rispetto per la sua tenacia di fronte alla sofferenza? Il repubblicano John McCain fece campagna elettorale nel 2008 nonostante un tumore dichiarato. I democratici sperano che scatti soprattutto la paura di una vittoria di Trump, per portare alle urne tutte le minoranze progressiste, dai giovani agli immigrati. CASO ESTREMO: SOSTITUZIONE Se Hillary fosse costretta all’abbandono prima dell’8 novembre, i vertici del partito democratico hanno il piano d’emergenza. Il presidente del comitato elettorale espresso dalla convention di luglio fa scattare l’articolo 2, sezione 7 del regolamento. Equivale alla convocazione di una sorta di mini- convention d’urgenza. Il più titolato per ricevere questa nuova nomination sarebbe Bernie Sanders in quanto secondo piazzato alle primarie. Un altro caso estremo invece è una vittoria di Hillary Clinton, seguita rapidamente da un deterioramento della salute incapacitante, o dalla morte prima dell’insediamento (Inauguration Day è a fine gennaio). In quel caso subentra il vice-presidente eletto, Tim Kaine. SCENARIO OTTIMISTA La malattia rende Hillary più “umana” e la fa sentire vicina agli elettori, meno élitaria. Si comincia a esigere da Trump lo stesso livello di trasparenza sulla sua salute (ha il colesterolo e si abbuffa di junk-food). E anche su tanti altri scandali del tycoon newyorchese: frodi, processi per truffa, la sospetta corruzione del ministro della Giustizia della Florida, il rifiuto di pubblicare le dichiarazioni dei redditi, le bugie a ripetizione. Ma forse questo è un sogno. Per adesso si applicano due pesi e due misure, Hillary ne prende atto: “È frustrante ma è il paesaggio in cui viviamo”. Lo spazio smisurato che i media offrono a Trump è giustificato dal presidente della tv Cbs: «Trump può essere un danno per l’America ma fa un gran bene alla Cbs». Federico Rampini, la Repubblica 13/9/2016 *** FRANCESCO COSTA, IL POST 13/9 – La notizia che Hillary Clinton ha la polmonite – diffusa dal suo comitato elettorale dopo il malore avuto durante le commemorazioni dell’11 settembre a New York – sta agitando la campagna elettorale statunitense, e non è ancora del tutto chiaro che tipo di conseguenze avrà sulle opinioni degli elettori. Di sicuro la notizia è arrivata con un tempismo da serie tv: alla fine dell’estate, quando gli americani iniziano a prestare davvero attenzione alla campagna elettorale; a meno di due settimane dal primo confronto tv tra i candidati; al termine di un buon periodo per il candidato del Partito Repubblicano, Donald Trump, che sta rimontando nei sondaggi. E ci sono altri due elementi che rendono la faccenda particolarmente delicata: la scarsa trasparenza sulle condizioni di salute di Clinton e Trump, che sono due tra i candidati alla presidenza più anziani di sempre; le molte teorie del complotto su presunte gravi malattie di Clinton fatte circolare nei mesi scorsi da siti di estrema destra e poi riprese dallo stesso Trump. Niente è off-limits La natura del sistema politico americano – governo presidenziale e parlamento eletto con sistema maggioritario – mette al centro dell’attenzione i candidati più che i partiti, e questo nel corso dei decenni ha fatto sì che gli elettori si interessassero alle storie e alle vite dei candidati nella loro totalità, e non solo alle loro idee e proposte politiche. Gli elettori e la stampa statunitense si aspettano che chiunque si candidi a un incarico politico diffonda informazioni personali come le proprie dichiarazioni dei redditi e le proprie informazioni medico-sanitarie, e magari che abbia anche un matrimonio sereno e funzionante; nel caso dei candidati alla presidenza le esigenze di trasparenza si fanno ancora più pressanti. Questo fa sì che niente della vita personale di un candidato sia davvero off-limits in campagna elettorale. La salute soprattutto conta parecchio, per l’idea degli americani che il presidente sia un simbolo della nazione e quindi anche della sua forza. Degli otto presidenti degli Stati Uniti che sono morti in carica, quattro sono morti per cause naturali; William Harrison morì di tifo nel 1841, Zachary Taylor di colera dieci anni dopo; Warren Harding ebbe un infarto nel 1923 e Franklin Delano Roosevelt, malato di polio fin da giovane e costretto a lungo su una sedia a rotelle, morì per un’emorragia intracerebrale nel corso del suo quarto mandato, nel 1945. Altre volte in passato la salute dei candidati ha avuto un ruolo in campagna elettorale: nel 1960 John Fitzgerald Kennedy vinse il famoso primo confronto tv di sempre perché il suo avversario, Richard Nixon, era malaticcio, sudato e pallido; nel 1992 George H. W. Bush, in piena campagna elettorale, vomitò addosso al primo ministro del Giappone durante una cena di stato. In questo contesto, i candidati del 2016 sono in una posizione particolare: dovesse vincere le elezioni dell’8 novembre, Hillary Clinton diventerebbe la seconda persona più anziana mai eletta alla Casa Bianca; Donald Trump, che ha 70 anni, sarebbe invece in assoluto il presidente più anziano mai eletto (che oggi è Ronald Reagan, eletto la prima volta a 69 anni). Come sta Hillary Clinton? Hillary Clinton ha la polmonite, ha detto il suo medico domenica. La polmonite è una malattia polmonare dovuta all’infiammazione degli alveoli, che si riempiono di liquido rendendo più difficile la respirazione. Una persona in buona salute, curata con antibiotici, guarisce senza problemi nel giro di una settimana; i bambini e le persone con più di 65 anni possono avere qualche difficoltà in più. Hillary Clinton, che ha 68 anni, aveva da qualche giorno la tosse per alcune allergie: venerdì le era stata diagnosticata la polmonite e per questo era in cura con degli antibiotici. L’effetto dei farmaci e l’umidità di domenica a New York hanno provocato il calo di pressione che l’ha costretta a lasciare le commemorazioni dell’11 settembre. Anche prima di domenica, però, la salute di Hillary Clinton era stata argomento di discussione durante la campagna elettorale. Clinton infatti soffre di trombosi venosa profonda, cioè la formazione di masse di sangue coagulato nelle vene, che se non trattate per tempo possono ostacolare la circolazione del sangue comportando gravi conseguenze, e in certi casi la morte. Nel 1998, quando era First Lady, le fu diagnosticato un coagulo di sangue nella gamba destra; lo stesso era accaduto nel 2009; nel 2012 invece le fu diagnosticato un coagulo alla testa. Tutti i trombi si sciolsero grazie ai farmaci. Passare molto tempo sugli aerei – come capita da decenni a Hillary Clinton – può favorire la formazione di trombi. Per questo motivo Clinton assume ogni giorno un farmaco anticoagulante, l’unico che prende regolarmente oltre a un integratore per l’ipotiroidismo. Il suo medico ha detto che la sua pressione cardiaca è normale, così come il livello di colesterolo e le funzioni respiratorie. Clinton è sempre stata molto riservata sui suoi problemi di salute. L’episodio del 1998 fu raccontato alla stampa soltanto una volta risolto. Quello del 2009 è stato reso pubblico soltanto nel 2015, quando Clinton ha diffuso una lettera di un medico che la giudicava in buona salute e in grado di candidarsi alle elezioni presidenziali. Il trombo del 2012 fu scoperto durante alcuni esami effettuati dopo una caduta di Clinton in casa: era disidratata a causa di un’infezione intestinale, era svenuta e aveva battuto la testa provocandosi una commozione cerebrale. Gli esami seguenti mostrarono l’esistenza del trombo. Dopo la convalescenza Clinton per qualche tempo dovette portare degli occhiali e di tanto in tanto vedeva doppio. Anche nel caso del 2012, però, le notizie sulla salute di Hillary Clinton furono diffuse a piccoli pezzi e con grande ritardo, lasciando a lungo la stampa e gli elettori senza sapere come stava la persona che all’epoca aveva la responsabilità della politica estera statunitense. Hillary Clinton e i giornalisti, una vecchia storia La gestione delle comunicazioni durante il malore di domenica è esemplare della storica diffidenza di Hillary Clinton per i giornalisti e la stampa. Hillary Clinton è stata portata via dalla commemorazione all’improvviso, senza che i giornalisti che seguono la sua campagna elettorale fossero informati della ragione né di dove fosse diretta. La polmonite diagnosticatale venerdì non era stata resa pubblica; il primo comunicato di domenica, diffuso dal suo comitato elettorale un’ora e mezza dopo il malore di Clinton, parlava generalmente di un “colpo di calore” nonostante a New York ci fossero 28 gradi (ma anche una certa umidità). Insomma, il comitato ha raccontato della polmonite a due giorni dalla diagnosi; solo perché costretta dal malore di Clinton; e dopo aver comunque dato un’iniziale versione come minimo incompleta, e dopo un’ora e mezza di silenzio. La scarsa trasparenza di Clinton su questa e altre faccende è finita con il tempo per alimentare ipotesi creative e teorie del complotto, invece che smontarle: quella che molti definiscono una sua “ossessione per la privacy”, per esempio, è la stessa ragione per cui Clinton aveva deciso di usare un indirizzo di posta privata quando era segretario di stato. Il comitato Clinton tra l’altro non ha ancora creato il cosiddetto “protective pool”, cioè quel gruppo di giornalisti che tradizionalmente a rotazione segue il candidato ovunque vada e ne racconta ogni spostamento. Il “protective pool” – che non ha niente di “protettivo”, non è un gruppo di giornalisti amici, ed esiste anche alla Casa Bianca – racconta a che ora il candidato/presidente esce di casa, chi incontra, dove mangia, dove dorme: è considerato uno strumento molto utile per chi vuole ricostruire con esattezza le attività dei politici più importanti. I giornalisti del “pool” tornano a casa solo quando gli viene comunicato che il candidato/presidente è a casa e non ha altre attività in programma. Anche Donald Trump non ha un “protective pool”. Inoltre, né lei né Donald Trump hanno diffuso informazioni dettagliate sulla loro storia medica. Nel 2008 Barack Obama diffuse un documento sulla sua salute da 276 pagine; lo stesso anno John McCain – che aveva 71 anni e vari problemi di salute – diffuse 1.200 pagine di documenti sulla sua situazione medico-sanitaria. Hillary Clinton ha diffuso invece un documento di poche pagine e senza grandi dettagli; Donald Trump addirittura una letterina «scritta in cinque minuti», come ha ammesso il medico che l’ha preparata, secondo cui sarebbe «il più sano individuo della storia a diventare presidente» (cosa improbabile: Trump è un settantenne in sovrappeso che non fa esercizio fisico e mangia regolarmente cibo spazzatura). Le teorie del complotto sulla salute di Hillary Clinton Il malore di Clinton capita in un momento particolarmente inopportuno, per la sua candidatura, visto che Donald Trump insiste da mesi su quanto sia fisicamente più forte e resistente di Hillary Clinton (la accusa persino di fare pisolini di tanto in tanto e andare a letto presto) e che da qualche settimana lui e alcuni suoi famosi sostenitori, per esempio Rudolph Giuliani, hanno cominciato a raccogliere e legittimare certe teorie del complotto diffuse da piccoli gruppi conservatori online, citandole nei loro discorsi e alludendo al fatto che Hillary Clinton stia nascondendo una grave malattia. Un attacco di tosse o una foto che la mostra inciampare o persino il tono di una risposta sono stati presentati come prove del fatto che Hillary Clinton abbia il morbo di Parkinson oppure la sclerosi multipla. Wikileaks, per esempio, ha scritto questo tweet domenica pomeriggio: Che conseguenze politiche può avere questa storia? Di certo questa vicenda danneggerà Clinton, ma è impossibile oggi dire quanto e per quanto tempo. Gli elettori americani prestano molta attenzione alla salute dei candidati – i due anni massacranti di campagna elettorale sono una performance, tra le altre cose – e pensano già adesso che Clinton sia inaffidabile e poco trasparente: questa storia la danneggia su entrambi i fronti. Inoltre una polmonite a 68 anni può essere debilitante e costringere Clinton a rallentare le sue attività di propaganda in un momento cruciale della campagna elettorale, e potenzialmente esporla al rischio di altri malori nelle prossime settimane (e ci sono tre dibattiti televisivi in programma, cioè grande tensione nervosa e almeno tre ore in piedi sotto i riflettori di uno studio televisivo). Inoltre, questa storia è arrivata in un momento che era già complicato per la campagna elettorale per Hillary Clinton: nelle ultime settimane Trump ha rimontato parte del suo svantaggio nei sondaggi e sabato Clinton ha usato un’espressione infelice definendo xenofobi, razzisti, omofobi e maschilisti «la metà dei sostenitori di Trump». Anche Trump però dovrà gestire la situazione con attenzione: criticare una persona per una polmonite, che può capitare a chiunque, potrebbe essere visto come opportunista e infantile dagli elettori. I giornali americani scrivono che questo è il motivo per cui Trump, dopo aver insistito per settimane sullo stato di salute di Clinton, non ha commentato le notizie di domenica: la salute di Clinton è diventato da ieri un tema di campagna elettorale, come voleva lui, e se oggi infierisse permetterebbe a Clinton di presentarsi come vittima di un attacco ingiusto. Cosa succede se un candidato muore o si ammala gravemente? Detto che siamo evidentemente lontanissimi da quel punto, molti in queste ore si sono chiesti a livello teorico cosa accadrebbe se Hillary Clinton – o Donald Trump, per quel che vale – dovesse ammalarsi gravemente o addirittura morire. Sia Clinton che Trump hanno ricevuto ufficialmente la nomination dei loro partiti durante le convention di quest’estate, quindi non possono essere rimossi contro la loro volontà: la loro candidatura può venire meno soltanto se decidessero di ritirarsi o se morissero. Se questo dovesse avvenire prima del voto dell’8 novembre, i partiti avrebbero il compito di scegliere un nuovo candidato secondo le loro regole interne, e non è automatico che quel candidato sia il vice: potrebbe essere chiunque. I personaggi con esperienza e notorietà tale da poter subentrare così a ridosso delle elezioni sono pochissimi: tra i Democratici forse solo Joe Biden, John Kerry e – un po’ indietro – Bernie Sanders e Tim Kaine. Se invece un candidato dovesse ritirarsi o morire dopo le elezioni dell’8 novembre ma prima che i “grandi elettori” si riuniscano per eleggere concretamente il presidente, sarebbero i “grandi elettori” stessi a decidere liberamente chi votare: nel rispetto della volontà popolare, sceglierebbero probabilmente il vice del candidato morto o ritirato. Nessuna di queste cose però è mai successa. *** PAOLO MASTROLILLI, LA STAMPA 15/9 – Mossa e contromossa di Trump e Clinton, per rispondere alle domande sulla loro salute e alle polemiche sulla trasparenza, mentre Colin Powell li attacca entrambi. Ieri Donald ha rivelato un certificato medico sulle sue condizioni, e poco dopo Hillary ha risposto col proprio certificato, con i risultati delle analisi fatte in occasione della diagnosi per la polmonite. Trump, seguendo il suo stile comunicativo popolare, ha usato la trasmissione televisiva del «Dr. Oz Show» per presentare una pagina con i risultati delle analisi. La trasmissione andrà in onda oggi, ma secondo gli spettatori presenti ha ottimi livelli di colesterolo, ma prende le statine. Mehmet Oz, il medico che conduce lo show, lo ha trovato in buone condizioni, tranne il peso, che tocca i 120 chili e sta al limite dell’obesità. Molti dettagli degli esami, però, resteranno privati. Poche ore dopo Clinton ha risposto con una lettera del suo medico, Lisa Bardack, che la giudica pronta a servire come presidente. Il documento contiene informazioni già note, come il fatto che prende la medicina Armor per l’ipotiroidismo, l’antistaminico Calrinex per le allergie, e l’anticoagulante Coumadin per evitare trombi come quello scoperto al cervello e operato dopo la sua caduta del 2012. In più, il certificato rivela che a gennaio Hillary ha avuto la sinusite e venerdì scorso ha fatto un CT scan che ha rivelato la presenza di una piccola polmonite nel lobo mediano di destra, non contagiosa e batterica, che viene trattata con l’antibiotico Levaquin. La pressione sanguigna è 100/70, il polso 70, e il colesterolo 189, 103 quello «cattivo» e 56 quello «buono», senza prendere statine. I trigliceridi sono saliti molto, a 159. Non ci sono invece conseguenze per l’intervento al cervello del 2012. Con questi dati, Clinton spera di aver risposto tanto ai dubbi sulla sua salute, quanto alle polemiche sulla trasparenza. Gli effetti negativi delle ultime settimane però si riflettono sui sondaggi, dove il suo vantaggio nazionale su Trump è sceso intorno ai 3 punti, mentre Donald l’ha superata in Florida e Ohio. Su tutto questo, ieri sono piovute anche le opinioni trancianti del generale Colin Powell. Qualche hacker è riuscito a rubare le sue mail private degli ultimi due anni, e le ha pubblicate sul sito DCLeaks, forse legato all’intelligence russa. Il giudizio su Trump, espresso il 17 giugno scorso, è molto duro: «È una disgrazia nazionale, e un paria internazionale». Poi, criticando i media che gli davano tanto spazio, aggiunge: «Chiamarlo idiota lo incoraggia». Quindi lo accusa di razzismo: «L’intero movimento dei birther (cioè quello guidato da Donald per dimostrare che Obama non era nato negli Usa ndr.) era razzista. Trump fa appello ai peggiori istinti dei bianchi». Colin è duro anche con Hillary, che «rovina tutto quello che tocca con la sua arroganza». Dice che «avrebbe potuto chiudere la vicenda delle mail due anni fa, spiegando onestamente cosa aveva fatto». Poi però dice a Condi Rice che l’inchiesta su Bengasi è «una stupida caccia alle streghe», perché la colpa dell’attacco ricade soprattutto sull’ambasciatore Stevens, che vi fu ucciso. Paolo Mastrolilli, La Stampa 15/9/2016 *** IL POST 14/9 – Hillary Clinton, candidata del Partito Democratico alle presidenziali del prossimo novembre negli Stati Uniti, ha diffuso mercoledì sera (ora italiana) nuove e più dettagliate informazioni sulla sua salute, per cercare di tranquillizzare i suoi elettori dopo il malore avuto domenica durante le celebrazioni per il quindicesimo anniversario dell’11 settembre e le conseguenti speculazioni su una sua presunta grave malattia che l’avevano già costretta a dire di essere malata di polmonite. Le nuove informazioni sulla salute di Hillary Clinton sono contenute in una lettera del suo medico personale, la dottoressa Lisa Bardack, che spiega che Clinton si è ammalata di una forma non grave e non contagiosa di polmonite, che è già in cura con un antibiotico e che si sta riprendendo bene. Bardack, che aveva già diffuso una lettera sulle condizioni di salute di Clinton a luglio, ha scritto di aver visitato regolarmente Hillary Clinton nel corso degli ultimi mesi e di aver osservato a inizio settembre i primi sintomi di quella che poi sarebbe diventata una forma non grave di polmonite. Quando Clinton è stata male l’11 settembre, ha scritto Bardack, era già in cura per la polmonite: il malore che ha avuto è stato dovuto a un momento di caldo e disidratazione e quando Clinton è stata visitata al suo ritorno a casa si era già ripresa dai sintomi più gravi. La lettera di Bardack si conclude dicendo che Hillary Clinton sta guarendo rapidamente, che le sue condizioni di salute rimangono buone e che lei resta “in grado di fare la Presidente degli Stati Uniti”. *** VALERIA ROBECCO, PANORAMA 15/9 Meno di un mese fa Hillary Clinton navigava con il vento in poppa nei ultimi sondaggi, con il rivale Donald Trump in crisi, ora invece l’ex first lady si trova ad affrontare il momento più difficile da quando è scesa in campo per la corsa alla Casa Bianca. E, in questi giorni, c’è anche chi avanza lo spettro di una sua clamorosa uscita di scena dalla gara elettorale. A mettere nei guai la Clinton è la salute, ma il problema vero è politico oltre che medico. Dopo il mancamento avuto durante la cerimonia per il 15esimo anniversario dell’11 settembre (le era stata diagnosticata una polmonite, tenuta nascosta), il malore in mondovisione ha trasformato le supposizioni sul suo stato di salute da teoria complottista a tema centrale della campagna elettorale. La malattia in sé, però, si può curare con normali antibiotici e una persona in buone condizioni in genere guarisce nel giro di una settimana; ciò che la sta mettendo nei guai è il modo in cui ha gestito la situazione, e la verità tenuta a lungo nascosta. A calmare le acque non sono bastate le rassicurazioni dell’ex first lady, che ha tentato di giustificare la mancata trasparenza affermando che «non pensava che la sua polmonite fosse un grosso problema». Buona parte dell’opinione pubblica americana, e persino la stampa amica, si mostra sempre più perplessa verso una figura che ha dimostrato in varie occasioni di non essere sincera e di nascondere fatti rilevanti. Ancora non è chiaro quali saranno le conseguenze sull’opinione degli elettori,
ma l’episodio rischia di complicare
non poco la situazione a meno di due mesi all’election day. E gli analisti iniziano a interrogarsi su che cosa potrebbe succedere da oggi all’8 novembre. Il malore della Clinton potrebbe rappresentare un assist importante per il rivale repubblicano, che ora deve però prestare attenzione a come approfittare al meglio dell’improvviso vantaggio. Il tycoon ha augurato all’avversaria una pronta guarigione, ma non ha perso l’occasione di affermare che «l’unica cosa onesta che dovrebbe fare verso i cittadini sarebbe ritirarsi dalla corsa». A una uscita di scena della candidata repubblicana ha ammesso di non credere molto nemmeno lui. Va detto che una sostituzione in extremis è un’ipotesi difficile, ma non impossibile; sarebbe un fatto mai successo nelle candidature presidenziali, ma lo statuto del partito non lo esclude. Non è possibile costringere un nominato a farsi da parte, ma in caso di ritiro (o decesso) è necessaria la convocazione dei delegati del Comitato nazionale democratico (Dnc) per votare un nuovo candidato. Non si tratta solo di fantapolitica: secondo alcuni media americani, il Dnc si prepara a riunirsi per valutare tale possibilità. Intanto è già partito il toto nomi: tra i papabili c’è Bernie Sanders, senatore socialdemocratico del Vermont arrivato secondo alle primarie, che ha dato battaglia alla Clinton sino alla fine conquistando l’ala più progressista del partito, e che nonostante i suoi 75 anni ha fatto breccia soprattutto tra i giovanissimi. Ma soprattutto ci sono il segretario di stato John Kerry, che ha raccolto il testimone proprio da Hillary alla guida della diplomazia americana, e il vice presidente Joe Biden, considerati da più parti coloro che avrebbero le chance maggiori di fronteggiare Trump. Specialmente Biden è appoggiato dall’establishment democratico, e lui stesso ha a lungo meditato di candidarsi (decidendo però di fare un passo indietro dopo la tragica morte del figlio Beau per un cancro al cervello). Infine c’è Tim Kaine, senatore ed ex governatore della Virginia di sangue scozzeseirlandese, scelto da Hillary come aspirante vice presidente. Non è in pole position, non essendo mai stato valutato dagli elettori, ma secondo David Lublin, professore presso l’American University, Kaine sarebbe una scelta logica, seguito da Sanders e dal più popolare Biden. Gli esperti vicini al partito ammoniscono che un abbandono di Hillary non sarebbe auspicabile: metterebbe ancora più in pericolo l’esito del voto, visto che il nuovo candidato avrebbe poco tempo per fare campagna elettorale. Jeanne Zaino, docente di scienze politiche all’Iona College di New York, sostiene che «il partito si mantiene volutamente vago riguardo al procedimento per un’eventuale sostituzione proprio per avere la possibilità di fare la scelta migliore, piuttosto che essere costretti a optare per un candidato debole». Secondo altri analisti, però, chi sarebbe chiamato a sostituire la Clinton avrebbe forse più opportunità di sconfiggere il re del mattone di quante non ne abbia lei in questo momento. Soprattutto se il prescelto sarà Biden, la figura che volevano in tanti nel partito e che gode di grande popolarità tra i cittadini americani. Quel che è certo è che nella infuocata campagna elettorale americana tornerà a scendere in campo la popolarissima first lady Michelle Obama, cui spetta il non facile compito di far risalire le quotazioni della Clinton nel momento più nero da quando ha iniziato a sognare di diventare la prima donna Commander in Chief degli Stati Uniti. *** ARTURO PASOLINI ZANELLI, ITALIAOGGI 15/9 – Il primo, almeno fra le persone conosciute, ad esprimere a Hillary Clinton i suoi auguri di un rapido ristabilimento è stato Donald Trump, che ha aspettato solo un paio di minuti, prima cioè degli amici veri e ai compagni di partito della candidata democratica. Trump ha dovuto rapidamente accorgersi che, entro certi limiti, questa è, per lui, una preziosa occasione. No, non una malattia grave che comunque induca la contendente a ritirarsi. Tutto il contrario: una abdicazione di Hillary avrebbe per conseguenza la fine di ogni speranza di Donald per la Casa Bianca. Perché se il bizzarro repubblicano è ancora in corsa e anzi va recuperando terreno, dipende proprio dalla personalità della sua avversaria, che è una democratica in altro modo bizzarra e carica di handicap quasi pari a quelli di lui. Ogni papera di Trump, ogni accusa non infondata di errori, incompetenza, bugie potrebbe distruggere la sua candidatura, se non fosse perché anche l’altra inciampa in modi simili e con frequenza forse perfino maggiore. Non a caso la loro gara è già stata da un pezzo diagnosticata come «una sfida fra due impopolarità». Se andasse avanti così, Donald potrebbe addirittura sperare in un «sorpasso», magari in seguito a un dibattito in cui la Clinton incappi in qualche attacco di debolezza, in qualche capogiro (o almeno presentabile dagli avversari come tale), insomma in qualche episodio che confermi l’impressione che lei, a parte le polemiche e le rivelazioni di qualche disinvolta operazione in passato, abbia un fisico non all’altezza dei compiti che l’attenderebbero alla Casa Bianca e che hanno lasciato segni così evidenti nell’aspetto fisico di un uomo ben più giovane e robusto come Barack Obama. La gara per la sua successione sarebbe in qualche modo ineguale, fra un discutibile sano e una consolabile malatina. Cosa succederebbe invece se Hillary decidesse o forse fosse indotta a scegliere di ritirarsi. Sarebbe un gesto nobile che rinfocolerebbe le profonde correnti di simpatia umana che la circondano in alcune fasce dell’elettorato. Sarebbe anche, ma solo formalmente, una «sconfitta» del suo partito. Ma sul piano elettorale le conseguenze sarebbero con ogni probabilità opposte e sgradevoli per Donald Trump. Che dopo le sue gaffe, dichiarazioni irriflessive, inesperienze e opinioni comunque discutibili o addirittura allarmanti (anche nei casi in cui, soprattutto nella politica estera, alcune di esse sono alquanto ragionevoli), se la sua candidatura è ancora in piedi è perché la sua antagonista ha più o meno gli stessi punti deboli o meglio vulnerabilità differenti ma equivalenti. Gli elettori americani sono finora chiamati a una scelta difficile, non fra le qualità delle proposte dei due candidati, quanto tra i loro allarmanti difetti. Fra uno, ad esempio, che viene quotidianamente accusato che se diventerà presidente potrebbe provocare in pochi minuti una «guerra mondiale» e una dalle torbide relazioni con i centri della superfinanza planetaria. Donald, insomma, verrebbe privato della sua coperta e si troverebbe nudo di fronte a un avversario di cui o non si sa nulla o si conoscono solo menzioni favorevoli. Il Partito democratico non ha ancora iniziato, almeno ufficialmente, la selezione dei possibili successori. Li indicano, però, le leggi e le consuetudini della politica. Hillary Clinton è candidata alla presidenza e si è scelta come numero due Tim Kaine, un uomo di solide esperienze a livello locale, vicegovernatore, poi governatore, poi senatore della Virginia e oggi felicemente pensionato. In non molti che lo conoscono lo apprezzano all’unanimità per la sua competenza, per i suoi modi, per la sua rettitudine. Un semisconosciuto, è vero, che sarebbe però temibilissimo come avversario di qualcuno che, anche perché famoso, soffre di una abbondanza di pagine oscure o nascoste. Un duello impari e Trump probabilmente lo sa. I democratici, pare assodato, non sarebbero tenuti a scegliere lui perché il vice è il successore di un presidente e non di un candidato. Potrebbero scegliere un altro. Ma chi? Per esempio Joe Biden, attuale vicepresidente e quindi qualificato per fare il presidente. Un altro uomo amabile, padre di famiglia esemplare, con il solo vizio di commuoversi ogni tanto. Ci provi Trump ad abbatterlo. E se non fosse lui, si profilerebbe un’ombra ancora più temibile. Colui che è considerato, nel mondo forse addirittura più che in America, il numero uno fra i politici Usa. John Kerry è stato un eroe di guerra (meritandosi quattro medaglie al valore in Vietnam), ma un accanito cercatore di pace. È succeduto proprio a Hillary Clinton nel ruolo di Segretario di Stato e nel suo quadriennio che ora scade ha aggiustato diversi dei pasticci ereditati, è riuscito ad evitare che gli Stati Uniti scivolassero in quel tipo di “guerre locali” da cui spesso non riescono più a districarsi. E adesso è concentrato nel tentativo di “salvare” la Siria. Di fronte a lui, Trump avrebbe però un’arma decisiva: Kerry non ha la minima intenzione di diventare presidente. Arturo Pasolini Zanelli, ItaliaOggi 15/9/2016 *** PAOLO MASTROLILLI, LA STAMPA 14/9 – Hillary Clinton cerca di reagire alla crisi della polmonite, difendendo la sua decisione di non rivelarla, annunciando che tornerà a fare campagna venerdì, e appoggiandosi a surrogati di peso come il presidente Obama e il marito Bill. Le polemiche però continuano, e mentre Donald Trump l’attacca perché ha insultato i suoi elettori definendoli «deplorabili», i media conservatori diffondo nuovi dubbi sulle sue condizioni di salute. Lunedì sera Hillary ha chiamato la «Cnn», e ha risposto così alla domanda chiave: perché ha nascosto la diagnosi di polmonite? «Pensavo – ha detto – che non fosse un problema così importante. Quando capita a persone impegnate, tirano avanti. Ho cercato di farlo anch’io, ma avrei dovuto ascoltare il mio medico». Quindi solo un generoso tentativo di continuare la sua campagna, senza farsi frenare dalla malattia. Il problema però è che secondo il «New York Times», una volta ricevuta la diagnosi la Clinton ha dato disposizioni affinché fosse rivelata solo a pochissimi collaboratori più stretti. Forse è naturale, in simili casi, e magari Trump avrebbe fatto lo stesso, sperando di superare la malattia senza che nessuno la notasse. Questo però conferma la tendenza alla segretezza di Hillary, che è uno dei principali motivi dello scetticismo degli elettori. Nello stesso tempo il marito Bill, per aiutarla, ha detto che «è svenuta spesso in passato, a causa della disidratazione». Voleva sminuire l’importanza di questo episodio, ma così ha alimentato altri sospetti: sviene spesso? Allora il problema non è la polmonite di oggi. La stessa Hillary, quindi, ha dovuto smentire: «Sì, ma sarà capitato non più di un paio di volte». Questa gaffe ha rialimentato i complottisti, secondo cui la donna che accompagnava Clinton durante la cerimonia a Ground Zero era in realtà la sua dottoressa o un’infermiera, perché lei sapeva di avere problemi fisici. Una foto mostra l’infermiera che chiede a Hillary di stringere le dita della sua mano. Secondo i complottisti è un comune test neurologico, a conferma del fatto che il problema non è la polmonite. La campagna di Clinton comunque ha annunciato che lei si sente molto meglio, e venerdì dovrebbe riprendere la sua attività, partecipando ad un evento in programma a Washington. Il marito Bill la sostituirà oggi a Las Vegas, mentre il presidente Obama ieri è andato a Philadelphia a fare un comizio per lei: «Non sono venuto solo per farmi vedere. Io voglio davvero, davvero, davvero eleggere Hillary, perché è l’unica che ha un piano per il futuro dell’America». Il capo della Casa Bianca poi ha attaccato Trump: «Vogliamo parlare di trasparenza? Da una parte abbiamo una candidata che ha pubblicato le sue dichiarazioni dei redditi degli ultimi 40 anni, e dall’altra uno che è il primo della storia a non averne rilasciata neppure una. Una ha una fondazione di famiglia che ha salvato innumerevoli vite, l’altro con i soldi della beneficenza ha comprato un suo ritratto. Una ha viaggiato più di ogni segretario di Stato, l’altro non ha alcuna qualifica. Le presidenziali sono una cosa seria, non trattiamole come un reality show». Obama è andato in Pennsylvania perché è uno stato chiave, dove Clinton è in vantaggio ma Trump sta recuperando, perché giovani e minoranze non si sono mobilitati come per Barack. Ricostruire quella coalizione e riparare i danni delle bugie sulla salute, è ora più importante della polmonite. Paolo Mastrolilli, La Stampa 14/9/2016 *** PAOLO MASTROLILLI, LA STAMPA 12/9 – Hillary Clinton ha la polmonite. È la diagnosi rivelata dal suo medico personale, dopo che ieri è stata costretta ad abbandonare la cerimonia di commemorazione degli attentati dell’11 settembre a New York, quasi svenendo mentre saliva sulla sua auto. Secondo la dottoressa Lisa Bardack si è sentita male per il caldo e la disidratazione. La polmonite è curabile ma l’episodio è stato drammatico, e Trump lo userà per sostenere che non è nelle condizioni di salute per fare il presidente. Ieri mattina alle otto Hillary è andata a Ground Zero per partecipare al ricordo delle vittime degli attentati di al Qaeda, insieme al candidato repubblicano Donald Trump. Verso le nove e mezza, però, si è allontanata. La prima a dirlo è stata la tv conservatrice «Fox», riportando le dichiarazioni di alcuni membri delle forze dell’ordine che avevano testimoniato il suo malore. Per circa un’ora e mezza l’entourage della Clinton non ha detto nulla, ma poi il portavoce Nick Merrill ha ammesso il problema: «Durante la cerimonia si è sentita sovraccaldata, e quindi è andata a casa della figlia. Ora sta molto meglio». Chelsea infatti abita a Madison Square, vicino Ground Zero. Verso le undici e quaranta Hillary è uscita dall’appartamento della figlia indossando gli occhiali da sole e camminando senza aiuto. Ha salutato la folla, scattato una foto con una bambina, e ha detto: «Mi sento alla grande. È una bella giornata a New York». Quindi è partita per tornare nella sua villa di Chappaqua, a Nord di New York, dove è arrivata intorno all’una del pomeriggio. Poco dopo l’incidente, però, è stato pubblicato un video del momento in cui Clinton ha lasciato la cerimonia, testimonianza molto drammatica. Hillary è sostenuta da due persone, sembra di non essere in grado di camminare da sola, e inciampa mentre sale sopra il van. Oggi doveva partire per un viaggio elettorale in California e Nevada, che però è sospeso. La questione della salute della candidata democratica gira dal dicembre del 2012, quando era segretario di Stato. Allora ebbe una forte influenza intestinale, e poi cadde mentre era al bagno, subendo una contusione alla testa. I medici fecero le analisi, e scoprirono un trombo vicino al cervello che aveva richiesto l’intervento chirurgico per rimuoverlo. Dopo l’operazione Clinton era tornata al lavoro, indossando però gli occhiali speciali «fresnel prism» che avevano attirato l’attenzione dei media, perché si usano in genere quando una persona vede doppio. La campagna di Donald Trump, che ha 70 anni, ha molto insistito nelle ultime settimane sul tema della salute di Hillary, in particolare sottolineando alcune occasioni in cui la tosse l’ha costretta a interrompere i suoi comizi. L’ultima volta è successo durante il Labor day all’inizio di settembre. L’ex sindaco di New York Giuliani era stato particolarmente duro, invitando tutti ad andare su Internet per vedere i video che dimostrerebbero i problemi di salute della Clinton. Il giornale scandalistico «National Enquirer» ha pubblicato nell’ultima edizione una copertina in cui sostiene che lei è gravemente malata, e anche il marito Bill sarebbe in fin di vita per problemi di cuore. Si specula persino sulla capacità di Hillary di arrivare al voto, e la necessità di sostituirla in corsa col vice Kaine, o con personaggi tipo Joe Biden e John Kerry. I portavoce di Clinton avevano liquidato questi attacchi dicendo che lei soffriva di allergia, in particolare a Trump. La campagna del candidato repubblicano però aveva risposto chiedendo che rilasciasse più informazioni sulla sua salute, nonostante Donald abbia pubblicato solo un breve e vago certificato medico. Hillary ha 68 anni e nel luglio scorso il suo medico, Bardack, aveva scritto che «è in una condizione fisica eccellente e adatta a servire come presidente». Il certificato di due pagine diceva che la Clinton soffre di ipotiroidismo e allergie stagionali al polline, quindi prende l’Armour Thyroid per il primo problema, gli antistaminici per il secondo, e l’anticoagulante Coumadin per evitare altri trombi, oltre alla vitamina B12. Alcune di queste medicine, sommate al forte caldo di ieri a New York e alla disidratazione, possono provocare svenimenti. Dopo l’episodio di ieri, però, quelle che sembravano solo speculazioni politiche sono diventate preoccupazioni reali, e la campagna ha sentito la necessità di rispondere subito. La dottoressa Bardack ha visitato Hillary a Chappaqua, e poi ha rivelato che aveva diagnosticato la polmonite già venerdì scorso, prescrivendo antibiotici e consigliando riposo. La campagna è andata avanti, ma lei non ha retto, e lo svenimento l’ha costretta a rivelare la verità. *** PAOLO MASTROLILLI, LA STAMPA 12/9 – Oltre alla salute, Hillary Clinton comincia ad avere problemi seri anche con i sondaggi. Non solo perché nell’ultimo mese il suo vantaggio su Donald Trump a livello nazionale si è molto ridotto, ma anche perché i due rivali ora sono testa a testa in parecchi Stati contesi, i cosiddetti «battleground states», che in teoria non dovevano essere così incerti. Questo discorso vale per Hillary in Nevada e New Hampshire, ma è vero anche per Donald in Georgia e Arizona, rendendo ancora più imprevedibile l’esito della sfida. Ad agosto, subito dopo le due Convention, Clinton aveva preso il largo, arrivando a distaccare Trump di circa 8 punti nei rilevamenti nazionali. La Casa Bianca però si conquista vincendo nei singoli Stati, che assegnano i 270 voti elettorali necessari ad ottenere la presidenza, e soprattutto qui Hillary aveva una forte posizione di vantaggio, dalla Pennsylvania alla Florida, passando anche per l’Ohio e il Wisconsin. Nel mese di agosto, però, Clinton ha lasciato quasi interamente il campo al suo avversario. Lei si è dedicata soprattutto alla raccolta dei fondi elettorali, tenendo pochissimi comizi ed eventi pubblici. La campagna di Trump ha insinuato che questo avveniva per problemi di salute, ma comunque ne ha approfittato, occupando le prime pagine dei giornali e le dirette televisive, ad esempio con iniziative tipo il viaggio in Messico. Il risultato è stata una rimonta, che a questo punto a livello nazionale ha portato Donald a circa 3 punti da Hillary, secondo la media dei vari sondaggi stilata da Real Clear Politics. Solo il «Washington Post» ieri dava Clinton avanti ancora di 5 punti, sottolineando però che il livello di entusiasmo tra gli elettori democratici è pericolosamente basso. Ora un rilevamento fatto dal «Wall Street Journal» e da Marist indica una tendenza particolare anche al livello dei singoli Stati, dove le distanze si stanno accorciando pure in regioni che sembravano fuori dalla competizione. Nel New Hampshire e nel Nevada, ad esempio, Hillary è avanti a Donald di un solo punto, rispettivamente 42 a 41%, e 45 a 44%. Questi erano stati che Obama aveva vinto facilmente nelle ultime elezioni, e i democratici davano per scontato di ritrovarli dalla loro parte. Invece il testa a testa, oltre ad essere in generale preoccupante, allarga la mappa delle regioni dove bisogna combattere, costringendo ad investire tempo della candidata e soldi della campagna, in comizi, spot televisivi ed altro. Il discorso vale anche per Trump, che in Arizona è avanti di un punto, 42 a 41%, e in Georgia di tre, 46 a 43%. Questi sono Stati che i repubblicani avevano vinto nettamente nel 2012, nonostante la sconfitta generale subita poi da Romney. Donald è anche più debole di quanto non lo fosse Mitt in Texas, ma è molto difficile che questo Stato entri davvero in gioco. Anche in Florida, Iowa e North Carolina i due candidati sono separati da meno di un punto. A meno di sessanta giorni dal voto questa situazione è molto incerta, ma sembra più preoccupante per Hillary, perché solo un mese fa lei era in netto vantaggio, però non è riuscita a chiudere la partita. La rimonta di Trump ora sta allargando la mappa degli Stati contesi, e questo complica la strategia della Clinton. La candidata democratica, infatti, non può più permettersi il lusso di concentrare le proprie energie e le proprie risorse economiche su pochi Stati decisivi, come la Pennsylvania, l’Ohio e la Florida. Deve difendersi anche nelle regioni che sembravano sicure, come il Nevada o il New Hampshire, e contrattaccare in quelle repubblicane in bilico, tipo la Georgia e l’Arizona, per mettere in difficoltà Trump e complicare la sua offensiva nel proprio territorio. Tutto questo rende più faticosa e dispendiosa la sua campagna, proprio mentre sembra essere più debole fisicamente, e apre la porta a sorprese in vista del voto di novembre. *** ANNA GUAITA, IL MESSAGGERO 12/9 – In piedi un’ora e mezza, in una giornata calda e umida. Hillary non ce la fa, lascia la cerimonia e la telecamera impietosa la immortala mentre traballa e inciampa, e deve essere aiutata a salire nella limousine. L’incidente è avvenuto durante la commemorazione degli attacchi dell’Undici Settembre ed è stato praticamente seguito in diretta da tutte le tv, con un immediato esplosivo effetto in internet, dove le voci si sono subito scatenate nell’immaginare terribili malattie della candidata presidenziale. Per la verità Hillary si è mostrata in pubblico poco tempo dopo. Ha trascorso circa un’ora a casa della figlia, dove si è ripresa, e poi è scesa in strada e si è soffermata a farsi fotografare con qualche sostenitore, sorridendo, e ripetendo «sto bene, sto bene». I COMPLOTTISTI In serata è stato rivelato che venerdì scorso i suoi medici le avevano diagnosticato una polmonite, in una forma senza sintomi vistosi, come la febbre alta. E l’avevano invitata a riposare. Ma Hillary, sotto cura di antibiotici, non ha voluto rinunciare alla cerimonia. Se l’incidente di ieri fosse successo a chiunque altro non avrebbe suscitato grande interesse. Ma su Hillary e la sua salute si è creato a destra un movimento di teorici del complotto che assomiglia a quello che per anni ha sostenuto che Barack Obama non aveva il diritto di essere presidente perché «non era nato negli Usa». Come i birthers anti-Obama, gli health truthers anti-Clinton sostengono a loro volta che Hillary non deve essere eletta presidente perché soffre di una malattia degenerativa del sistema nervoso, tanto che la sua guardia del corpo porta in mano una siringa da usare in casi di crisi epilettiche. LA FOTO In realtà la foto della siringa si è rivelata essere la foto di una piccola torcia. E il medico di Hillary Clinton, la dottoressa Lisa Bardack, capo del dipartimento di medicina interna del Mount Kisco Medical Group, aveva già reso pubblico un anno fa il suo stato di salute, confermando che la signora soffre di allergie stagionali e di ipotiroidismo, e che prende il Coumadin, un fluidificante del sangue, da quando nel 2012 è caduta e ha riportato una lieve commozione cerebrale. «PUÒ FARE LA PRESIDENTE» La Bardack ha assicurato allora che Hillary era «perfettamente in salute e in grado di espletare il lavoro di un presidente». Ma durante la campagna, Donald Trump, che è stato uno dei birthers più accaniti contro Obama, ha abbracciato appieno la teoria che Hillary sia malata. Prima ha insinuato che la sua rivale «dorme troppo» poi ha detto che «non ha energia», poi ha detto che «è mentalmente instabile». Siamo arrivati al punto che bastava che Hillary tossisse, che Trump e i suoi sostenitori insinuassero che era la prova della sua pessima salute. CERTIFICATI MEDICI Finora Hillary è riuscita a tenere sotto controllo questo tsunami complottistico, ma il malore di ieri ha cambiato le carte in tavola. Le immagini non mentono: era instabile sulle gambe. E anche se un malore per il caldo e l’umidità era già verosimile, ora che il responso medico di tre giorni fa è stato reso noto, la vicenda avrebbe una spiegazione convincente. Che non basterà però probabilmente a zittire i teorici del complotto. Per questo sarebbe bene che venisse reso pubblico un rapporto approfondito e particolareggiato sul suo stato di salute. Un po’ come fece Obama quando si rassegnò a pubblicare il suo certificato di nascita. Per di più, se Hillary lo facesse, allora anche Trump sarebbe obbligato a fare lo stesso. Il candidato repubblicano ha solo offerto al pubblico una lettera del suo medico piena di aggettivi iperbolici sulla sua eccezionale salute. Lo stesso medico, Harold Bornstein, ha ammesso di averla scritta «in cinque minuti, mentre la limousine (di Trump) aspettava per strada». Anna Guaita *** MARTINA PENNISI, CORRIERE DELLA SERA 14/9 – Hillary Clinton ha la polmonite. O il morbo di Parkinson? Forse la sclerosi multipla. Anzi, è morta ed è stata rimpiazzata da una sosia più magra e con l’indice della mano sinistra più lungo. Tutte sciocchezze? Possibile, ma c’è un’associazione di medici americana che la definisce inadeguata a vestire i panni di presidente per le sue condizioni di salute. Insomma, qualcosa di grave dovrà pur avere. Ecco un rapido esempio delle informazioni in cui ci si imbatte in Rete in queste ore, si tratti dei risultati di Google, del materiale condiviso su Facebook o di un sondaggio di Wikileaks che invita a votare il significato dei presunti sintomi manifestati dalla candidata democratica alla Casa Bianca. Come, e perché, accade? Da una parte, e non è certo una novità legata alla campagna presidenziale, ci sono le comunicazioni ufficiali: Clinton che lascia la commemorazione dell’11 settembre per un colpo di calore e l’annuncio tardivo della polmonite. Dall’altra il video della 68enne che si accascia prima di salire in macchina per lasciare il One World Trade Center, pubblicato da un 50enne del New Jersey su Twitter. Venti potenti secondi, condivisi sul social network azzurro da quasi 40 mila persone, immediatamente ripresi dai siti dei giornali. E in grado di «riattivare» il materiale cospirazionista presente online: al cospetto delle gambe della donna che cedono, gli utenti si sono riversati su Google. Poco importa se un’analisi dello psicologo Robert Epstein sostiene addirittura che il motore di ricerca provi a proteggere Clinton con la funzione di autocompletamento, evitando di incoraggiare domande di questo genere (Mountain View smentisce): i meccanismi che si attivano a cavallo dell’algoritmo sono più forti. Cerchiamo risposte e Google tenta di proporci quelle maggiormente curate e verificate fra le più gettonate. Capita che le teorie cospirazioniste o cosiddette bufale scalino la graduatoria. Attirano la curiosità o quella che Walter Quattrociocchi, direttore del laboratorio di Computational Social Science all’Imt di Lucca, definisce «propensione antagonista verso il dibattito collettivo», vengono cliccate e condivise sui social. La funzione trending di Facebook – assente nella versione italiana – che è ormai priva di giornalisti arriva persino a metterle in evidenza. I media le intercettano, ne parlano e concedono loro una citazione da parte di una fonte verificata. Un circolo vizioso che non si spezza con smentite e successivi interventi. «Anzi, sono elementi di rinforzo», spiega Quattrociocchi. Lato utente l’antidoto è il silenzio, per non incoraggiare la circolazione sia della bufala sia del suo contrario, nella consapevolezza che Google o Facebook «non devono raccontare la verità, ma sono archivi pieni di informazioni più o meno reali», afferma il sociologo Giovanni Boccia Artieri. Per le piattaforme la sfida, soprattutto (ma non solo) tecnologica, è di filtrare il più possibile. Ai giornali il compito di certificare cosa sia vero e cosa no. *** GIUSEPPE SARCINA, CORRIERE DELLA SERA 12/9 – Puoi anche essere il presidente più simpatico, più umano, più competente. Puoi anche essere la prima donna candidata alla Casa Bianca, puoi arrivare a un passo dalla Storia. Ma tutto ciò non basta, tutto ciò viene dimenticato in un momento, davanti a una bugia. L’opinione pubblica americana, non importa se democratica, repubblicana, indipendente, agnostica, non accetta le menzogne e le omissioni, specie quelle dei politici. Il 9 agosto del 1974 il repubblicano Richard Nixon fu costretto a dimettersi per aver barato sullo scandalo Watergate, l’intrusione nel quartier generale del partito democratico. E l’11 febbraio del 1999 Bill Clinton si salvò solo per un paio di voti dall’ignominia dell’«impeachment» per aver negato di aver avuto rapporti sessuali con Monica Lewinsky. Eppure Nixon era appena stato rieletto. Eppure l’America stava sperimentando uno spettacolare boom economico con Bill. Hillary ha vissuto in prima persona la vicenda del marito. Anzi una corposa letteratura la indica come la prima vittima dei misfatti coniugali. E adesso sembra incredibile con quale ingenua superficialità la candidata democratica e il suo staff abbiano nascosto agli americani, a meno di due mesi dalle elezioni, ciò che per definizione non si può occultare. Nei prossimi giorni medici e specialisti prenderanno il posto degli analisti politici per discettare sulle possibili conseguenze fisiche di una polmonite su una donna di 68 anni, impegnata nella più difficile e nella più stressante delle imprese: scalare la Casa Bianca. Ma il vero dibattito, dalle conseguenze francamente imprevedibili, sarà riassunto dalla semplice domanda che già tiene banco su tutti i canali televisivi: se una diagnosi così seria risale a venerdì, perché rivelarla solo domenica sera? Hillary Clinton ha mascherato con una commediola e un paio di occhialini a specchio il malessere accusato a Ground Zero. Gli avversari di Hillary saranno spietati, su questo non ci sono dubbi. Da diverse settimane i media conservatori, come il sito Breibart e Fox tv, stanno conducendo un’aspra campagna sul tema. E l’hashtag #HillaryHealth è diventato ancora più popolare su Twitter. Da oggi in poi quelle che la candidata aveva liquidato come «teorie cospirative» diventeranno questioni di interesse generale. Inevitabilmente Hillary si troverà sulla difensiva. Si metteranno insieme i precedenti del passato con quelli degli ultimi giorni. Si risalirà fino al dicembre del 2012, quando l’allora Segretario di Stato, colpita da un virus intestinale, perse i sensi, batté la testa e si procurò un coagulo di sangue nel cervello. Da allora, sostengono i cultori di queste speculazioni, la salute di Hillary sarebbe a rischio. Nel luglio del 2015, a campagna già iniziata, l’ex segretario di Stato fece diffondere una dichiarazione firmata dal suo medico personale, Lisa Bardack, la stessa che l’ha visitata ieri: «Hillary Clinton è una donna di 67 anni in salute che soffre di ipotiroidismo e di allergie stagionali. È perfettamente in grado di competere per la presidenza degli Stati Uniti». Ma non basta. Alla candidata sarà rinfacciata la battuta, «è un’allergia a Trump», con cui ha risposto sugli attacchi di tosse che l’hanno costretta a interrompere un comizio a Cleveland. Lasciando la casa di sua figlia Chelsea, Hillary Clinton si è limitata a dire, sorridendo, «sto bene». Ora dovrà dimostrarlo e soprattutto dovrà dimostrare di stare dicendo, questa volta, la verità. *** MASSIMO GAGGI, CORRIERE DELLA SERA 12/9 – Può essere una polmonite dalla quale Hillary recupera in fretta, ma la sua evidente fragilità, i molti problemi di salute che l’hanno afflitta negli ultimi anni, l’età avanzata (sarebbe la seconda persona più anziana mai eletta alla Casa Bianca dopo Reagan) e soprattutto il fatto che le sue reali condizioni di salute sono state nascoste dal suo team per molte ore, adesso rendono la candidatura alla Casa Bianca della ex first lady non più così certa. Cosa accadrà se la Clinton sarà costretta a ritirarsi dalla corsa per la presidenza? Lo scenario è da incubo per i democratici: le norme per casi simili ci sono, ma non portano a conclusioni univoche e l’assenza di precedenti non aiuta. Mai nella storia americana un candidato nominato dalla «convention» del suo partito si è ritirato o è morto prima delle elezioni. C’è stato solo il caso del ritiro di due candidati alla vicepresidenza, nel 1912 e nel ‘72, ma in questi casi la loro sostituzione fu meno problematica, visto che il vice deve essere un uomo di fiducia del futuro presidente. Nel caso di impedimento o decesso del loro candidato, le regole del partito democratico prevedono la convocazione dei delegati del Dnc (Democratic National Convention), l’organo di governo del partito. A questo punto gli scenari sono due: il Dnc, che comunque è sovrano, sceglie il secondo candidato che ha ottenuto più voti e delegati durante le elezioni primarie: quindi Bernie Sanders. Ma Sanders alla «convention» ha fatto votare per acclamazione Hillary. Quindi, secondo alcune interpretazioni, ha di fatto «neutralizzato» i suoi delegati. Secondo altri, invece, Bernie ha mantenuto la titolarità dei delegati perché ha votato per la Clinton, ma non l’ha «nominata». La sostanza, comunque, sembra essere il potere assoluto del Dnc che potrebbe valutare anche altri nomi: personaggi considerati maggiormente capaci di prevalere nel confronto dialettico con Trump come il vicepresidente Joe Biden. Ma c’è anche chi vorrebbe dare un’altra chance a John Kerry sconfitto di misura 12 anni fa da un Bush già presidente e reduce da importanti successi diplomatici nel suo attuale ruolo di segretario di Stato (dall’Iran a Cuba alla Siria). Ci sono, poi, gli outsider come Elizabeth Warren: è difficile che l’establishment democratico si affidi a un candidato della sinistra radicale, ma la senatrice del Massachusetts è stata sempre molto efficace nel contrastare dialetticamente The Donald. Il meccanismo per le emergenze del partito democratico è, comunque, meno democratico di quello dei repubblicani che prevede, nel caso di ritiro o impedimento di Trump, anche la possibilità di riconvocare la convention del partito. Cosa quasi impossibile da realizzare in così poco tempo (mancano meno di 60 giorni al voto). Ma, almeno in teoria, esiste anche un’altra possibilità: quella del rinvio delle elezioni. Il secondo articolo della Costituzione dà, infatti, al Congresso il potere di fissare e anche di spostare la data del voto, sempre compatibilmente con le scadenze di legge. In teoria deputati e senatori potrebbero lasciare invariata la data delle elezioni parlamentari (il nuovo Congresso deve entrare in carica il primo gennaio) rinviando solo quelle presidenziali. E il 21 gennaio, alla scadenza del suo mandato, Obama verrebbe sostituito provvisoriamente dallo speaker della Camera. È, però, improbabile che un Parlamento a guida repubblicana faccia ai democratici un simile favore.